Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 11713 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 11713 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Sant’Agata di Militello il DATA_NASCITA
NOME, nato a Sant’Agata di Militello il DATA_NASCITA
NOME, nato a Sant’Agata di Militello il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 9/2/2023 della Corte di appello di Palermo
Visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udita la requisitoria del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di rigettare i ricorsi;
uditi l’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME e NOME COGNOME anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, e dell’AVV_NOTAIO COGNOME, difensore di NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo di accogliere i ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 febbraio 2023 la Corte di appello di Palermo ha confermato quella emessa il 24 febbraio 2021 dal Tribunale di Termini Imerese, con cui NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati condannati alla pena ritenuta di giustizia, per avere – COGNOME – detenuto illecitamente sostanza stupefacente del tipo hashish e – COGNOME e COGNOME ceduto illecitamente sostanza stupefacente a NOME COGNOME, ristretto presso la casa circondariale “Cavallacci” di Termini Imerese.
Avverso la sentenza di appello, i difensori degli imputati hanno proposto ricorsi per cassazione.
Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto i motivi di seguito indicati.
3.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale per essere la responsabilità dell’imputato stata affermata in violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, senza tenere conto delle emergenze favorevoli al ricorrente e dei rilievi mossi nell’atto di gravame. Il ricorrente, come confermato anche dal coimputato NOME COGNOME, sarebbe stato estraneo alla cessione di stupefacente, oggetto della contestazione, essendosi limitato ad affiancare il coindagato in veste di ignaro accompagnatore, senza essere a conoscenza della natura criminosa dell’attività posta in essere da quest’ultimo. Al più, la condotta avrebbe potuto integrare gli estremi della semplice connivenza non penalmente rilevante.
3.2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata qualificazione del reato ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90. La Corte di appello avrebbe valutato soltanto il quantitativo di sostanza stupefacente e il fatto materiale nel suo complesso, senza scindere le singole posizioni degli imputati e distinguere quella del ricorrente.
3.3. Mancanza di motivazione in relazione allo specifico motivo di gravame concernente le attenuanti generiche.
Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto i motivi di seguito indicati.
4.1. Violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla doglianza relativa alla destinazione ad uso personale dello stupefacente ceduto. Secondo il ricorrente, la destinazione della sostanza allo spaccio sarebbe conclusione priva di motivazione ed implicitamente affidata al dato ponderale.
4.2. Mancanza di motivazione in relazione allo specifico motivo di gravame concernente la ricorrenza della fattispecie attenuata di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90. Il ricorrente aveva segnalato che il Tribunale aveva erroneamente utilizzato la circostanza relativa alla cessione in prossimità della struttura carceraria, oggetto di autonoma previsione ex art. 80, lettera g, d.P.R. n. 309/90, sia per escludere la lieve entità sia per applicare l’aggravante in questione.
Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla doglianza relativa alla destinazione ad uso personale dello stupefacente. Secondo il ricorrente, la destinazione della sostanza allo spaccio sarebbe conclusione priva di motivazione ed implicitamente affidata al dato ponderale. Sarebbe inadeguata anche la motivazione con cui si è esclusa la qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90 e la Corte di appello, in considerazione dei pochi precedenti penali dell’imputato, della sua condotta processuale, del modesto quantitativo del principio attivo, avrebbe potuto concedere al ricorrente le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza o, in subordine, di equivalenza rispetto all’aggravante contestata e contenere la pena nel minimo edittale. Il ricorrente aveva segnalato anche che il Tribunale aveva erroneamente utilizzato la circostanza relativa alla contestata recidiva sia per escludere la lieve entità sia per non concedere le attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Secondo la ricostruzione effettuata in modo concorde da entrambi i Giudici del merito, il 29 settembre 2017 gli agenti di Polizia giudiziaria avevano notato gli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME mentre, sportisi dalla finestra di un palazzo limitrofo al carcere di Termini Imerese, chiamavano a voce alta il detenuto NOME COGNOME, senza tuttavia ricevere risposta. Il medesimo episodio si era riproposto il 16 ottobre 2017 e, in tale occasione, però, COGNOME e COGNOME, dopo essersi messi in contatto con COGNOME, avevano lasciato all’interno della struttura carceraria un panetto di hashish, che, successivamente, era pervenuto nella disponibilità di COGNOME. Difatti, la sostanza drogante era stata recuperata da NOME COGNOME e consegnata a COGNOME, il quale l’aveva
portata nella sua cella, prima di essere sottoposto a una perquisizione ad opera del personale di Polizia.
