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Spaccio di lieve entità: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato per spaccio di lieve entità. La Corte sottolinea che l’attività costante e organizzata di spaccio, provata da indizi come un soprannome e il ruolo di fornitore, impedisce una nuova valutazione del merito in sede di legittimità e l’applicazione di attenuanti.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di lieve entità: l’attività organizzata esclude le attenuanti

Quando un’attività di spaccio di sostanze stupefacenti può essere considerata di lieve entità? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, offre importanti chiarimenti, ribadendo un principio fondamentale: un’attività continuativa e organizzata è incompatibile con l’ipotesi dello spaccio di lieve entità. Questa decisione sottolinea anche i limiti del ricorso in Cassazione, che non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per spaccio di sostanze stupefacenti. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la valutazione dei giudici di merito. In particolare, la difesa sosteneva che l’attività dovesse essere ricondotta alla fattispecie di spaccio di lieve entità e che dovesse essere applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis del codice penale. L’appello si basava sulla presunta erronea valutazione degli elementi a carico, che secondo il ricorrente non erano sufficienti a delineare un quadro di gravità tale da escludere le attenuanti richieste.

La Decisione della Corte di Cassazione sullo spaccio di lieve entità

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici di legittimità hanno stabilito che i motivi presentati dal ricorrente non sollevavano questioni sulla corretta applicazione della legge, ma miravano a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti e delle prove. Questa operazione, definita ‘rivalutazione del merito’, non è consentita in sede di Cassazione, il cui compito è verificare la legittimità della decisione impugnata e la coerenza logica della sua motivazione, non riesaminare le prove.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha ritenuto la decisione dei giudici di merito congruamente motivata e immune da vizi logici. La motivazione si basava su una serie di dati convergenti che delineavano un quadro chiaro:

1. Plurimi dati probatori: La condanna era fondata su diversi elementi, tra cui la notoria dedizione allo spaccio dell’imputato (testimoniata anche da un suo soprannome), il considerevole numero di dosi ricavabili dalla sostanza sequestrata e la natura non episodica dell’attività. L’imputato era considerato un fornitore affidabile dai suoi clienti, il che indicava un’attività stabile e organizzata.

2. Il ‘valore assorbente’ di un elemento: Richiamando un principio espresso dalle Sezioni Unite, la Corte ha specificato che nella valutazione globale degli indici che definiscono un fatto di lieve entità, è possibile che un solo elemento assuma un ‘valore assorbente’. In questo caso, l’intrinseca espressività dell’attività, costante e organizzata, era tale da non poter essere compensata da altri eventuali elementi di segno opposto. L’organizzazione dimostrata superava di per sé la soglia della lieve entità.

3. Esclusione della particolare tenuità del fatto: Per le stesse ragioni, è stata ritenuta corretta l’esclusione dell’art. 131 bis c.p. Le modalità dell’azione, la pluralità di cessioni e la quantità di dosi cedute e ancora disponibili erano elementi sufficienti a negare la particolare tenuità del fatto.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce due principi fondamentali. Dal punto di vista processuale, il ricorso per Cassazione non può essere utilizzato per contestare la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica o contraddittoria. Dal punto di vista sostanziale, la pronuncia chiarisce che l’ipotesi di spaccio di lieve entità è incompatibile con un’attività che, per quanto riguarda le modalità e la continuità, si configura come un’impresa criminale organizzata e stabile. La professionalità nell’attività di spaccio, anche se con dosi modeste, esclude le attenuanti. A seguito della dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro.

Un’attività di spaccio costante e organizzata può essere considerata di ‘lieve entità’?
No, secondo la Corte, un’attività di spaccio costante, organizzata e che fa dell’imputato un punto di riferimento per i clienti è incompatibile con la qualificazione di fatto di lieve entità, in quanto tali elementi dimostrano una gravità superiore.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti già valutati nei gradi precedenti?
No, il ricorso in Cassazione è inammissibile se si limita a proporre una ‘rivalutazione del merito’, cioè a chiedere un nuovo giudizio sui fatti. La Cassazione valuta solo la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la conferma della decisione impugnata e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, in questo caso fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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