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Spaccio di stupefacenti: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio di stupefacenti. I giudici hanno stabilito che i motivi del ricorso erano una mera ripetizione di quanto già discusso e rigettato in appello. Inoltre, la Corte ha confermato che elementi come il quantitativo della sostanza (sufficiente per 313 dosi), il ritrovamento in luoghi diversi e l’assenza di un’attività lavorativa costituivano prove sufficienti della destinazione allo spaccio, escludendo l’uso personale. Un ulteriore motivo, relativo alla particolare tenuità del fatto, è stato respinto perché presentato per la prima volta in Cassazione, e quindi tardivo.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di Stupefacenti: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

Il reato di spaccio di stupefacenti è al centro di una recente ordinanza della Corte di Cassazione, che offre importanti chiarimenti sui requisiti di ammissibilità del ricorso e sugli elementi probatori sufficienti a dimostrare la finalità della vendita. La pronuncia sottolinea come la mera ripetizione dei motivi d’appello e l’introduzione di nuove censure in sede di legittimità conducano inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni dei giudici.

I Fatti del Caso: Una Condanna Confermata in Appello

Il caso ha origine dalla condanna di un individuo da parte del Tribunale per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990 (Testo Unico sugli Stupefacenti). La pena inflitta era di sette mesi di reclusione e 1.200 euro di multa, con il riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alla recidiva.

La sentenza di primo grado veniva integralmente confermata dalla Corte d’Appello. Secondo i giudici di merito, le prove raccolte erano sufficienti a dimostrare la colpevolezza dell’imputato e la destinazione della sostanza stupefacente allo spaccio, e non all’uso personale.

I Motivi del Ricorso in Cassazione sullo Spaccio di Stupefacenti

Contro la decisione della Corte d’Appello, l’imputato proponeva ricorso per cassazione basato su due principali motivi di doglianza.

La presunta assenza di prove sulla destinazione allo spaccio

Il ricorrente lamentava la violazione dell’articolo 533 del codice di procedura penale, sostenendo che non fossero emersi elementi concreti per inferire che la droga detenuta fosse destinata alla vendita. A suo dire, mancava la prova della finalità di spaccio, elemento costitutivo del reato contestato.

La richiesta tardiva di applicazione della particolare tenuità del fatto

In secondo luogo, veniva eccepita la violazione dell’articolo 131-bis del codice penale, che disciplina la non punibilità per particolare tenuità del fatto. Si tratta di un’argomentazione non sollevata nei precedenti gradi di giudizio.

La Decisione della Corte: Inammissibilità per Genericità e Tardività

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per intero, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni: Perché il ricorso è stato respinto

L’ordinanza della Suprema Corte si basa su principi consolidati in materia di procedura penale e di valutazione della prova nel reato di spaccio di stupefacenti.

La reiterazione dei motivi d’appello

Il primo motivo di ricorso è stato ritenuto inammissibile perché costituiva una “pedissequa reiterazione” delle censure già presentate e motivatamente respinte dalla Corte d’Appello. La Cassazione ricorda che il ricorso di legittimità deve contenere una critica argomentata e specifica contro la sentenza impugnata, non potendosi limitare a riproporre le stesse questioni. Un ricorso così formulato è considerato non specifico, ma solo apparente.

Gli indizi univoci dello spaccio

Nel merito, la Corte territoriale aveva correttamente evidenziato una serie di elementi che, nel loro complesso, deponevano “univocamente per la destinazione allo spaccio”. Tali elementi includevano:
* Il rinvenimento dello stupefacente in tre luoghi distinti (un barattolo consegnato spontaneamente, uno nascosto sotto un materasso e un altro in sala da pranzo).
* Il quantitativo significativo, dal quale era possibile ricavare 313 singole dosi.
* L’assenza di un’attività lavorativa da parte dell’imputato.
* La mancata dimostrazione di uno stato di abituale assunzione per uso personale.
Questi indizi, valutati congiuntamente, superavano il mero dato ponderale della sostanza, delineando un quadro probatorio coerente con l’attività di spaccio.

La tardività del motivo sulla particolare tenuità

Il secondo motivo, relativo all’applicazione dell’art. 131-bis c.p., è stato dichiarato inammissibile per tardività. I giudici hanno evidenziato che tale doglianza non era mai stata sollevata nel corso del giudizio di appello. In base a un principio consolidato, non è possibile dedurre per la prima volta in sede di legittimità questioni che non sono state oggetto dei motivi di appello.

Conclusioni: Lezioni Pratiche dalla Sentenza

L’ordinanza in esame ribadisce due principi fondamentali. In primo luogo, la prova del reato di spaccio di stupefacenti può essere raggiunta anche attraverso elementi indiziari (quantità, modalità di occultamento, condizione economica dell’imputato), quando questi sono gravi, precisi e concordanti. In secondo luogo, il ricorso per cassazione non è una terza istanza di giudizio sul merito, ma un controllo di legittimità. Pertanto, i motivi devono essere specifici e non possono limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già respinte, né possono introdurre doglianze nuove e tardive. La corretta impostazione dei motivi d’appello è, quindi, cruciale per poter validamente difendere le proprie ragioni anche davanti alla Suprema Corte.

Quali elementi possono dimostrare l’intenzione di spaccio di stupefacenti anche senza una vendita diretta?
Secondo la Corte, elementi come il quantitativo della sostanza (sufficiente per 313 dosi singole), il suo ritrovamento in più luoghi distinti e nascosti, l’assenza di un’attività lavorativa e la mancata dimostrazione di un uso personale abituale, costituiscono un quadro indiziario sufficiente a provare la destinazione allo spaccio.

È possibile presentare per la prima volta un motivo di ricorso in Cassazione?
No. La Corte ha dichiarato inammissibile il motivo relativo alla particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) proprio perché era tardivo, ovvero non era stato sollevato come motivo nel precedente giudizio d’appello. Le questioni nuove non possono essere introdotte per la prima volta in Cassazione.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
La declaratoria di inammissibilità comporta, oltre alla conferma della condanna, l’onere per il ricorrente di pagare le spese del procedimento e di versare una somma di denaro, equitativamente fissata dal giudice (in questo caso 3.000 euro), in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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