Spaccio di Lieve Entità: No se Commesso ai Domiciliari con Più Droghe
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito i confini applicativi dell’ipotesi di spaccio di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti. La pronuncia chiarisce che tale fattispecie attenuata non può essere riconosciuta quando l’attività illecita viene svolta durante gli arresti domiciliari e coinvolge diverse tipologie di sostanze. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dalla condanna di un soggetto per spaccio di sostanze stupefacenti, emessa in primo grado dal Tribunale e parzialmente riformata in appello. La Corte di Appello aveva ridotto la pena a due anni e otto mesi di reclusione e 12.000 euro di multa, confermando nel resto la sentenza di condanna.
L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un unico motivo: l’errata applicazione della legge e il vizio di motivazione per non aver qualificato il fatto come spaccio di lieve entità. A suo avviso, le circostanze concrete del reato avrebbero dovuto condurre a un inquadramento giuridico più favorevole.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno confermato la valutazione dei giudici di merito, i quali avevano correttamente escluso la fattispecie dello spaccio di lieve entità sulla base di una serie di elementi concreti e decisivi.
La decisione si fonda su tre pilastri argomentativi che, considerati nel loro insieme, delineano un quadro di gravità tale da impedire l’applicazione della norma più favorevole invocata dal ricorrente.
Le Motivazioni dietro l’esclusione dello spaccio di lieve entità
La Corte ha evidenziato come i giudici di merito abbiano adeguatamente motivato la loro scelta di non riconoscere la lieve entità del fatto. I fattori determinanti sono stati:
1. Pluralità di sostanze: Il possesso di diverse tipologie di droghe è stato considerato un indice di maggiore pericolosità e di un inserimento non occasionale nel mercato degli stupefacenti.
2. Luogo del reato: L’attività di spaccio era esercitata all’interno dell’abitazione dell’imputato, luogo in cui si trovava ristretto agli arresti domiciliari. Questa circostanza è stata valutata come particolarmente grave, poiché dimostra un disprezzo per le misure cautelari e una persistenza nell’attività criminale nonostante il controllo dell’autorità giudiziaria.
3. Pluralità delle condotte: Le indagini avevano accertato non un singolo episodio, ma una serie di atti di spaccio, indicando un’attività strutturata e non sporadica.
Questi elementi, complessivamente valutati, hanno portato la Corte a concludere che il fatto non potesse essere qualificato come di lieve entità. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
Conclusioni
Questa ordinanza offre un importante spunto di riflessione sui criteri utilizzati dalla giurisprudenza per distinguere lo spaccio di lieve entità dalle ipotesi ordinarie. Non è sufficiente una valutazione meramente quantitativa della sostanza ceduta, ma è necessaria un’analisi complessiva della condotta, che tenga conto delle modalità dell’azione, del contesto e della personalità del reo. Svolgere l’attività di spaccio durante la detenzione domiciliare, gestendo diverse tipologie di droghe, rappresenta un confine invalicabile per il riconoscimento del trattamento sanzionatorio più mite, confermando un orientamento rigoroso a tutela della legalità e della funzione rieducativa della pena.
Perché il reato non è stato qualificato come spaccio di lieve entità?
La qualifica di lieve entità è stata esclusa perché l’imputato spacciava diverse tipologie di sostanze stupefacenti, svolgeva l’attività illecita nella propria abitazione mentre era agli arresti domiciliari e le condotte di spaccio erano state molteplici e non occasionali.
Quali sono state le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale.
Lo svolgimento dello spaccio durante gli arresti domiciliari è un fattore aggravante?
Sì, la sentenza evidenzia che esercitare l’attività di spaccio nel luogo di detenzione domiciliare è un elemento di particolare gravità che, insieme ad altri fattori, contribuisce a escludere la fattispecie più lieve del reato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5868 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5868 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SALERNO il 04/02/1995
avverso la sentenza del 29/02/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che con sentenza depositata il 3 maggio 2024 la Corte di appello di Salerno riformava parzialmente la precedente sentenza del 5 ottobre 2023 con cui il Tribunale di Salerno aveva condannato COGNOME NOMECOGNOME in concorso con altri, alla pena di anni 3 di reclusione ed C 14.000,00 di multa rideterminando la pena inflitta in complessivi anni 2 e mesi 8 di reclusione ed euro 12.000,00 di multa e confermando nel resto;
che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il prevenuto articolando un unico motivo di impugnazione con cui eccepiva il vizio di motivazione e l’erronea applicazione della legge con riferimento alla mancata sussunzione dei fatti di causa nella fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990;
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che il motivo in esso contenuto risulta manifestamente infondato in quanto i Giudici del merito hanno escluso la ricorrenza dell’ipotesi invocata .di lieve entità dando rilievo, oltra alla pluralità delle sostanze rinvenute in possesso dell’COGNOME, al fatto che l’attività di spaccio fosse esercitata nella prop abitazione dove era ristretto agli arresti domiciliari nonché alla pluralità delle condotte accertate;
che il ricorso devo perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma equitativamente fissata in C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 novembre 2024
Il Consigli re e tensot e
il Presidente