Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14211 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14211 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. 2123 sez.
NOME COGNOME
U.P. – 17/12/2024
NOME COGNOME
R.G.N. 33323/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME NOMECOGNOME nato a Torre Annunziata il 14-07-1974, NOMECOGNOME nato a Rosarno il 08-08-1979, Testa Giustino, nato a Napoli il 20-06-1967, NOME COGNOME nato in Tunisia il 25-08-1985, avverso la sentenza del 21-03-2024 della Corte di appello di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto: di annullare senza rinvio la sentenza impugnata in relazione alla posizione di NOMECOGNOME perché rigettare il ricorso di Testa Giustino e il reato è estinto per morte dell’imputato; di di dichiarare inammissibili i restanti ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10 luglio 2023, il G.U.P. del Tribunale di Modena, nell’ambito di un articolato procedimento penale in materia di stupefacenti, affermava, per quanto in questa sede rileva, la responsabilità penale degli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, ritenuti colpevoli di una pluralità di episodi del reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, oltre che, il solo COGNOME, anche del reato di estorsione (capo 11).
In particolare, NOME COGNOME rispetto al reato di cui al capo 20, veniva condannato alla pena di anni 4, mesi 4 di reclusione ed euro 20.000 di multa; NOME COGNOME rispetto ai reati di cui ai capi 15, 16 e 19, veniva condannato alla pena di anni 4, mesi 6 di reclusione ed euro 22.000 di multa; NOME COGNOME rispetto ai reati di cui ai capi 1, 7, 8, 11, 12, 15 e 16, veniva condannato alla pena di anni 1, mesi 6 di reclusione ed euro 6.300 di multa, pena posta in aumento a titolo di continuazione esterna sulla pena irrogatagli con la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Modena del 14 maggio 2020, irrevocabile il 27 aprile 2021; NOME COGNOME rispetto ai reati di cui ai capi 3, 4 e 5, veniva condannato alla pena di anni 4, mesi 6 di reclusione ed euro 6.300 di multa; i fatti di causa risultano commessi tra i Comuni di Modena, Finale Emilia, Novi di Modena e Correggio, in un arco temporale compreso tra il 2015 e il 9 luglio 2021.
Con sentenza del 21 marzo 2024, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, rideterminava la pena inflitta a ll’ imputato COGNOME esclusa la recidiva, nella misura di anni 3 di reclusione ed euro 1.666 di multa. La decisione del G.U.P. veniva invece confermata rispetto agli imputati COGNOME e COGNOME.
Avverso la sentenza della Corte di appello felsinea, COGNOME COGNOME COGNOME e COGNOME tramite i rispettivi difensori, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione.
2.1. COGNOME ha sollevato un unico motivo, con il quale la difesa deduce il vizio di motivazione, evidenziando che l ‘aumento di pena su quella irrogata in altro procedimento penale ben avrebbe potuto essere più contenuto, posto che l’intera operazione antidroga è partita esclusivamente dalle rivelazioni del ricorrente, il quale ha reso dichiarazioni etero-accusatorie molto rilevanti, a ciò aggiungendosi, quanto alla presunta estorsione, che la stessa in realtà si è concretizzata in un’esclamazione telefonica dal modesto contenuto intimidatorio.
2.2. COGNOME ha presentato due ricorsi, uno tramite l’avvocato COGNOME l’altro mediante l’avvocato COGNOME
2.2.1. Con il ricorso dell’avvocato COGNOME sono stati sollevati tre motivi.
Con il primo, si contesta la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al reato di cui al capo 3, non essendosi tenuto conto del fatto che il ruolo
dell’imputato nell’operazione dell’8 agosto 2020 è rimasto sfornito di riscontri probatori, come desumibile dalla sentenza n. 540-2020 del G.U.P. di Modena.
Il secondo motivo è dedicato al giudizio di colpevolezza dell’imputato rispetto al reato di cui al capo 3, sottolineandosi al riguardo la genericità del capo di imputazione e l’inconsistenza degli elementi probatori a carico di COGNOME
Con il terzo motivo, riferito al reato di cui al capo 4, si censura la qualificazione giuridica del fatto che, in ragione della pessima qualità della droga, ben avrebbe potuto essere inquadrato nella fattispecie di lieve entità.
