Spaccio di Lieve Entità: I Criteri della Cassazione per Escluderlo
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito i criteri per distinguere lo spaccio di stupefacenti comune dalla fattispecie di spaccio lieve entità. Questa decisione offre importanti chiarimenti su come la professionalità e la sistematicità dell’attività criminale influenzino la qualificazione giuridica del reato e la conseguente pena. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le motivazioni dei giudici.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da una condanna a sei anni di reclusione e 28.000 euro di multa, emessa dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello. L’imputato era stato giudicato colpevole di spaccio di sostanze stupefacenti.
Contro la sentenza di secondo grado, l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due questioni principali:
1. L’errata qualificazione giuridica dei fatti, sostenendo che la sua condotta dovesse rientrare nella più mite ipotesi dello spaccio lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti.
2. Un’eccessiva determinazione dell’aumento di pena applicato per la continuazione tra i vari episodi di spaccio.
La Valutazione della Corte sulla Qualificazione del Reato
La Corte di Cassazione ha giudicato il ricorso inammissibile, ritenendo infondate entrambe le censure. Per quanto riguarda la qualificazione giuridica, i giudici hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse correttamente valutato la complessità e la gravità della condotta dell’imputato.
Per escludere la fattispecie di spaccio lieve entità, sono stati considerati elementi decisivi:
* L’arco temporale: l’attività di spaccio si è protratta per un periodo significativo.
* La frequenza: le cessioni di droga erano numerose e costanti.
* Il bacino d’utenza: l’imputato riforniva un numero rilevante di acquirenti.
* Le modalità operative: l’agire dell’imputato denotava una certa professionalità e organizzazione.
Secondo la Suprema Corte, la combinazione di questi fattori dimostra un’offensività della condotta ben superiore a quella minima richiesta per poter qualificare il reato come di lieve entità.
L’Aumento di Pena per la Continuazione
Anche la seconda doglianza, relativa all’aumento di pena per la continuazione, è stata respinta come manifestamente infondata. La Corte ha osservato che l’aumento di soli due anni di reclusione era del tutto congruo e contenuto, a fronte di decine di singoli episodi di cessione di stupefacenti, ciascuno penalmente rilevante. Pertanto, i giudici di merito non hanno abusato del loro potere discrezionale nel determinare la sanzione, ma hanno correttamente ponderato la gravità e la serialità dei fatti commessi.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile poiché entrambe le censure sollevate erano prive di fondamento. La decisione dei giudici di merito di escludere l’ipotesi di spaccio lieve entità era basata su una valutazione complessiva e logica della condotta, in linea con la giurisprudenza consolidata. La sistematicità e la professionalità dell’attività di spaccio sono state correttamente interpretate come indici di una gravità incompatibile con la fattispecie attenuata. Allo stesso modo, la quantificazione della pena è stata ritenuta proporzionata alla pluralità di reati uniti dal vincolo della continuazione. Di conseguenza, non sussistendo alcuna violazione di legge o vizio di motivazione, il ricorso è stato rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Conclusioni
Questa ordinanza della Cassazione riafferma un principio fondamentale: la qualificazione di un fatto di spaccio come di lieve entità non dipende solo dalla quantità di droga ceduta in un singolo episodio, ma da un’analisi globale dell’attività del reo. La durata nel tempo, la frequenza delle cessioni, l’ampiezza del giro d’affari e le modalità organizzate sono elementi che, se presenti, portano a escludere il beneficio di una pena più mite. La decisione consolida l’orientamento secondo cui la professionalità nel commettere il reato è un fattore determinante per valutarne la gravità.
Quando è possibile qualificare lo spaccio di droga come ‘lieve entità’?
L’ipotesi di lieve entità può essere riconosciuta solo quando la condotta, nel suo complesso, presenta una minima offensività. Secondo questa ordinanza, elementi come la frequenza elevata delle cessioni, un lungo arco temporale, un vasto bacino di clienti e modalità operative professionali escludono tale qualificazione.
Perché la Cassazione ha ritenuto corretto l’aumento di pena per la continuazione?
La Corte ha considerato l’aumento di due anni di reclusione proporzionato e non frutto di un abuso di potere discrezionale, dato che all’imputato erano stati attribuiti decine di singoli episodi di spaccio, ciascuno dei quali costituiva un reato.
Quali sono le conseguenze se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale, richiamato nell’ordinanza, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna della parte che lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19377 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19377 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 26/08/1996
avverso la sentenza del 11/04/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che con sentenza depositata il giorno 10 luglio 2024 la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza emessa in data 4 maggio 2023 con cui il Tribunale di Grosseto aveva condannato NOME COGNOME alla pena di anni 6 di reclusione ed C 28.000,00 di multa;
che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il prevenuto articolando il motivo di impugnazione di seguito sintetizzato;
che il ricorrente eccepiva il vizio di motivazione e quello di violazione di legge con riferimento alla esclusione della qualificabilità dei reati a lui contestati nell’ambito dell’art. 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990 ed in relazione alla determinazione dell’aumento dì pena applicato per effetto della ritenuta continuazione.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che le due statuizioni censurate dal ricorrente sono entrambe esenti dai vizi lamentati;
che, in relazione alla qualificazione giuridica delle condotte ascritte al ricorrente, la Corte territoriale, facendo applicazione della giurisprudenza di questa Corte ha valutato nella loro complessità le condotte poste in essere dal ricorrente, rilevando che l’arco temporale in cui esse si sono manifestate con significativa frequenza, il rilevante bacino di utenza che il ricorrente riforniva di sostanza stupefacente con modalità denotanti una certa professionalità nell’agire costituivano tutti elementi idonei ad escludere quella minima offensività che, invece, avrebbe dovuto caratterizzare la condotta per essere qualificata nell’ambito della lieve entità;
che il profilo relativo all’aumento di pena per effetto della ritenuta continuazione, peraltro del tutto genericamente introdotto, è manifestamente infondato ove si consideri che l’aumento di pena applicato in danno del ricorrente è risultato contenuto in solo due anni di reclusione, a fronte di una quantità di singoli episodi, ciascuno dei quali penalmente rilevante, di cessione di sostanza stupefacente attribuiti al ricorrente numerabili in diverse decine, cosicchè deve ritenersi in radice esclusa la possibilità che nella determinazione della pena i giudici de merito abbiano abusato del potere discrezionale loro conferito in siffatta materia;
che il ricorso devo perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali nonché della somma equitativamente fissata in C
3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2025
Il Consigliere NOME
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