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Spaccio di lieve entità: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio di lieve entità. La decisione si fonda sulla genericità del ricorso, che si limitava a ripetere censure già respinte. Le prove decisive, quali la suddivisione della cocaina in dosi, un taccuino con nomi e cifre e il possesso di denaro ingiustificato, sono state ritenute sufficienti a confermare la finalità di cessione.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di Lieve Entità: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso di spaccio di lieve entità, confermando la condanna di un individuo e chiarendo i limiti dell’ammissibilità dei ricorsi basati su motivi generici e ripetitivi. Questa decisione sottolinea l’importanza di presentare censure specifiche e nuove, anziché limitarsi a riproporre questioni già valutate e respinte nei precedenti gradi di giudizio.

Il Caso in Esame: Droga, Denaro e un Taccuino

Il ricorrente era stato condannato dalla Corte d’Appello di Roma per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90, ovvero per detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti di lieve entità. La condanna si basava su una serie di elementi probatori ritenuti concordanti e significativi dai giudici di merito.

Nello specifico, l’imputato era stato trovato in possesso di cocaina già suddivisa in dosi, un chiaro indizio della destinazione alla vendita. A questo si aggiungeva il ritrovamento di un taccuino contenente annotazioni di nomi e cifre, interpretato come un registro dell’attività di spaccio. Infine, l’uomo possedeva una somma di 1.250 euro, ritenuta incompatibile con le sue condizioni economiche e l’assenza di un’attività lavorativa dimostrabile.

Di fronte a questi elementi, il soggetto ha proposto ricorso per Cassazione, contestando l’affermazione di responsabilità.

La Decisione sul caso di spaccio di lieve entità

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della cassa delle ammende. La decisione si fonda su due pilastri principali: la genericità e la manifesta infondatezza del ricorso.

Le Motivazioni

I giudici hanno osservato che i motivi proposti dall’imputato erano ‘meramente reiterativi’. In altre parole, il ricorso non introduceva nuovi elementi di critica alla sentenza impugnata, ma si limitava a riproporre le stesse censure già esaminate e motivatamente respinte dalla Corte d’Appello. La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere inammissibili i ricorsi che non si confrontano specificamente con la motivazione della sentenza precedente, ma si risolvono in una sterile riproposizione di argomenti già disattesi.

La Corte ha ribadito che le prove raccolte erano state valutate in modo logico e congruo. La combinazione della droga suddivisa in dosi, del taccuino con la contabilità e del possesso di una somma di denaro non giustificata costituiva un quadro probatorio solido, idoneo a dimostrare senza ragionevoli dubbi la finalità di cessione a terzi della sostanza stupefacente.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: per avere successo in Cassazione, non è sufficiente dissentire dalla decisione di merito. È necessario articolare motivi di ricorso specifici, che evidenzino vizi di legittimità (come violazioni di legge o difetti manifesti di motivazione) e non si limitino a sollecitare una nuova e diversa valutazione delle prove, inammissibile in sede di legittimità. La decisione riafferma che un insieme di indizi precisi, gravi e concordanti, come quelli presenti nel caso di specie, è pienamente sufficiente a fondare una sentenza di condanna per spaccio di lieve entità.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile per genericità e manifesta infondatezza, in quanto si limitava a ripetere censure già esaminate e respinte con adeguata motivazione dalla Corte d’Appello, senza presentare nuovi e specifici motivi di critica.

Quali prove sono state considerate decisive per confermare l’intento di spaccio?
Le prove decisive sono state la suddivisione della cocaina in dosi, il possesso di un taccuino con annotazioni di nomi e cifre riconducibili all’attività di cessione e il possesso di una somma di 1.250 euro, ritenuta incompatibile con l’assenza di un’attività lavorativa dimostrata.

Quali sono le conseguenze per il ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende. La sua condanna diventa definitiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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