La menzionata Corte ha precisato che l’asserita destinazione ad uso esclusivamente personale, dedotta da NOME COGNOME, era smentita da una pluralità di elementi di fatto, tra cui il non indifferente dato ponderale, essendo ricavabili dal principio attivo ben 446,7 dosi medie singole. Peraltro, appariva improbabile che COGNOME avesse inteso fare provvista di stupefacente, atteso che, trovandosi detenuto presso una struttura carceraria, sarebbe stato impossibile per lui celare agli occhi della Polizia giudiziaria un tale quantitativo d droga.
Alla luce di quanto precede occorre partire, nell’ordine logico, dalla disamina del motivo di ricorso con cui NOME COGNOME ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che egli detenesse la droga per farne un uso personale.
A questo proposito deve ribadirsi che il detenere sostanza stupefacente per farne un uso personale si caratterizza come elemento negativo della fattispecie incriminatrice tipizzata nell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 nei diversi titoli reato di cui si compone il modello legale (art. 73, primo, quarto e quinto comma).
La prova della finalità di spaccio, che spetta all’accusa ed esclude evidentemente l’uso personale della droga, può essere ricavata, come per qualsiasi altro elemento di prova, da qualsiasi dato, anche indiziario, che, munito dei requisiti della univocità e della certezza, consenta di inferirne la sussistenza attraverso un rigoroso procedimento logico fondato su corrette massime di esperienza (cfr.: Sez. 3, 24651 del 22/02/2023, Guddemi, Rv. 284842 – 01; Sez. 4, n. 4614 del 13/05/1997, Montino, Rv. 207885 – 01).
Non è superfluo ricordare che la valutazione del giudice di merito sulla finalità di cessione a terzi della detenzione di stupefacenti si risolve in un giudizio di fatto che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità, se sorretto d motivazione immune dal vizio di manifesta illogicità risultante dal testo della sentenza impugnata o da altri atti del processo specificamente indicati nell’atto di gravame (cfr.: Sez. 4, n. 2522 del 26/01/1996, Antognoli, Rv. 204957 – 01).
Nel caso di specie, i Giudici di merito, con doppia e conforme decisione, avuto riguardo alla quantità dello stupefacente e del luogo in cui era conservato, hanno escluso che NOME COGNOME detenesse la sostanza stupefacente per uso personale.
Siffatta motivazione è priva di vizi di manifesta illogicità e ad essa il motivo di ricorso ha opposto argomenti generici e meramente fattuali, come tali insuscettibili di sindacato in sede di giudizio di legittimità.
3.1. Ritenuta provata la finalità di spaccio in capo a NOME COGNOME, deve ritenersi sconfessata già in fatto la tesi degli altri ricorrenti NOME COGNOME NOME COGNOME, secondo cui la cessione, da essi posta in essere, non avrebbe rilevanza penale in quanto effettuata per soddisfare esigenze di uso personale del destinatario della stessa. Il che all’evidenza rende superflua ogni disamina sulla fondatezza in diritto dell’anzidetta tesi.
3.2. Riguardo a NOME COGNOME deve rilevarsi, inoltre, che la ricostruzione dei fatti, come accertata dai Giudici del merito, rende evidente che è corretta –l’epilogo decisorio dei Giudici di merito in ordine alla piena e consapevole partecipazione al reato di tale ricorrente, con esclusione, quindi, dell’invocata connivenza non penalmente rilevante.