2.2.2. Con il ricorso dell’avvocato COGNOME sono stati sollevati cinque motivi.
Con il primo, la difesa deduce l’apparenza della motivazione della sentenza grava ta, nella parte in cui ha disatteso l’eccezione difensiva riguardante il difetto di autonomia argomentativa della pronuncia di primo grado rispetto al contenuto dell’ordinanza cautelare, il cui contenuto sarebbe stato ripreso dal G.U.P.
Con il secondo motivo, si contesta il giudizio di colpevolezza dell’imputato rispetto al reato di cui al capo 3, sia sotto il profilo della valutazione della prova sulla responsabilità, sia in ordine alla qualificazione della condotta, che doveva essere inquadrata nella fattispecie ex art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990.
Censure di analogo tenore sono state formulate con il terzo e con il quarto motivo, riferiti rispettivamente al reato di cui al capo 4 e a quello di cui al capo 5.
Con il quinto motivo, infine, le critiche difensive investono il diniego delle attenuanti generiche, l’applicazione della recidiva e il mancato riconoscimento, rispetto alla posizione del ricorrente, della fattispecie di lieve entità.
2.2.3 . In data 24 ottobre 2024, l’avvocato NOME COGNOME ha trasmesso il certificato attestante il decesso di COGNOME avvenuto a Carpi il 28 settembre 2024.
2.3. Testa ha sollevato due motivi.
Con il primo, la difesa contesta, sotto il profilo del vizio di motivazione, la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato, non essendosi la Corte territoriale confrontata con i rilievi difensivi, con i quali era stato sollecitato l’inquadramento dei fatti nella fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, essendosi in presenza di piccole cessioni in strada di stupefacente. La sentenza impugnata, in particolare, avrebbe omesso di considerare che il tema da affrontare non era il contesto generale in cui si sviluppava lo spaccio, ma l’effettivo ruolo del concorrente e l’eventuale vincolo con i promotori dello spaccio, essendo consentita una diversa qualificazione dei ruoli e delle relative attività.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è la risposta fornita dalla Corte di appello alla doglianza difensiva incentrata sull ‘omessa analisi della sostanza stupefacente e sulla mancata prova delle relative caratteristiche, ossia non solo del principio attivo, ma anche della natura della sostanza, avendo i giudici di secondo grado errato nella valutazione delle prove, sopperendo alla rimarcata
assenza di un narcotest e di una perizia con dati probatori secondari, inidonei a comprovare l’effettiva portata offensiva della condotta illecita .
2.4. COGNOME ha sollevato un unico motivo, con il quale la difesa censura il trattamento sanzionatorio, dolendosi in particolare del mancato contenimento della pena nel minimo edittale, sotto il duplice profilo della carenza di motivazione e dell’erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen .
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME per essere i reati di cui il medesimo è stato ritenuto colpevole estinti per morte dell’imputato . I ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inammissibili, mentre il ricorso di NOME COGNOME è infondato.
Iniziando dalla posizione di NOME COGNOME occorre evidenziare che, in data 24 ottobre 2024, l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia dell’imputato , ha comunicato a questa Corte che COGNOME è deceduto in data 28 settembre 2024 nel Comune di Carpi, come da certificazione anagrafica in atti.
Da ciò consegue pertanto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere i reati estinti per morte dell’imputato , dovendosi richiamare in proposito la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 23906 del 12/05/2016, Rv. 267384), secondo cui la morte dell’imputato, intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione (come nel caso di specie), impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con l’enunciazione della relativa causa nel dispositivo, risultando esaurito il sottostante rapporto processuale ed essendo preclusa ogni eventuale pronuncia di proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
Passando al ricorso di NOME COGNOME deve rilevarsi che la motivazione della sentenza impugnata in punto di conferma del trattamento sanzionatorio irrogato dal primo giudice non presta il fianco alle censure difensive.
