Spaccio di Stupefacenti: Quando le Intercettazioni Valgono come Prova
La lotta allo spaccio di stupefacenti si avvale di molteplici strumenti investigativi, ma quale valore probatorio hanno le intercettazioni telefoniche? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, confermando che la prova di un’attività di spaccio non dipende esclusivamente dal sequestro della sostanza, ma può essere solidamente costruita su un quadro indiziario coerente, incluse le conversazioni captate.
Il Caso: Dalle Telefonate alla Condanna per Spaccio
La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un individuo per detenzione e spaccio di cocaina, in concorso con un’altra persona. La condanna, emessa dal Tribunale di primo grado e confermata dalla Corte d’Appello, si basava su un solido impianto probatorio. Le indagini avevano preso le mosse da una serie di intercettazioni telefoniche che rivelavano contatti frequenti e sistematici finalizzati alla vendita di droga.
La prova regina è arrivata quando, a seguito di uno degli incontri programmati telefonicamente, l’imputato è stato fermato e trovato in possesso di 36 dosi di cocaina, già confezionate e pronte per la cessione. Questo elemento, unito al tenore delle conversazioni e alla collaborazione con un coimputato pluripregiudicato, ha delineato un quadro di attività criminale stabile e organizzata.
I Motivi del Ricorso e le Difese dell’Imputato
Nonostante le prove, la difesa ha presentato ricorso in Cassazione, articolando quattro principali motivi di contestazione:
1. Nullità della sentenza di primo grado: per motivazione omessa o solo apparente.
2. Travisamento della prova: sostenendo un’errata interpretazione degli elementi raccolti a carico dell’imputato.
3. Mancato riconoscimento della lieve entità: richiesta di applicare la fattispecie attenuata prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti.
4. Eccessività della pena: contestando il trattamento sanzionatorio applicato.
In sostanza, la difesa ha tentato di smontare l’impianto accusatorio, mettendo in discussione sia la valutazione delle prove che la qualificazione giuridica del fatto e la commisurazione della pena.
La Prova dello Spaccio di Stupefacenti Oltre il Sequestro
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le doglianze. Il punto centrale della decisione riguarda la formazione della prova. I giudici hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza: la prova dei reati di traffico e spaccio di stupefacenti può essere desunta non solo dal sequestro o dal rinvenimento delle sostanze, ma anche da altre fonti probatorie.
Nel caso specifico, le intercettazioni telefoniche non erano semplici indizi, ma elementi centrali che, letti insieme alla successiva perquisizione e al ritrovamento delle dosi, dimostravano in modo inequivocabile l’esistenza di una sistematica attività di spaccio. La Corte ha sottolineato come l’interpretazione delle conversazioni fornita dai giudici di merito fosse logica e coerente con il dato fattuale, rendendo impossibile una rilettura alternativa in sede di legittimità, in assenza di un palese travisamento del loro contenuto.
Perché Non è Stata Riconosciuta la ‘Lieve Entità’?
Uno dei motivi di ricorso più significativi era la richiesta di derubricare il reato nella meno grave ipotesi della ‘lieve entità’. Anche su questo punto, la Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito. La Corte ha spiegato che, per valutare la lieve entità, bisogna considerare tutti gli elementi indicati dalla norma: i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione, nonché la quantità e qualità della sostanza.
Nel caso in esame, diversi fattori ostacolavano il riconoscimento dell’attenuante:
– La continuità dei rapporti con il coimputato per finalità di spaccio.
– Il ruolo attivo svolto dall’imputato nell’organizzazione degli incontri.
– La collaborazione con un soggetto di spiccata caratura criminale.
Questi elementi, nel loro insieme, delineavano un’attività non occasionale o di modesta portata, ma inserita in un contesto criminale più strutturato, incompatibile con la ‘lieve entità’.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte Suprema ha ritenuto i motivi del ricorso una mera riproposizione di argomenti già adeguatamente esaminati e respinti nei gradi di merito. Non sono state introdotte critiche specifiche e nuove contro le argomentazioni della sentenza impugnata. La motivazione della Corte d’Appello è stata giudicata logica ed esaustiva. È stato chiarito che il materiale probatorio, composto da intercettazioni e dagli esiti della perquisizione, era pienamente idoneo a dimostrare la responsabilità penale. Per quanto riguarda la pena, i giudici hanno ricordato che la sua graduazione è una scelta discrezionale del giudice di merito. Quando la pena inflitta è ampiamente al di sotto della media edittale, non è necessaria una motivazione analitica, essendo sufficienti espressioni sintetiche come ‘pena congrua’ a giustificare la decisione.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza rafforza alcuni principi fondamentali in materia di reati di droga. In primo luogo, consolida il valore delle prove indirette, come le intercettazioni, nella dimostrazione dello spaccio di stupefacenti, confermando che l’accertamento del reato non è vincolato al solo sequestro della sostanza. In secondo luogo, ribadisce i criteri rigorosi per l’applicazione dell’ipotesi di ‘lieve entità’, escludendola in presenza di elementi che indicano una professionalità e sistematicità nell’attività criminale. Infine, riafferma l’ampia discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena, limitando la possibilità di censura in Cassazione ai soli casi di motivazione manifestamente illogica o di pene sproporzionate rispetto alla media.
La prova dello spaccio di stupefacenti può basarsi solo su intercettazioni telefoniche?
