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Spaccio di lieve entità: quando non si applica?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva il riconoscimento dello spaccio di lieve entità. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, ritenendo che il possesso di 397 grammi di stupefacenti, sufficienti per 199 dosi, e di strumenti professionali per il confezionamento, dimostrasse un’attività destinata a un inserimento significativo nel mercato, escludendo così l’ipotesi del reato minore.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di Lieve Entità: i Limiti secondo la Cassazione

La qualificazione di un reato in materia di stupefacenti come spaccio di lieve entità rappresenta uno snodo cruciale nel processo penale, data la notevole differenza di pena prevista. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i criteri per distinguere questa fattispecie attenuata dal reato ordinario, sottolineando come la valutazione non possa limitarsi a un singolo aspetto, ma debba considerare il quadro complessivo dell’attività illecita. Il caso in esame offre un chiaro esempio di come la quantità della sostanza, unita alla presenza di strumenti professionali, possa essere decisiva per escludere il beneficio della lieve entità.

I Fatti del Caso in Esame

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato per detenzione di sostanze stupefacenti. La difesa mirava a ottenere la riqualificazione del reato nella fattispecie più lieve prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990. L’imputato era stato trovato in possesso di un quantitativo complessivo di 397 grammi di droga, da cui sarebbe stato possibile ricavare circa 199 dosi. Oltre alla sostanza, erano stati rinvenuti anche strumenti specifici per il taglio e il confezionamento delle dosi, come bilancini e materiale per l’imballaggio. La Corte d’Appello aveva negato la qualificazione di spaccio di lieve entità, motivando la decisione sulla base di questi elementi.

La Decisione della Corte sullo Spaccio di Lieve Entità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la valutazione espressa dalla Corte d’Appello. I giudici supremi hanno ritenuto che la decisione del giudice di merito non fosse affatto illogica, ma anzi ben fondata sugli elementi probatori emersi. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella valorizzazione del quadro d’insieme, piuttosto che dei singoli elementi isolati. I giudici hanno specificato che la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto decisivi due fattori principali:

1. Il quantitativo ingente: 397 grammi di sostanza, sufficienti per quasi 200 dosi, sono stati considerati un dato oggettivo che supera ampiamente il limite di un’attività di spaccio definibile come “piccola e limitata”.
2. Gli strumenti professionali: La disponibilità di attrezzature per il taglio e il confezionamento è stata interpretata come un chiaro indice di un’attività organizzata e professionale, non occasionale.

Secondo la Corte, la combinazione di questi elementi dimostrava in modo inequivocabile un’attività destinata a “inserirsi in maniera significativa nel mercato degli stupefacenti”. Questa finalità va ben oltre la soglia del modesto spaccio che la norma sulla lieve entità intende punire con minor rigore.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale ormai stabile. Per ottenere il riconoscimento dello spaccio di lieve entità, non basta semplicemente non superare determinate soglie quantitative, che peraltro non sono rigidamente fissate dalla legge. È necessario che l’intera condotta dell’agente, valutata alla luce delle modalità dell’azione, dei mezzi impiegati e delle circostanze, appaia complessivamente di minima offensività. La presenza di attrezzature che denotano una preparazione e un’organizzazione dell’attività illecita costituisce un forte ostacolo all’applicazione della norma di favore, in quanto sintomo di una professionalità nello spaccio che il legislatore ha inteso punire più severamente.

Quando una detenzione di droga non può essere considerata di ‘lieve entità’?
Secondo questa ordinanza, non può essere considerata di lieve entità quando il quadro complessivo, dato dalla notevole quantità di sostanza (397 grammi per 199 dosi) e dal possesso di strumenti professionali per il taglio e il confezionamento, indica un’attività organizzata e destinata a un inserimento significativo nel mercato, superando i limiti di un’attività di spaccio piccola e limitata.

Quali elementi sono decisivi per escludere lo spaccio di lieve entità?
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto decisivi due elementi congiunti: il quantitativo complessivo dello stupefacente detenuto e la disponibilità di strumenti atti al taglio e al confezionamento. Questi fattori, letti insieme, dimostrano un’attività professionale che va oltre l’occasionalità o la modesta entità.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che la Corte non esamina il merito della questione sollevata. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro (tremila euro) alla Cassa delle ammende a causa della colpa nel proporre un ricorso privo dei presupposti di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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