Spaccio di lieve entità: quando la professionalità esclude l’attenuante
Con l’ordinanza n. 5379/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui criteri per l’applicazione della fattispecie di spaccio di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90. La decisione chiarisce che un’attività di spaccio caratterizzata da professionalità, assiduità e quantitativi complessivamente rilevanti non può beneficiare di tale qualificazione giuridica, anche se le singole cessioni sono modeste. Vediamo nel dettaglio la vicenda processuale e i principi affermati dalla Suprema Corte.
I Fatti del Processo
Il caso origina dal ricorso presentato da un imputato, condannato nei gradi di merito per plurimi episodi di detenzione e cessione illecita di sostanze stupefacenti, nello specifico cocaina. Le sentenze precedenti avevano ritenuto l’imputato responsabile, delineando un quadro di attività criminale consolidata. L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, contestando la qualificazione giuridica dei fatti e la determinazione della pena.
I Motivi del Ricorso e lo spaccio di lieve entità
Le doglianze difensive si concentravano su due punti principali:
1. Erronea qualificazione giuridica: Secondo il ricorrente, i giudici di merito avrebbero errato nel non riconoscere la fattispecie di spaccio di lieve entità. Si sosteneva che la condotta dovesse essere inquadrata in questa ipotesi meno grave, con conseguente riduzione della pena.
2. Violazione dei criteri di commisurazione della pena: Il ricorrente lamentava una violazione dell’art. 133 del codice penale, ritenendo la sanzione inflitta eccessivamente severa e non correttamente motivata in relazione alla gravità dei fatti e alla sua personalità.
La difesa mirava a ottenere una riqualificazione del reato che avrebbe comportato un trattamento sanzionatorio significativamente più mite, basandosi su una diversa valutazione degli elementi probatori.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le motivazioni della sentenza impugnata complete, logiche e giuridicamente corrette. Gli Ermellini hanno smontato punto per punto le argomentazioni difensive.
In primo luogo, riguardo alla mancata applicazione dell’ipotesi di spaccio di lieve entità, la Corte ha sottolineato come i giudici di merito avessero correttamente valutato una serie di elementi fattuali ostativi. Nello specifico, la decisione si fondava su:
* Rilevanti quantitativi complessivi: Sebbene le singole cessioni potessero essere contenute, la quantità totale di sostanza stupefacente commercializzata nel tempo era significativa.
* Assiduità e continuità: L’attività di spaccio si era protratta per anni, dimostrando non un episodio sporadico, ma una condotta abituale e continuativa.
* Modalità operative: Le modalità della condotta indicavano una vera e propria professionalità nell’attività illecita, con una consolidata capacità di diffusione della droga sul mercato.
Questi elementi, valutati nel loro complesso, sono stati ritenuti incompatibili con la nozione di “minima offensività” che caratterizza il fatto di lieve entità. La Corte ha ribadito che la valutazione non può limitarsi alla singola cessione, ma deve considerare l’intera condotta dell’imputato.
In secondo luogo, per quanto riguarda la presunta violazione dell’art. 133 c.p., la Corte ha ricordato un principio consolidato: la determinazione della pena è una valutazione di merito, rimessa al prudente apprezzamento del giudice. Il giudizio di cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, ma solo verificare che la decisione non sia frutto di arbitrarietà o di un ragionamento manifestamente illogico. Nel caso di specie, la pena era stata motivata in base alla gravità dei fatti e alla personalità negativa dell’imputato, argomentazioni ritenute pertinenti e sufficienti.
Conclusioni
La decisione in commento rafforza un orientamento giurisprudenziale consolidato: la qualificazione di un fatto di spaccio come di “lieve entità” richiede una valutazione globale che tenga conto di tutti gli indici previsti dalla norma. La professionalità, la sistematicità e l’inserimento stabile nel mercato degli stupefacenti sono elementi che, anche in presenza di singole cessioni modeste, precludono l’accesso a questa fattispecie attenuata. La Corte di Cassazione conferma così che l’offensività della condotta va misurata non solo sulla singola azione, ma sul complessivo disvalore dell’attività criminale posta in essere.
Quando può essere escluso il reato di spaccio di lieve entità?
Può essere escluso quando gli elementi del caso indicano una professionalità nell’attività illecita. Secondo la Corte, fattori come la rilevante quantità di sostanza complessivamente commercializzata, l’assiduità delle condotte protratte per anni e le modalità operative dimostrano una capacità di diffusione sul mercato incompatibile con la nozione di minima offensività richiesta per questa fattispecie.
La Corte di Cassazione può modificare la pena decisa dal giudice di merito?
No, la determinazione della pena è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la decisione sulla pena è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico, ma non può effettuare una nuova valutazione sulla sua congruità.
Quali elementi sono stati considerati per negare la lieve entità del fatto in questo caso?
I giudici hanno considerato una serie di elementi: i rilevanti quantitativi di sostanza stupefacente (cocaina) commerciata nel complesso, l’assiduità e la continuità dell’attività di spaccio protrattasi per anni, e le specifiche modalità operative che indicavano la professionalità dell’imputato e una notevole capacità di diffusione sul mercato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5379 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5379 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/11/2021 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il ricorso proposto a mezzo del difensore da NOME COGNOME, ritenuto responsabile, nelle sentenze di merito conformi, di plurimi episodi riguardanti la illecita detenzione e la cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
Rilevato che il ricorrente lamenta quanto segue.
Erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione in punto di qualificazione giuridica; erronea esclusione della fattispecie di cui di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. 309/90
Violazione dell’art. 133 cod. pen.
Ritenuto che la sentenza gravata è sostenuta da conferente motivazione sotto ogni profilo dedotto e che le doglianze difensive, oltre ad essere riproduttive di censure attentamente vagliate dalla Corte di merito sono palesemente versate in fatto.
Considerato, quanto al primo motivo di ricorso, che la Corte di merito ha fatto buon governo della norma che si assume violata: attingendo correttamente a tutti i dati probatori disponibili ed effettuando una valutazione complessiva della condotta dell’imputato, i giudici di merito hanno negato la ricorrenza della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 sulla base di una serie di elementi (rilevanti quantitativi di sostanza stupefacente complessivamente commerciata; assiduità delle condotte di spaccio protrattesi per anni, modalità operative della condotta) indicativi della professionalità dell’attività illecita a era dedito l’imputato e della rilevante capacità di diffusione sul mercato degli stupefacenti non compatibile con la nozione della minima offensività.
Considerato che le lagnanze sviluppate nel ricorso in relazione al trattamento sanzionatorio adottato dai giudici di merito non si confrontano con le pertinenti argomentazioni offerte in sentenza, riguardanti la gravità dei fatti e la negativa personalità dell’imputato.
Considerato che la determinazione della pena in concreto irrogata è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito e che, nel giudizio di cassazione, è inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione, come nel caso in esame, non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142).
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 gennaio 2024
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Il Consigliere estensore
Il Pr sidente