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Spaccio di lieve entità: quando non è concesso?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva il riconoscimento del reato di spaccio di lieve entità. La decisione si fonda sulla valutazione di elementi concreti come la notevole quantità di cocaina, sufficiente per 229 dosi, il ritrovamento di una cospicua somma di denaro e di un registro contabile dell’attività illecita. Tali fattori, secondo i giudici, dimostrano un’attività di spaccio professionale e non occasionale, escludendo così la possibilità di applicare l’attenuante della lieve entità.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di lieve entità: la Cassazione chiarisce i criteri di valutazione

L’ipotesi di spaccio di lieve entità, prevista dal Testo Unico sugli stupefacenti, rappresenta un’importante distinzione nel trattamento sanzionatorio dei reati legati alla droga. Tuttavia, il suo riconoscimento non è automatico e dipende da una valutazione complessiva dei fatti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito quali elementi ostacolano l’applicazione di questa attenuante, sottolineando l’importanza di indicatori che rivelano una natura professionale e non occasionale dell’attività illecita.

I Fatti del Caso: Droga, Contanti e un “Libro Mastro”

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava un soggetto condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello per il reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. L’imputato aveva presentato ricorso per cassazione, lamentando il mancato riconoscimento dell’ipotesi di spaccio di lieve entità.

La Corte d’Appello aveva fondato la sua decisione su tre elementi principali emersi durante le indagini:

1. Il dato quantitativo: la quantità di cocaina sequestrata era significativa, tale da poter ricavare ben 229 dosi medie singole.
2. Il ritrovamento di denaro: all’interno di una cassetta di sicurezza era stata rinvenuta una cospicua somma di denaro in contanti, ritenuta provento dell’attività di spaccio.
3. La contabilità dell’illecito: insieme al denaro, era stato trovato un foglietto con annotazioni contabili, un vero e proprio “libro mastro” che documentava l’attività di vendita.

Secondo i giudici di merito, questi elementi, letti congiuntamente, delineavano un quadro di un’attività di spaccio strutturata e professionale, incompatibile con la nozione di lieve entità.

La Decisione della Corte: Inammissibile il ricorso contro la valutazione di spaccio non di lieve entità

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, dichiarandolo inammissibile. I giudici hanno confermato la correttezza del ragionamento seguito dalla Corte d’Appello, considerandolo logico, completo e giuridicamente ineccepibile. La Suprema Corte non ha riscontrato vizi nella motivazione della sentenza impugnata, che aveva ricostruito i fatti in modo preciso e circostanziato, giungendo a un corretto inquadramento giuridico della fattispecie.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione risiede nella valutazione complessiva degli indici fattuali. La Corte ha spiegato che, per negare lo spaccio di lieve entità, non basta un singolo elemento, ma è l’insieme degli indicatori a rivelare la portata dell’attività criminale. Nel caso specifico, il dato ponderale (le 229 dosi) era già di per sé significativo, ma assumeva un peso ancora maggiore se collegato alla somma di denaro e, soprattutto, alla presenza di una contabilità scritta. Quest’ultimo elemento, in particolare, è stato considerato un chiaro sintomo di un’attività non occasionale, non limitata a un bisogno contingente, ma organizzata in modo imprenditoriale e continuativo.

La Cassazione ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse correttamente desunto da tali elementi che lo spaccio non era di dimensioni ridotte, ma veniva svolto “in modo professionale”. Di conseguenza, la richiesta di derubricare il reato nell’ipotesi più lieve è stata respinta, in quanto contrastante con le evidenze processuali.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza: la qualificazione di un fatto di spaccio come di lieve entità richiede un’analisi globale che tenga conto non solo della quantità e qualità della sostanza, ma anche delle modalità della condotta e di ogni altro parametro che possa indicarne la gravità. La presenza di ingenti somme di denaro o di strumenti per la gestione contabile dell’attività illecita sono forti indicatori che tendono a escludere la lieve entità, poiché suggeriscono un livello di organizzazione e una portata offensiva superiori a quelli di un’attività meramente occasionale o di modeste dimensioni. Per la difesa, diventa quindi cruciale contestare non solo il dato ponderale, ma l’intero quadro indiziario che suggerisce una professionalità nel reato.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la Corte di Cassazione lo ha ritenuto manifestamente infondato, condividendo pienamente la ricostruzione dei fatti e le conclusioni giuridiche della Corte d’Appello, che aveva fornito una motivazione completa e corretta per escludere la lieve entità.

Quali elementi specifici hanno portato i giudici a escludere lo spaccio di lieve entità?
I giudici hanno escluso la lieve entità sulla base di tre elementi congiunti: 1) la quantità significativa di cocaina, da cui si potevano ricavare 229 dosi; 2) il rinvenimento di una cospicua somma di denaro in contanti; 3) il ritrovamento di un foglietto con la contabilità dell’attività illecita. Questi fattori indicavano un’attività professionale e non occasionale.

Quali sono le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito di questa decisione?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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