Ed invero, rispetto allo specifico punto contestato, ovvero l’entità dell’aumento operato a titolo di continuazione, la Corte territoriale (pag. 16-17 della sentenza impugnata) ha premesso che il G.U.P. ha irrogato all’imputato, sulla pena già inflittagli con altra sentenza di condanna divenuta irrevocabile il 27 aprile 2021, la pena ulteriore di anni 1, mesi 6 di reclusione e 6.300 euro di multa. A tale pena si è pervenuti applicando prima la pena di anni 1 di reclusione e 6.000 euro di multa, previo riconoscimento del vincolo della continuazione esterna tra i fatti già giudicati con il precedente titolo esecutivo e i fatti di cui ai capi 1, 7, 8, 12, 15 e 16, aventi ad oggetto vari episodi del reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, e poi l’ulteriore pena di mesi 6 di reclusione ed euro 300 di multa per i fatti di cui al
capo 11, avente ad oggetto il reato di estorsione, riferito alla condotta minatoria posta in essere per recuperare il prezzo di una fornitura di droga non pagata.
Orbene, la Corte di appello ha ragionevolmente ritenuto congruo l’aumento complessivo di pena operato ai sensi dell’art. 81 cod. pen., rimarcando sia la gravità dei fatti, rivelata dalla pluralità e dalla serialità delle cessioni di stupefacenti, sintomatiche di un qualificato inserimento dell’imputato nella catena di spaccio, sia la negativa personalità di COGNOME il quale, oltre a essere gravato da numerosi precedenti, non ha esitato non solo a compiere condotte estorsive per recuperare crediti inerenti partite di droga cedute e rimaste impagate, ma anche a proseguire l’attività di spaccio pur quando si trovava in regime di arresti domiciliari, ciò a riprova di una non trascurabile propensione a delinquere.
Ora, a fronte di un apparato argomentativo tutt’altro che illogico, non vi è spazio per l’accoglimento delle censure difensive, che, senza invero smentire gli elementi fattuali valorizzati dalla sentenza impugnata, prospettano, peraltro in termini non adeguatamente specifici, differenti valutazioni di merito che esulano dal perimetro del giudizio di legittimità. Di qui la manifesta infondatezza del ricorso di COGNOME.
3. Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto alla posizione di NOME COGNOME, il cui ricorso è incentrato sul trattamento sanzionatorio. Al riguardo, tuttavia, deve osservarsi che non si ravvisa alcuna criticità nella sentenza impugnata, nella quale (pag. 29) è stato evidenziato, in modo razionale, da un lato, che all’imputato sono state concesse le attenuanti generiche, poste in giudizio di equivalenza rispetto alla contestata e riconosciuta recidiva specifica e infraquinquennale, e, dall’altro, che la pena a carico del ricorrente è stata fissata in anni 6, mesi 3 di reclusione ed euro 30.000 di multa, ovvero in misura prossima al minimo edittale, risultando tale lieve scostamento giustificato dalla pluralità delle cessioni illecite di stupefacenti descritte nel capo 20 ascritto a ll’imputato . Con le pertinenti considerazioni della Corte territoriale, il ricorso di COGNOME non si confronta adeguatamente, per cui lo stesso non può essere ritenuto ammissibile.
4. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle rispettive doglianze sollevate, i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per ciascun ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, inoltre, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che ciascuno dei predetti ricorrenti versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
5. Infine, il ricorso di NOME COGNOME è infondato.
5.1. Iniziando dal primo motivo, deve osservarsi che il mancato riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 73 , comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
Sul punto occorre innanzitutto richiamare il costante orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Rv. 272529), secondo cui, in tema di stupefacenti, la valutazione dell’offensività della condotta non deve essere ancorata al solo dato della quantità di volta in volta ceduta, ma deve essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva, avuto riguardo, in particolare, alle concrete capacità di azione del soggetto e alle sue relazioni con il mercato di riferimento, a ll’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine . Tale approdo interpretativo è stato sviluppato ulteriormente dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 51063 del 27/09/2018, Rv. 274076, ricorrente COGNOME con cui si è precisato che la valutazione degli indici di lieve entità elencati dal comma 5 dell’art. 73 deve essere complessiva, il che significa abbandonare l’idea che gli stessi possano essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo o escludendo, cioè, la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri. Ma, allo stesso tempo, ciò significa anche che tali indici non devono tutti indistintamente avere segno positivo o negativo, nel senso che il percorso tracciato dal legislatore impone di considerare anche la possibilità che tra gli stessi si instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto, anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie in tal senso.
