Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33748 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33748 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/06/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza del GIP presso il Tribunale di Treviso con cui NOME e NOME erano stati condannati in relazione al reato di cui all’art. 73 comma 1 d.P.R. 309/90.
Gli imputati, per mezzo del medesimo difensore, propongono un unico ricorso per la cassazione della sentenza di appello deducendo due distinti motivi: violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione dei fatti nell’ipotesi di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 309/90; vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore di COGNOME.
I ricorsi sono inammissibili dal momento che i motivi in questione non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché riproduttivi di profili censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congr riferimenti alla motivazione dell’atto impugNOME (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
3.1 I ricorrenti, in concreto, non si confrontano adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità e si limitano a reiterar doglianze in punto di fatto che esulano dal sindacato di questa Corte di legittimità. Inammissibile è innanzitutto la censura relativa al mancato riconoscimento della ipotesi di cui all’art.73 comma 5 DPR 309/90, atteso che il giudice distrettuale, nel valutare la condotta delittuosa nel suo complesso, ha fornito adeguata motivazione prendendo in considerazione gli elevati quantitativi ceduti, la natura della sostanza (per lo più cocaina, ma anche altre sostanze leggere)e la rete di distribuzione costituita da stabili e assidui clienti (anche più volte nella stessa settimana) per un arco temporale lungo ( di due anni circa).
3.2 Invero è stato affermato dalle Sezioni Unite che la circostanza attenuante speciale (quale era concepita dal legislatore prima della modifica normativa introdotta dal D.L. 146/2013 convertita in legge 10/2014) può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile solo dal dato
qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Cass. S.U. n.35737 del 24.6.2010, sez.U, n.51063 del 27/09/2018 Murolo, Rv. 274076) e a tale proposito il giudice è tenuto a valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento della ipotesi meno grave anche quando uno solo di tali elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia “di lieve entità” (Cass. Sez.3, n.32696 del 27/03/2015), rilevando comunque, ai fini del riconoscimento della ipotesi di minore gravità una adeguata valutazione complessiva del fatto, poiché solo in tal modo è possibile in concreto formulare un giudizio di lieve offensività del fatto (Cass. Sez.6, n.27809 del 5/03/2013). Orbene, un siffatto compito è stato puntualmente assolto dal giudice territoriale il quale ha fatto riferimento tanto al dato quantitativo che all complessive dosi ricavabili dallo stupefacente, tanto alle modalità della condotta che palesavano una attività di smercio non riconducibile al piccolo spaccio bensì ad una capacità di rifornimento decisamente di livello superiore, accompagnata dalla conoscenza di canali di rifornimento e da una notevole capacità diffusiva.
3.3 Con riferimento al secondo motivo di ricorso, i giudici del gravame del merito hanno dato conto del loro diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche in capo a COGNOME valutando, negativamente per l’odierno ricorrente, le gravi modalità con cui è avvenuta la condotta di spaccio, i precedenti penali per furto e il coinvolgimento della compagna nell’attività delittuosa.
Il provvedimento impugNOME appare collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli a ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
Per tali ragioni i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna di parti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle
ammende, determinabile in euro tremila ciascuno, ai sensi dell’art. 616 cod. p pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle s processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa de Ammende.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2024