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Spaccio in carcere: la Cassazione conferma le condanne

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per tre individui coinvolti in un episodio di spaccio in carcere. Due soggetti avevano ceduto un panetto di hashish a un detenuto, lanciandolo da un palazzo adiacente al penitenziario. La Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, escludendo la destinazione a uso personale della droga, data l’ingente quantità (oltre 440 dosi), e la fattispecie di lieve entità, a causa della gravità e dell’organizzazione del fatto. La sentenza sottolinea come il contesto carcerario aggravi il disvalore penale dell’azione.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio in Carcere: la Cassazione Conferma la Linea Dura

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito la severità con cui l’ordinamento giuridico tratta lo spaccio in carcere. Il caso analizzato riguarda l’introduzione di sostanze stupefacenti all’interno di un istituto penitenziario tramite un lancio da un edificio esterno. La Suprema Corte, dichiarando inammissibili i ricorsi degli imputati, ha fornito importanti chiarimenti sui criteri per distinguere l’uso personale dallo spaccio e per valutare la ‘lieve entità’ del fatto in un contesto di particolare allarme sociale come quello carcerario.

I Fatti: Un Lancio di Droga nel Penitenziario

La vicenda ha origine da un episodio avvenuto nel 2017. Due soggetti, posizionatisi alla finestra di un palazzo limitrofo a un carcere, dopo aver stabilito un contatto verbale con un detenuto, lanciavano all’interno della struttura un panetto di hashish. La sostanza, recuperata da un altro detenuto e consegnata al destinatario finale, veniva sequestrata dal personale di Polizia Penitenziaria prima che potesse essere ulteriormente distribuita.
I giudici di merito, sia in primo grado che in appello, avevano condannato i tre individui: i due ‘lanciatori’ per cessione illecita di stupefacenti e il detenuto per detenzione ai fini di spaccio.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione basandosi su diverse argomentazioni:
1. Uso personale: Il detenuto sosteneva che la droga fosse destinata esclusivamente al proprio consumo personale, il che avrebbe escluso il reato di detenzione ai fini di spaccio.
2. Semplice connivenza: Uno degli autori materiali della cessione affermava di essere stato un semplice accompagnatore, ignaro dell’intento criminoso del complice, configurando al massimo una connivenza non punibile.
3. Fatto di lieve entità: Tutti i ricorrenti chiedevano il riconoscimento della fattispecie attenuata prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90, sostenendo che i giudici avessero erroneamente valutato la gravità del fatto.
4. Diniego delle attenuanti generiche: Si contestava il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, che avrebbero potuto portare a una riduzione della pena.

Le Motivazioni della Cassazione sullo Spaccio in Carcere

La Corte di Cassazione ha respinto tutte le doglianze, giudicando i ricorsi manifestamente infondati e, quindi, inammissibili. Le motivazioni della decisione sono cruciali per comprendere l’approccio della giurisprudenza allo spaccio in carcere.

L’Esclusione dell’Uso Personale

La tesi della destinazione a uso personale è stata smontata sulla base di due elementi principali. In primo luogo, il dato ponderale: dal principio attivo contenuto nel panetto di hashish era possibile ricavare ben 446,7 dosi medie singole. Una quantità, secondo la Corte, del tutto incompatibile con un consumo puramente individuale. In secondo luogo, il contesto: appariva altamente improbabile che un detenuto potesse occultare con successo una tale quantità di droga per un uso personale prolungato all’interno di una struttura di detenzione soggetta a continui controlli.

La Non Configurabilità del Fatto di Lieve Entità

La Corte ha negato la possibilità di qualificare il reato come di ‘lieve entità’. La valutazione, hanno spiegato i giudici, non può basarsi solo sulla quantità, ma deve considerare tutti gli indici previsti dalla norma: mezzi, modalità e circostanze dell’azione. Nel caso di specie, le modalità della condotta rivelavano un’organizzazione non trascurabile: l’individuazione di un luogo idoneo per il lancio, il coordinamento con il complice detenuto e la pianificazione per la successiva suddivisione della droga tra i reclusi. Il luogo stesso, ovvero un istituto penitenziario, è stato considerato un elemento che accentua il disvalore penale del fatto, presupponendo un ‘forte radicamento dell’attività di spaccio’ all’interno della struttura.

Il Diniego delle Attenuanti Generiche

Infine, la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito di negare le attenuanti generiche. La gravità della condotta, la considerevole quantità di stupefacente, i precedenti penali di due degli imputati e l’atteggiamento processuale negativo di uno di essi (che aveva tentato di scagionare il complice) sono stati considerati elementi sufficienti a giustificare tale diniego.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di spaccio in carcere. La Corte ribadisce che la valutazione sulla destinazione della sostanza e sulla gravità del fatto deve essere complessiva e ancorata a dati oggettivi. La quantità di droga rimane un indice fondamentale per escludere l’uso personale, ma sono le modalità organizzate e il contesto di speciale vulnerabilità, come un penitenziario, a rendere l’azione particolarmente grave, precludendo l’accesso a benefici come la fattispecie di lieve entità o le attenuanti generiche.

Quando la detenzione di droga non può essere considerata per uso personale?
Secondo la sentenza, la destinazione all’uso personale è esclusa quando elementi oggettivi indicano una finalità di spaccio. In questo caso, l’enorme quantità di sostanza (sufficiente per oltre 440 dosi) e il contesto (un carcere, dove sarebbe impossibile nascondere tale quantità per sé) sono stati decisivi per inferire l’intento di cederla a terzi.

Quali elementi impediscono di qualificare un reato di droga come ‘fatto di lieve entità’?
La qualifica di ‘lieve entità’ richiede una valutazione complessiva di tutti gli aspetti della condotta. Vengono esclusi da tale qualifica i fatti che, pur non coinvolgendo quantità esorbitanti di droga, mostrano un’elevata gravità a causa delle modalità organizzate (pianificazione, coordinamento tra più persone) e del contesto in cui avvengono, come lo spaccio all’interno o verso un istituto penitenziario.

La semplice presenza durante un reato è punibile?
No, la legge distingue la partecipazione attiva a un reato (concorso) dalla semplice ‘connivenza’, che è la mera consapevolezza passiva del reato altrui e non è punibile. Tuttavia, nel caso esaminato, la Corte ha stabilito che la condotta di uno degli imputati non era di mera presenza, ma costituiva una partecipazione piena e consapevole all’azione criminosa, contribuendo attivamente alla sua riuscita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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