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Spaccio di lieve entità: quando è inapplicabile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio. La difesa chiedeva la riqualificazione del reato come spaccio di lieve entità, ma la Corte ha confermato la decisione di merito, sottolineando che il ruolo centrale dell’imputato, la continuità dell’attività, la varietà di sostanze e i contatti nel narcotraffico sono elementi incompatibili con l’ipotesi di lieve entità. Anche la contestazione sulla recidiva è stata respinta.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di lieve entità: Quando l’Organizzazione Esclude l’Attenuante

L’ipotesi di spaccio di lieve entità, prevista dall’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti, rappresenta una fattispecie autonoma di reato, punita in modo meno severo rispetto allo spaccio ordinario. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e dipende da una valutazione complessiva del fatto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce quali elementi ostacolano il riconoscimento di tale attenuante, focalizzandosi sul ruolo centrale dello spacciatore, sulla continuità dell’attività e sulla sua organizzazione.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un individuo condannato per spaccio di sostanze stupefacenti dalla Corte d’Appello. Il ricorrente sollevava due principali motivi di doglianza.

In primo luogo, chiedeva la riqualificazione del reato nella fattispecie di spaccio di lieve entità, sostenendo che la ricostruzione dei fatti non giustificasse una condanna per lo spaccio ordinario. In secondo luogo, contestava l’applicazione dell’aggravante della recidiva e il giudizio di equivalenza con le attenuanti generiche, chiedendo una valutazione più favorevole.

La Decisione della Corte e lo spaccio di lieve entità

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando entrambe le argomentazioni della difesa. Per quanto riguarda il primo motivo, i giudici hanno ritenuto la richiesta di riqualificazione manifestamente infondata. Sebbene vi fosse stato un ridimensionamento del numero di episodi di spaccio contestati, gli elementi emersi erano sufficienti a delineare un quadro incompatibile con la lieve entità.

La Corte ha evidenziato come l’imputato avesse svolto un ruolo centrale nell’attività illecita per un periodo di diversi mesi. Egli era il punto di riferimento per numerosi clienti, che riforniva con costanza, e disponeva di diverse tipologie di sostanze stupefacenti. Questo, secondo i giudici, dimostrava i suoi contatti consolidati con ambienti del narcotraffico, dai quali si approvvigionava per poi operare con una “capillare diffusività” sul territorio, ottenendo profitti non modesti.

La Valutazione sulla Recidiva

Anche il secondo motivo, relativo alla recidiva e al bilanciamento delle circostanze, è stato respinto. La Cassazione ha sottolineato che tale valutazione rientra nel giudizio di merito e non può essere sindacata in sede di legittimità, a meno che non sia palesemente arbitraria. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva legittimamente considerato il ruolo significativo del ricorrente e la sua maggiore pericolosità, desumibile sia dalle condotte attuali sia dai precedenti penali. Di conseguenza, la scelta di considerare le attenuanti generiche semplicemente equivalenti all’aggravante della recidiva, e non prevalenti, è stata ritenuta corretta e ben motivata.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione centrale della decisione risiede nella netta distinzione tra singoli e sporadici episodi di spaccio e un’attività strutturata e continuativa. La Corte ha spiegato che l’ipotesi di spaccio di lieve entità è applicabile solo quando l’intera vicenda, analizzata in tutti i suoi aspetti (mezzi, modalità, quantità e qualità delle sostanze), appare minimamente offensiva.

Nel caso in esame, elementi come:
– La durata prolungata dell’attività (vari mesi).
– Il numero considerevole di clienti.
– La disponibilità di diverse specie di stupefacenti.
– La capacità di approvvigionarsi da canali strutturati.
– La realizzazione di profitti non irrilevanti.

sono stati considerati indicatori di un’operatività e di una pericolosità sociale che superano ampiamente la soglia della lieve entità. La Corte ha dunque stabilito che un’attività con tali caratteristiche, anche se composta da singole cessioni di modiche quantità, rivela un’organizzazione e una professionalità incompatibili con il beneficio invocato.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza: la valutazione sulla lieve entità del fatto non può basarsi solo sulla quantità di droga ceduta in una singola occasione, ma deve tenere conto del contesto complessivo dell’azione criminale. Un’attività di spaccio protratta nel tempo, organizzata, rivolta a una clientela stabile e fonte di un guadagno apprezzabile non potrà essere qualificata come di lieve entità, anche se le singole dosi sono piccole. La decisione conferma che l’obiettivo della norma è punire meno severamente solo le condotte marginali e occasionali, escludendo quelle che, pur senza raggiungere i livelli del grande traffico, dimostrano una chiara e persistente volontà criminale.

Quando un’attività di spaccio non può essere considerata di “lieve entità”?
Secondo la Corte, non si può parlare di lieve entità quando l’attività è continuativa nel tempo (mesi), l’imputato ha un ruolo centrale, rifornisce numerosi clienti con costanza, dispone di diverse tipologie di sostanze, ha contatti con il narcotraffico e ottiene profitti non modesti. Questi elementi sono incompatibili con l’ipotesi di lieve entità.

La Corte di Cassazione può riesaminare il bilanciamento tra attenuanti e aggravanti deciso dal giudice di merito?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che il giudizio di comparazione tra circostanze è una valutazione di merito, preclusa in sede di legittimità, a meno che la decisione del giudice inferiore non sia palesemente arbitraria o illogica, cosa che non è avvenuta in questo caso.

Cosa succede se il ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la condanna diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, a causa dei profili di colpa nella proposizione di un ricorso infondato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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