Orbene, la Corte di appello (cfr. pag. 25 della sentenza impugnata) si è posta in sintonia con tale impostazione, valorizzando, in senso ostativo al riconoscimento della fattispecie di lieve entità, il fatto che Testa è risultato coinvolto in un’attività di spaccio del tutto strutturata, in grado di soddisfare una pluralità di acquirenti fidelizzati, anche attraverso il ricorso a comunicazioni criptiche scambiate con il cellulare , avendo peraltro l’imputato dato prova di disporre di canali continuativi di approvvigionamento, come desumibile dai capi 15 e 16, riferiti a cessioni per complessivi 370 grammi di cocaina in un arco temporale di 3-4 giorni, ciò a conferma dello stabile inserimento di Testa in una consolidata rete di spaccio.
Orbene, il giudizio sull’esclusione della fattispecie di lieve entità, in quanto coerente con le coordinate interpretative che regolano la materia e saldamente ancorato alle fonti dimostrative acquisite, resiste alle censure difensive, formulate invero in termini meramente rivalutativi e non adeguatamente specifici.
Di qui l’infondatezza della doglianza difensiva.
5.2. Parimenti non meritevole di accoglimento è il secondo motivo.
Le due conformi sentenze di merito, le cui argomentazioni sono destinate a integrarsi per formare un apparato motivazionale unitario, hanno operato un’adeguata ricostruzione dei fatti di causa, avendo in particolare sia il G.U.P. (pag. 39-63 della decisione di primo grado) che la Corte territoriale (pag. 24-25 della sentenza impugnata) richiamato, rispetto ai capi 15, 16 e 19, le conversazioni intercettate tra il 20 gennaio e il 28 febbraio 2020, da cui è emerso il pieno coinvolgimento di Testa nelle singole attività di spaccio ivi contestate.
Quanto alle obiezioni difensive riferite alla mancata analisi tecnica delle sostanze stupefacenti in questione, i giudici di merito hanno legittimamente ritenuto non ostativa all’affermazione della colpevolezza dell’imputato la mancata effettuazione di una consulenza tossicologica, evidenziando che dai dialoghi intercettati si evince che lo stupefacente ceduto, almeno per quanto concerne i capi 15 e 16, proveniva da NOME COGNOME il quale ha ammesso di commerciare cocaina, tanto è vero che, già in appello, ha proposto censure riferite solo al trattamento sanzionatorio.
Parimenti rilevante, inoltre, è che, nel contesto delle conversazioni captate riferibili al capo 19, Testa ha dimostrato di poter contare su una platea di ‘clienti’ fidati, il che conferma che la droga da lui commerciata era almeno di qualità ordinaria, altrimenti gli acquirenti avrebbero smesso di fornirsi da lui, essendo inoltre significativo che, con riferimento a una singola partita di droga ceduta, il ricorrente si sia lamentato della qualità della droga, avendo evidentemente dimestichezza nella valutazione delle caratteristiche del prodotto fornito, al punto da essere in grado di rilevare difetti di qualità. Né può sottacersi che il 28 febbraio 2020 Testa è stato tratto in arresto in occasione della cessione a tale NOME COGNOME di 0,7 grammi di cocaina, essendo stati altresì rinvenuti all’esito di perquisizione altri tre involucri di cellophane contenenti cocaina per un peso complessivo di 2,8 grammi, oltre che un ulteriore involucro contenente altri 3,3 grammi di hashish.
Ora, alla disamina del materiale probatorio, compiuta nelle due conformi sentenze di merito in maniera esauriente e non manifestamente illogica, la difesa ha contrapposto, peraltro in termini frammentari, una differente lettura del materiale probatorio che tuttavia non può trovare spazio in sede di legittimità, avendo questa Corte più volte affermato (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
5.3. In conclusione, stante l’infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME deve essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME, perché i reat i a lui ascritti sono estinti per morte dell’imputato . Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME NOME e NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Rigetta il ricorso di NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17.12.2024
Il consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME