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Spaccio in carcere: l’aggravante vale per la cessione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per spaccio in carcere. Si chiarisce che l’aggravante specifica per i reati commessi in istituti penitenziari si applica solo a chi compie l’atto di ‘cessione’ o ‘offerta’ della sostanza, e non può essere esclusa per analogia con la posizione di un coimputato accusato di sola ‘detenzione’.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio in Carcere: L’Aggravante si Applica solo alla Cessione, non alla Detenzione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un’importante questione relativa allo spaccio in carcere, delineando con precisione i confini di applicabilità della specifica aggravante prevista per chi commette tale reato all’interno di un istituto penitenziario. La decisione chiarisce che la natura della condotta contestata a ciascun concorrente nel reato è determinante per l’applicazione delle circostanze aggravanti, che non si estendono automaticamente a tutti i soggetti coinvolti.

I Fatti del Caso: Cessione e Detenzione dietro le Sbarre

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un individuo condannato per aver ceduto sostanza stupefacente a un detenuto all’interno di una casa circondariale. Secondo l’accusa, la droga era destinata a essere successivamente spacciata ad altri reclusi.

Il punto centrale del ricorso era il seguente: la Corte d’Appello aveva escluso l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 1, lett. g) del d.P.R. 309/1990 per il coimputato (il detenuto che aveva ricevuto la droga), ma l’aveva mantenuta per il ricorrente (colui che l’aveva materialmente introdotta e ceduta). Il ricorrente sosteneva che, trattandosi di una circostanza di natura non soggettiva, la sua esclusione avrebbe dovuto avvantaggiare anche lui.

La Distinzione tra Condotte e l’Aggravante per lo Spaccio in Carcere

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, definendolo manifestamente infondato e confermando la decisione dei giudici di merito. Il ragionamento della Corte si basa su una distinzione fondamentale tra le condotte contestate ai due soggetti coinvolti.

– Al ricorrente era stata contestata la cessione della sostanza stupefacente.
– Al coimputato (il detenuto) era stata contestata la mera detenzione della sostanza ricevuta.

Questa distinzione è cruciale per comprendere l’applicazione dell’aggravante.

Le Motivazioni della Cassazione

I giudici hanno ribadito un principio di diritto consolidato: ai fini della configurabilità dell’aggravante di aver commesso il fatto all’interno di un istituto penitenziario, è necessaria “l’effettiva offerta o cessione della sostanza stupefacente”. La norma, infatti, mira a punire più severamente proprio l’atto dinamico della commercializzazione e della diffusione della droga in un ambiente così delicato e controllato come il carcere.

Di conseguenza, l’aggravante non può essere applicata a una condotta di mera detenzione, che rappresenta un momento statico e successivo alla cessione. Poiché al ricorrente era contestato proprio l’atto di cessione, l’aggravante era correttamente applicata alla sua posizione. Al contrario, per il coimputato, accusato solo di detenzione, la stessa aggravante è stata giustamente esclusa.

La Corte ha concluso che la ricostruzione dei fatti e l’inquadramento giuridico operati dalla Corte d’Appello erano precisi, circostanziati e corretti, avendo tratto dalle risultanze processuali le giuste conseguenze sul piano del diritto.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza rafforza un importante principio: nel concorso di persone nel reato, le circostanze aggravanti legate a specifiche modalità della condotta non si comunicano automaticamente a tutti i concorrenti. È indispensabile analizzare il ruolo e l’azione concreta di ciascun individuo. Per quanto riguarda lo spaccio in carcere, la maggiore gravità sanzionatoria è riservata a chi introduce e diffonde attivamente la sostanza, ovvero a chi compie atti di offerta o cessione. La semplice detenzione, pur costituendo reato, non integra di per sé questa specifica aggravante. La decisione sottolinea quindi la necessità di un’attenta valutazione individuale delle condotte per una corretta applicazione della legge penale.

Perché l’aggravante per lo spaccio in carcere è stata applicata a un imputato e non all’altro?
L’aggravante è stata applicata solo all’imputato a cui era contestata la condotta di ‘cessione’ della sostanza stupefacente, in quanto la norma richiede un’offerta o una cessione effettiva. È stata invece esclusa per il coimputato a cui era contestata la sola ‘detenzione’, poiché questa condotta non integra i requisiti dell’aggravante.

Cosa è necessario per configurare l’aggravante della cessione di droga in un istituto penitenziario?
Secondo la Corte, per configurare l’aggravante prevista dall’art. 80, comma 1, lett. g) del d.P.R. 309/1990, è necessaria una condotta attiva di ‘offerta’ o ‘cessione’ della sostanza stupefacente all’interno o in prossimità dei luoghi indicati dalla norma, come un carcere.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione?
La declaratoria di inammissibilità comporta, oltre alla conferma della condanna, l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e di versare una somma di denaro, in questo caso fissata in tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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