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Spaccio di lieve entità: la motivazione è obbligatoria

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per spaccio di stupefacenti perché i giudici d’appello, in sede di rinvio, non hanno spiegato perché non fosse applicabile l’ipotesi di spaccio di lieve entità. La ricorrente, accusata di aver partecipato alla cessione di 18 dosi di droga, aveva chiesto la riqualificazione del fatto. La Suprema Corte ha ribadito che la mancanza di motivazione su un punto specifico sollevato dalla difesa costituisce un vizio della sentenza che ne determina l’annullamento.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di Lieve Entità: perché la Motivazione del Giudice è Cruciale?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, numero 30585 del 2025, riaccende i riflettori su un principio fondamentale del diritto penale: la corretta qualificazione del reato di spaccio di lieve entità. Il caso analizzato dimostra come l’omessa motivazione da parte di un giudice su una specifica richiesta della difesa possa portare all’annullamento di una sentenza di condanna. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una donna veniva condannata in primo e secondo grado per aver partecipato, in concorso con altre persone, alla cessione di 18 dosi di sostanze stupefacenti (probabilmente MDMA e cocaina) all’interno di una discoteca. L’importo totale ricavato dalla vendita era di circa 250 euro. La difesa della donna impugnava la sentenza d’appello, sostenendo che il suo contributo fosse stato minimo e che il fatto dovesse essere qualificato come spaccio di lieve entità, ai sensi dell’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/1990.

La Corte di Cassazione, in un primo giudizio, accoglieva parzialmente il ricorso, annullando la sentenza e rinviando il caso alla Corte d’Appello. Il motivo? I giudici di secondo grado avevano omesso di valutare la specifica doglianza relativa alla lieve entità del fatto. La Corte d’Appello, chiamata a decidere nuovamente (in sede rescissoria), confermava però la condanna precedente, senza fornire alcuna spiegazione sul perché non ritenesse applicabile la fattispecie meno grave. Contro questa nuova decisione, l’imputata proponeva un nuovo ricorso in Cassazione.

L’Analisi della Corte e la qualificazione dello spaccio di lieve entità

La Suprema Corte ha accolto il nuovo ricorso, censurando duramente l’operato della Corte territoriale. Il punto centrale della decisione è che, quando un imputato solleva un motivo di appello specifico, il giudice ha l’obbligo di fornire una risposta motivata. Non può semplicemente ignorare la questione.

Nel caso di specie, la difesa aveva chiesto esplicitamente di valutare se il contributo della donna potesse integrare l’ipotesi di spaccio di lieve entità. La Corte d’Appello, nel secondo giudizio, ha ricostruito la partecipazione della donna al reato basandosi sulle intercettazioni (conversazioni sulla scelta di abiti con tasche per nascondere la droga), ma ha completamente tralasciato di analizzare la questione della qualificazione giuridica del fatto.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha chiarito che la mancanza di motivazione su un punto devoluto al giudice del rinvio costituisce un vizio insanabile della sentenza. Questo vizio si verifica non solo quando la motivazione è totalmente assente, ma anche quando l’apparato argomentativo è privo dei passaggi logici necessari per giustificare la decisione su temi specifici che il giudizio deve affrontare.

In particolare, la Corte ha sottolineato un principio stabilito dalle Sezioni Unite: in un caso di concorso di persone, è possibile che il medesimo fatto storico integri per un concorrente il reato di spaccio ‘ordinario’ e per un altro quello di spaccio di lieve entità, a seconda dei presupposti specifici e del contributo di ciascuno. La Corte d’Appello avrebbe dovuto esaminare questo aspetto, ma non lo ha fatto. Di conseguenza, il suo ‘iter logico-giuridico’ è risultato incomprensibile sul punto, rendendo la sentenza viziata per mancanza di motivazione.

Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un importante monito per i giudici di merito: l’obbligo di motivazione non è un mero adempimento formale, ma una garanzia fondamentale per l’imputato. Ignorare una specifica doglianza difensiva, soprattutto quando la Cassazione ha già indicato la necessità di un approfondimento su quel punto, porta inevitabilmente all’annullamento della decisione. Per gli operatori del diritto, questa pronuncia rafforza la necessità di articolare con precisione i motivi di impugnazione, sapendo che il giudice è tenuto a rispondere punto per punto. Per il cittadino, è la conferma che il processo penale prevede dei presidi a tutela dei propri diritti, tra cui quello a una decisione giusta e, soprattutto, motivata.

In un caso di spaccio di droga in concorso, è possibile che un coimputato risponda di spaccio di lieve entità e un altro no?
Sì, la sentenza richiama un principio delle Sezioni Unite della Cassazione secondo cui, anche in presenza di un unico fatto storico commesso in concorso, è possibile differenziare la posizione dei singoli concorrenti. Uno potrebbe rispondere del reato di cui all’art. 73, comma 1 o 4, D.P.R. 309/90 (spaccio ‘ordinario’), mentre un altro del reato di cui al comma 5 (lieve entità), in base ai diversi presupposti e al contributo individuale.

Cosa succede se un giudice d’appello, in sede di rinvio, non motiva la sua decisione su un punto specifico richiesto dalla Cassazione?
La sentenza che ne deriva è viziata per mancanza di motivazione e può essere annullata. La Corte di Cassazione ha specificato che l’obbligo di motivazione è violato non solo in caso di omissione totale, ma anche quando l’argomentazione è priva dei passaggi logici che spiegano la decisione sui temi specifici che il giudice era chiamato ad affrontare.

Qual è il ruolo del contributo del singolo concorrente nella valutazione della gravità del reato?
Il contributo del singolo è fondamentale. La Corte territoriale, pur avendo ritenuto provato il concorso dell’imputata, non ha poi analizzato se il suo specifico apporto (descritto come la detenzione di sole due dosi e la partecipazione alla scelta dell’abbigliamento) potesse giustificare la qualificazione del fatto come spaccio di lieve entità, omettendo così una valutazione cruciale richiesta dalla difesa e dalla precedente pronuncia della Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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