Manifestamente infondate sono le censure, dedotte da tutti i ricorrenti, sulla mancata qualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90.
Al riguardo la Corte territoriale ha affermato che il dato ponderale (la quantità di principio attivo, contenuta nello stupefacente in sequestro, era superiore a quella detenibile per legge, come si evinceva dalla relazione tecnica allegata agli atti) disvelava una certa prolificità dei traffici illeciti, consisti ripartizione dello stupefacente tra i soggetti detenuti. A ciò si aggiungeva che il fatto in esame assumeva ancor maggiore disvalore penale proprio in virtù del luogo in cui l’attività di spaccio era stata perpetrata, in assenza dell’intervento risolutivo delle Forze dell’ordine. Inoltre, le modalità della condotta disvelavano una certa organizzazione dell’attività: NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano individuato, infatti, un luogo adatto al lancio dello stupefacente all’interno della struttura carceraria, riuscendo finanche a mettersi in contatto con il complice detenuto. «Quest’ultimo, d’altro canto, avrebbe dovuto conservare, celare e, infine, suddividere la droga tra i soggetti reclusi. Il che presuppone un forte radicamento dell’attività di spaccio all’interno della casa circondariale».
Siffatte argomentazioni resistono ai rilievi dei ricorrenti.
Per consolidata giurisprudenza, il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90 può essere riconosciuto in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altr parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici, previsti dalla legge, risulti
negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, COGNOME, Rv. 247911 – 01; Sez. U, n.17 del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216668 – 01).
Anche la più recente pronuncia delle Sezioni Unite (n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076 – 01) ha fatto applicazione di tali principi, avendo affermato che l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici, previsti dalla disposizione.
Alla luce di siffatte coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che la Corte territoriale, nell’escludere l’ipotesi tenue del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990, ha effettuato una valutazione complessiva della fattispecie concreta e il riferimento al luogo, in cui l’attività era avvenuta, è stato effettuato solo evidenziare il maggiore disvalore penale del fatto, senza che, quindi, il luogo della condotta avesse assunto una valenza decisiva al fine della qualificazione giuridica operata.
Ne discende che la circostanza, valorizzata come aggravante dall’art. 80, comma 1, lett. G, d.P.R. cit., non può ritenersi presa in considerazione due volte, come invece asserito dai ricorrenti NOME COGNOME e COGNOME NOME COGNOME.
La recidiva, invece, contestata a NOME COGNOME, non ha inciso sulla qualificazione dei fatti.
Quanto alle residue censure dei ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME, deve rilevarsi che le attenuanti generiche sono state negate in considerazione della gravità della condotta, caratterizzata dalla detenzione di una considerevole quantità di sostanza stupefacente, per di più da spacciare all’interno di una struttura carceraria. Peraltro, COGNOME e COGNOME avevano già precedenti mentre COGNOME, sebbene incensurato, aveva assunto un atteggiamento processuale negativo, avendo cercato di assumere su di sé la responsabilità del fatto nel tentativo di scagionare il complice COGNOME.
Così argomentando, il Collegio territoriale si è correttamente conformato al consolidato orientamento di questa Corte, per la quale, al fine di ritenere o escludere la configurabilità delle attenuanti generiche, il Giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio: anche un solo elemento, attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso, può, pertanto, risultare all’uopo sufficiente (così, ex multis, Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, COGNOME e altri, Rv. 249163 01).
5.1. La Corte territoriale ha poi aggiunto che non poteva procedersi ad una revisione in me/ius del trattamento sanzionatorio, avuto riguardo ai criteri indicati dall’art 133 cod. pen., in particolare all’intensità del dolo, per come s evinceva dalle modalità delle condotte, e all’assenza di manifestazione di volontà seria, concreta e certa di resipiscenza rispetto a quanto commesso.
Siffatta motivazione, logica e adeguata, sfugge a ogni rilievo.
La declaratoria di inammissibilità dei ricorsi comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’11/1/2024