La Corte chiarisce che la prova dei reati di traffico e detenzione a fini di spaccio può essere desunta non solo dal sequestro delle sostanze, ma anche da altre fonti probatorie, come le intercettazioni telefoniche, specialmente se il loro contenuto è coerente con altri elementi fattuali (nel caso specifico, il successivo ritrovamento di dosi di cocaina).
Quando si può escludere l’ipotesi di reato di ‘lieve entità’ nello spaccio?
L’ipotesi di lieve entità può essere esclusa quando emergono elementi che indicano una certa gravità del fatto. In questa ordinanza, i fattori decisivi sono stati la continuità dei rapporti finalizzati allo spaccio, il ruolo attivo dell’imputato e la sua collaborazione con un coimputato di spiccata caratura criminale.
Il giudice deve sempre motivare in modo dettagliato la pena inflitta?
No. Secondo la Corte, per assolvere all’obbligo di motivazione, è sufficiente che il giudice utilizzi espressioni come ‘pena congrua’ o faccia riferimento alla gravità del reato, a meno che la pena inflitta non sia di gran lunga superiore alla misura media prevista dalla legge. In tal caso, è necessaria una spiegazione più specifica e dettagliata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29067 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29067 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ANDRIA il 03/08/1959
avverso la sentenza del 21/09/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Trani il 14 luglio 2021 che aveva condannato COGNOME Tommaso alla pena di anni 4, mesi 3 di reclusione ed C 2.000,00 di multa per il reato di cui agli artt. 81, 110 cod. pen. e 73, comma 1, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
L’imputato ricorre avverso la sentenza della Corte di appello formulando quattro motivi di ricorso. Con il primo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata declaratoria di nullità della sentenza di primo grado per omessa e/o apparente motivazione; con il secondo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento della prova in relazione alla pronuncia di responsabilità penale a suo carico; con il terzo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per il mancato riconoscimento dell’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, co.5 D.P.R. 309/90; con il quarto, violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al trattamento sanzionatorio.
Tutti i motivi di ricorso riproducono doglianze adeguatamente esaminate e disattese dai giudici di merito e non introducono specifiche critiche alle argomentazioni poste a base della sentenza impugnata (pag. 3). La Corte territoriale, con motivazione non illogica ed esaustiva, ritiene il materiale probatorio acquisito agli atti e posto alla base della pronuncia di primo grado, pienamente idoneo alla dimostrazione della responsabilità penale del Rella con riferimento al reato ascrittogli. La sentenza impugnata richiama il contenuto delle conversazioni intercettate e gli esiti della perquisizione nei confronti del COGNOME all’esito dei contatti inequivocabilmente rivelatori di una sistematica attività di spaccio. A seguito dei contatti telefonici, infatti, il COGNOME era s trovato in possesso di 36 dosi di cocaina già confezionate e pronte per la cessione: gli elementi indicati dalla Corte territoriale sono stati considerati pienamente conducenti alla dimostrazione dello stabile inserimento del ricorrente nell’attività di spaccio di stupefacenti con il coimputato COGNOME, pluripregiudicato. Va poi ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che la prova dei reati di traffico e di detenzione a fini di spacci di sostanze stupefacenti può essere desunta non soltanto dal sequestro o dal rinvenimento delle sostanze, ma anche da altre fonti probatorie (Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Rv. 263544; Sez. 4, n. 48008 del 18/11/2009, Rv. 245738; Sez. 4, n. 20129 del 25/06/2020, Rv. 279251), quali le
intercettazioni telefoniche. Le ragioni suesposte militano altresì per l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso. In sede di legittimità è invero possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 6, n. 11189 dell’8/03/2012, Rv. 252190; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, Rv. 259516; Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, Rv. 272558). Nel caso di specie, l’interpretazione fornita dai giudici di merito alle conversazioni intercettate risulta coerente con il dato fattuale proprio in considerazione del fatto che, a seguito degli incontri programmati telefonicamente, il Rella era stato trovato in possesso di una significativa quantità di cocaina, in dosi preconfezionate.
Manifestamente infondate sono le doglianze proposte con il terzo motivo di ricorso. La Corte territoriale, con giudizio immune da vizi di logicità, ha spiegato le ragioni per cui, per le modalità dell’azione (in riferimento alla continuità dei rapporti intrattenuti con il coimputato COGNOME, seggetto di spiccata caratura criminale, e al ruolo attivo del COGNOME nella innumerevole serie di appuntamenti per finalità di spaccio), non sono ravvisabili, nel caso di specie, i presupposti per il riconoscimento dell’ipotesi di lieve entità. La pronuncia è pienamente rispettosa dei canoni interpretativi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, che richiedono, per l’applicazione dell’art. 73, comma 5, D. P. R. 3 0 9 / 1 9 9 0, di valutare tutti gli elementi indicati dall norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti) (cfr. Sez. 6, n. 45694 del 28/09/2016, Rv. 268293; Sez. 6, n. 27809 del 05/03/2013 Rv. 255856; S.U, 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076).
In ordine all’ultimo motivo di ricorso, va ricordato che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (cfr. Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017; Rv. 271243; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Rv. 256197).Nel caso di specie, la pena inflitta è ampiamente al di sotto della
media edittale, ed è dunque del tutto adeguata la motivazione resa nella sentenza impugnata.
6. Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento
di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma in data 8 luglio 2025.