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Spaccio lieve entità: quando è escluso dalla Cassazione

Un individuo, condannato per detenzione di 98 grammi di cocaina ad elevata purezza, ha presentato ricorso in Cassazione chiedendo il riconoscimento dell’ipotesi di spaccio di lieve entità. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che la notevole quantità di sostanza, da cui si potevano ricavare oltre 560 dosi, e l’elevata purezza sono indici di una condotta professionale che escludono la possibilità di qualificare il fatto come di minima offensività.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di Lieve Entità: I Criteri della Cassazione per Escluderlo

L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sulla distinzione tra il reato di spaccio di sostanze stupefacenti e la sua attenuante forma di spaccio di lieve entità. La Corte di Cassazione, con una decisione netta, ha ribadito come la valutazione non possa prescindere da un’analisi complessiva della condotta, dove la quantità e la purezza della droga giocano un ruolo determinante. Questo caso riguarda un individuo condannato per la detenzione di quasi cento grammi di cocaina, la cui richiesta di derubricare il reato è stata respinta.

Il Caso in Esame: Dalla Condanna al Ricorso

I fatti processuali iniziano con una condanna emessa dal GUP del Tribunale di Brindisi, confermata successivamente dalla Corte d’Appello di Lecce. L’imputato era stato giudicato colpevole del delitto previsto dall’articolo 73, comma 1, del d.P.R. 309/1990, e condannato a quattro anni di reclusione e 21.000 euro di multa.

Avverso questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su un unico motivo: la violazione di legge per il mancato riconoscimento dell’ipotesi di reato più lieve, quella dello spaccio di lieve entità disciplinata dal comma 5 dello stesso articolo. La difesa sosteneva che la condotta dovesse essere inquadrata in questa fattispecie meno grave.

La Valutazione dello Spaccio di Lieve Entità

La questione centrale del ricorso verteva sull’applicabilità dell’articolo 73, comma 5, che punisce con pene sensibilmente ridotte i fatti di produzione, traffico e detenzione di stupefacenti che, per mezzi, modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, sono di lieve entità.

Quantità e Purezza come Indici Decisivi

La Corte d’Appello, nella sua sentenza, aveva già evidenziato elementi cruciali che ostacolavano il riconoscimento dell’ipotesi lieve. In particolare, il quantitativo di droga rinvenuto in possesso dell’imputato era di 98 grammi di cocaina, con un principio attivo particolarmente elevato (oltre l’86%). Questo dato, secondo i giudici di merito, era significativo non solo in termini assoluti, ma anche per il suo potenziale offensivo: da quella quantità si sarebbero potute ricavare ben 564 dosi singole. Una circostanza del genere, secondo la Corte, denota “abitualità e professionalità nella condotta”, elementi incompatibili con la lieve entità del fatto.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condividendo pienamente le argomentazioni dei giudici di merito. La motivazione della Suprema Corte si fonda su principi consolidati, espressi in precedenti pronunce delle Sezioni Unite.

Il Richiamo ai Principi delle Sezioni Unite

La Corte ha richiamato due sentenze fondamentali (Sez. U, n. 35737 del 2010 e n. 51063 del 2018) che hanno tracciato le linee guida per l’applicazione della fattispecie di lieve entità. Il principio cardine è che tale ipotesi è configurabile solo in casi di “minima offensività penale della condotta”. Questa valutazione deve essere complessiva e tenere conto di tutti i parametri indicati dalla norma: i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione, la qualità e la quantità della sostanza.

La Cassazione ha sottolineato un aspetto cruciale: se anche uno solo di questi indici risulta “negativamente assorbente”, cioè talmente grave da indicare una notevole offensività, ogni altra considerazione perde di rilevanza. Nel caso di specie, il dato quantitativo (il numero di dosi ricavabili) e qualitativo (l’elevata purezza) sono stati ritenuti sufficienti a escludere a priori la minima offensività, rendendo la condotta dell’imputato incompatibile con il reato di lieve entità.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione

L’ordinanza conferma un orientamento rigoroso della giurisprudenza. La qualificazione di un fatto come spaccio di lieve entità non è automatica e richiede un’analisi attenta di tutti gli elementi concreti. La decisione ribadisce che il possesso di un quantitativo di droga che, per purezza e numero di dosi potenziali, suggerisce un’attività non occasionale ma strutturata e professionale, impedisce l’applicazione della norma più favorevole. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Quando un reato di spaccio può essere considerato di ‘lieve entità’?
Un fatto di spaccio è considerato di lieve entità solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta. Questa valutazione si basa sull’analisi complessiva di tutti gli indici previsti dalla legge: mezzi, modalità, circostanze dell’azione, qualità e quantità delle sostanze.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso in questo caso?
La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile perché il quantitativo di droga detenuto (98 grammi di cocaina), la sua elevata purezza (oltre l’86%) e l’alto numero di dosi ricavabili (564) sono stati considerati indici di una notevole offensività e professionalità, incompatibili con la fattispecie della lieve entità del fatto.

Quali sono i parametri utilizzati per valutare la lieve entità del fatto?
I parametri, indicati dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, sono sia qualitativi che quantitativi. Includono i mezzi usati per l’azione (es. strumenti per il confezionamento), le modalità e le circostanze della condotta, nonché la qualità (purezza) e la quantità della sostanza stupefacente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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