Spaccio di Lieve Entità: Quando Quantità e Professionalità Escludono l’Attenuante
Il concetto di spaccio di lieve entità, previsto dall’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti, rappresenta una fattispecie attenuata del reato di spaccio, punita con pene notevolmente inferiori. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e dipende da una valutazione complessiva del fatto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza i criteri che escludono questa qualificazione, sottolineando come la professionalità dell’agente e la quantità della sostanza siano elementi decisivi.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un individuo condannato in appello alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione, oltre a una multa di 24.000 euro, per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. L’imputato, attraverso il suo difensore, aveva articolato due principali motivi di ricorso: in primo luogo, chiedeva la riqualificazione del reato nella più lieve ipotesi dello spaccio di lieve entità; in secondo luogo, contestava l’applicazione della recidiva.
La Corte d’Appello aveva già respinto tali richieste, motivando la propria decisione sulla base di elementi concreti che indicavano una non trascurabile gravità della condotta.
La Decisione della Cassazione sullo Spaccio di Lieve Entità
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione dei giudici di merito. Secondo gli Ermellini, le censure mosse dall’imputato non costituivano critiche giuridiche alla sentenza impugnata, ma si limitavano a riproporre questioni di fatto già adeguatamente esaminate e risolte nei precedenti gradi di giudizio. La Corte ha quindi colto l’occasione per riaffermare i principi che guidano la distinzione tra lo spaccio ‘ordinario’ e quello di lieve entità.
Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Stato Dichiarato Inammissibile
La Cassazione ha spiegato che la valutazione sulla lieve entità del fatto deve basarsi su un’analisi globale che tenga conto di tutti gli indicatori previsti dalla norma: i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione, nonché la qualità e quantità delle sostanze.
Nel caso specifico, sono stati ritenuti ostativi alla concessione dell’attenuante i seguenti elementi:
1. Quantitativo e Tipologia: La detenzione di un quantitativo di cocaina da cui era possibile ricavare ben 472 dosi medie singole.
2. Modalità di Confezionamento: La sostanza era già suddivisa in oltre cento confezioni, pronte per la vendita al dettaglio.
3. Strumentazione: La disponibilità di due bilancine di precisione, strumento tipico di un’attività di spaccio organizzata.
4. Circostanze Personali: L’assenza di un’attività lavorativa stabile e regolare dell’imputato.
Questi fattori, nel loro insieme, sono stati considerati ‘sintomatici di professionalità e non occasionalità della condotta’, elementi incompatibili con la nozione di spaccio di lieve entità.
Il Rigetto del Motivo sulla Recidiva
Anche il secondo motivo, relativo all’applicazione della recidiva, è stato giudicato inammissibile. La Corte ha ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello fosse logica e sufficiente. I giudici di merito avevano infatti sottolineato come i precedenti penali dell’imputato e le modalità del reato commesso dimostrassero ‘assoluta noncuranza per le disposizioni penali e maggiore pericolosità del medesimo’.
Le Conclusioni: Criteri Rigorosi per la Qualificazione del Reato
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso. La qualificazione di un fatto di spaccio come di lieve entità non può derivare solo da un basso quantitativo di principio attivo, ma richiede un’attenta valutazione del contesto complessivo. La presenza di indici di ‘professionalità’ – come il confezionamento seriale, l’uso di strumenti specifici e l’assenza di fonti di reddito lecite – rappresenta un ostacolo quasi insormontabile al riconoscimento dell’ipotesi attenuata. La decisione finale ha comportato, oltre alla dichiarazione di inammissibilità, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle Ammende, a causa della colpa nell’aver promosso un ricorso privo di fondamento.
Quando un fatto di spaccio non può essere qualificato di lieve entità?
Secondo la Corte, un fatto di spaccio non può essere considerato di lieve entità quando emergono indicatori di professionalità e non occasionalità. Nel caso specifico, sono stati decisivi l’ingente quantitativo di sostanza (sufficiente per 472 dosi), la suddivisione in oltre cento confezioni, il possesso di bilancini di precisione e l’assenza di un lavoro stabile.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure presentate non contestavano vizi di legittimità della sentenza d’appello, ma si limitavano a riproporre una diversa valutazione dei fatti già correttamente esaminati e decisi dal giudice di merito, senza una specifica critica giuridica.
Cosa comporta la condanna al pagamento di una somma alla Cassa delle Ammende?
È una sanzione pecuniaria che viene inflitta a chi presenta un ricorso inammissibile. La sua funzione è quella di sanzionare l’abuso dello strumento processuale, quando l’impugnazione viene promossa con colpa, ossia senza un’adeguata valutazione della sua fondatezza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8999 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8999 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 12/04/1991
avverso la sentenza del 07/06/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che NOME COGNOME condannato per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione e di 24.000,00 euro di mul articolando due motivi di ricorso, deduce, con il primo, vizio di motivazione in ordine alla ma riqualificazione del fatto contestato ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, secondo, vizio di motivazione in riferimento all’applicazione della recidiva;
Considerato che il primo motivo espone censure non consentite in sede di legittimità, poich le stesse sono costituite da mere doglianze in punto di fatto riproduttive di deduzion adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito scanditi da specifica critica con il ricorso, ed inoltre sono volte a prefigurare una rivalutaz e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, ed avulse da pertinente individuazione di s travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito, posto che la sentenza impugnata ha spiegato perché deve escludersi la lieve entità del fatto, considerando ostativi una riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, il quan e la tipologia della sostanza stupefacente detenuta, le dosi da questo ricavabili, le circostan le modalità dell’azione (nella specie, detenzione di un quantitativo di cocaina da cui era poss ricavare 472 dosi medie singole, e già suddiviso in oltre cento confezioni, occultamento de sostanza, disponibilità di due bilancine di precisione, assenza di un’attività lavorativa st regolare), ritenute sintomatiche di professionalità e non occasionalità della condotta;
Osservato che il secondo motivo espone anch’esso censure non consentite in sede di legittimità, poiché le stesse sono inerenti al trattamento punitivo benché sorretto da suffic e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive, in quanto la Cort d’appello ha rappresentato i motivi per i quali la circostanza della recidiva non può es esclusa, rimarcando come, in considerazione dei precedenti penali, la condotta illecita posta essere dall’imputato, per le sue modalità, denoti assoluta noncuranza per le disposizioni pen e maggiore pericolosità del medesimo;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna de ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, sussistendo profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2025.