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Spaccio lieve entità: la Cassazione chiarisce i criteri

La Corte di Cassazione ha esaminato i ricorsi di quattro individui condannati per spaccio. Un procedimento è stato chiuso per il decesso dell’imputato, mentre due ricorsi sono stati dichiarati inammissibili. Per il quarto, la Corte ha rigettato la richiesta di qualificare il reato come spaccio di lieve entità, sottolineando che la valutazione deve considerare l’intera attività criminale, inclusa l’integrazione in una rete organizzata, e non solo le singole cessioni.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di Lieve Entità: La Cassazione detta i Criteri di Valutazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione torna a fare luce su un tema centrale in materia di stupefacenti: i criteri per distinguere lo spaccio comune dalla fattispecie di spaccio di lieve entità. Questa distinzione è cruciale, poiché comporta conseguenze sanzionatorie molto diverse. La pronuncia in esame chiarisce che la valutazione non può limitarsi alla singola cessione, ma deve abbracciare l’intero contesto operativo del soggetto, specialmente il suo inserimento in una rete criminale strutturata.

Il Caso: Pluralità di Ricorsi per Spaccio

La vicenda giudiziaria ha origine da un’articolata indagine che ha portato alla condanna di diverse persone per una pluralità di episodi di spaccio di stupefacenti. La Corte di Appello aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado solo per un imputato, riducendone la pena, mentre aveva confermato le condanne per gli altri. Avverso tale decisione, quattro imputati hanno proposto distinti ricorsi per Cassazione, sollevando diverse questioni.

Un ricorso è stato interrotto dalla notizia del decesso dell’imputato. Altri due ricorsi sono stati giudicati inammissibili per la genericità e manifesta infondatezza delle censure, che miravano a una rivalutazione dei fatti non consentita in sede di legittimità. Il fulcro della sentenza si concentra, tuttavia, sul ricorso di un altro imputato, che contestava la mancata qualificazione dei fatti nella fattispecie di spaccio di lieve entità.

Lo spaccio di lieve entità e l’analisi della Corte

La difesa dell’imputato sosteneva che i fatti contestati, consistendo in piccole cessioni di droga su strada, dovessero rientrare nell’ipotesi più lieve prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990. Inoltre, si lamentava la mancata analisi tecnica della sostanza stupefacente, ritenuta essenziale per provarne l’effettiva portata offensiva.

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente queste argomentazioni, aderendo all’orientamento consolidato della giurisprudenza. I giudici hanno ribadito che la valutazione sull’offensività della condotta non può basarsi esclusivamente sulla quantità di droga ceduta di volta in volta. È necessario un giudizio più ampio che consideri:

* Le concrete capacità di azione del soggetto.
* Le sue relazioni con il mercato di riferimento.
* L’entità della droga movimentata in un dato arco temporale.
* Il numero di acquirenti riforniti.
* L’eventuale rete organizzativa e le modalità adottate per eludere i controlli.

Nel caso specifico, era emerso che l’imputato era stabilmente inserito in una consolidata rete di spaccio, capace di soddisfare una pluralità di clienti fidelizzati e con canali di approvvigionamento continuativi. Tali elementi sono stati ritenuti ostativi al riconoscimento della lieve entità.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha motivato la propria decisione sulla base di principi giuridici ben definiti. In primo luogo, per quanto riguarda la qualificazione del reato, i giudici hanno spiegato che l’ipotesi di spaccio di lieve entità è riservata a condotte veramente marginali, occasionali e non inserite in un contesto strutturato. L’imputato, invece, pur non essendo un promotore, era un tassello funzionale di un’organizzazione più ampia, come dimostrato dalla capacità di movimentare quantitativi significativi (370 grammi di cocaina in pochi giorni) e dall’uso di comunicazioni criptiche.

In secondo luogo, riguardo alla prova della qualità dello stupefacente, la Cassazione ha chiarito che l’assenza di un narcotest o di una perizia non è dirimente quando vi sono altri elementi probatori solidi. Nel caso in esame, le intercettazioni telefoniche e ambientali hanno fornito prove inequivocabili: i dialoghi tra l’imputato, i fornitori e i clienti non lasciavano dubbi sulla natura della sostanza e sulla sua qualità, ritenuta ordinaria e commerciabile. Il fatto che lo stesso imputato si fosse lamentato, in un’occasione, della scarsa qualità di una partita, dimostrava la sua competenza nel valutarne le caratteristiche.

Infine, per gli altri ricorrenti, la Corte ha applicato i principi procedurali standard: il decesso dell’imputato estingue il reato e impone l’annullamento della sentenza, mentre i ricorsi basati su critiche generiche e fattuali sono dichiarati inammissibili.

Le Conclusioni

La sentenza offre importanti implicazioni pratiche. Conferma che per ottenere il riconoscimento dello spaccio di lieve entità, non è sufficiente dimostrare di aver effettuato singole cessioni di modesta quantità. È fondamentale che l’intera attività delittuosa possa essere considerata marginale e non professionale. L’inserimento in una qualsiasi forma di rete organizzata, anche con un ruolo non apicale, è un forte indicatore in senso contrario. Inoltre, la pronuncia ribadisce la validità della prova logica e indiziaria, come le intercettazioni, per dimostrare la natura e l’offensività della condotta, anche in assenza di prove tecniche dirette.

Quando un’attività di spaccio può essere considerata di ‘lieve entità’?
Non solo sulla base della quantità di una singola cessione. La valutazione deve essere complessiva e considerare le modalità dell’azione, i mezzi usati, la continuità dell’attività, il numero di acquirenti e l’inserimento del soggetto in una rete organizzata.

È necessaria un’analisi chimica della sostanza (narcotest) per provare il reato di spaccio?
No, non necessariamente. La Corte ha stabilito che la prova della natura e della qualità dello stupefacente può essere ricavata anche da elementi probatori indiretti e logici, come il contenuto delle conversazioni intercettate tra spacciatori e clienti.

Cosa succede se l’imputato muore dopo aver presentato ricorso in Cassazione?
Il reato si estingue per morte del reo. La Corte di Cassazione è tenuta ad annullare la sentenza impugnata senza rinvio, chiudendo definitivamente il procedimento nei confronti del defunto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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