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Spaccio di lieve entità: la Cassazione conferma condanna

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo condannato per spaccio di lieve entità. L’uomo era stato trovato con 15 grammi di hashish e 100 euro in contanti. La Corte ha stabilito che il ricorso si basava su una mera rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, e che gli indizi raccolti (quantità di droga, denaro, assenza di reddito) erano sufficienti a giustificare la condanna per spaccio, rendendo irrilevante la testimonianza di una potenziale acquirente.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di Lieve Entità: Quando gli Indizi Valgono Più di una Testimonianza

La recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui criteri di valutazione della prova nel reato di spaccio di lieve entità. Il caso analizzato dimostra come un insieme di elementi indiziari coerenti possa portare a una condanna, anche quando una specifica circostanza sembrerebbe giocare a favore dell’imputato. La Suprema Corte ribadisce i limiti del proprio giudizio, che non può trasformarsi in una nuova valutazione dei fatti.

I Fatti del Caso

Un individuo veniva condannato in primo e secondo grado per violazione dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990, ovvero per spaccio di lieve entità. L’uomo era stato trovato in possesso di 15 grammi di hashish, occultati negli slip, e di 100 euro in banconote di vario taglio. Ulteriori elementi a suo carico erano l’assenza di una fonte di reddito lecita, la mancanza di una fissa dimora e il fatto di trovarsi in una zona notoriamente frequentata da spacciatori. A innescare il controllo era stata la segnalazione di una donna che, dopo essersi avvicinata a lui per acquistare la sostanza e aver ricevuto un rifiuto, lo aveva indicato agli agenti come spacciatore.

Il Ricorso alla Corte di Cassazione

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basandosi su un unico motivo: il vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, i giudici di merito avrebbero errato nel ritenerlo responsabile. Le argomentazioni principali erano due:
1. La sostanza stupefacente era destinata a uso personale.
2. La dichiarazione della potenziale acquirente era stata ritenuta inattendibile in relazione a un altro capo d’imputazione (per il quale l’uomo era stato assolto), e quindi non poteva essere usata a suo sfavore.
In sostanza, la difesa tentava di smontare l’impianto accusatorio facendo leva sulla presunta inaffidabilità della testimone e sul rifiuto di vendita, elementi che avrebbero dovuto, a suo dire, escludere l’intenzione di spacciare.

Le Motivazioni della Cassazione sullo Spaccio di Lieve Entità

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, definendolo “fattuale e rivalutativo”. Questo significa che le argomentazioni della difesa non contestavano un errore nell’applicazione della legge, ma chiedevano alla Suprema Corte di riesaminare e reinterpretare i fatti, un compito che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado.

I giudici di legittimità hanno sottolineato che la condanna non si basava sulla dichiarazione della donna o sul singolo episodio della mancata vendita. Al contrario, la decisione dei giudici di merito era fondata su una serie di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti:

* La quantità di stupefacente: 15 grammi di hashish.
* Le modalità di occultamento: Nascosto negli indumenti intimi.
* Il possesso di denaro: 100 euro in banconote di piccolo taglio, compatibili con l’attività di spaccio.
* La condizione personale: Assenza di un lavoro e di una fissa dimora, che rendeva ingiustificato il possesso del denaro.
* Il contesto: La presenza in un’area conosciuta per lo spaccio di droga.

Secondo la Corte, questo quadro complessivo era più che sufficiente a dimostrare che la droga era destinata alla vendita, rendendo di fatto irrilevante che la transazione con quella specifica acquirente non fosse andata a buon fine.

Le Conclusioni: I Limiti del Giudizio di Legittimità

La decisione in esame è un chiaro monito sui limiti del ricorso in Cassazione. La Suprema Corte non è un “terzo grado” di giudizio dove si possono ridiscutere le prove. Il suo ruolo è garantire la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. Se i giudici di merito hanno costruito un percorso argomentativo coerente e basato su prove concrete, come in questo caso, la Cassazione non può intervenire per offrire una lettura alternativa dei fatti. La condanna per spaccio di lieve entità è stata quindi confermata, con l’ulteriore condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende, come previsto dalla legge in caso di ricorso inammissibile.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Perché, secondo la Corte, il ricorso non denunciava un errore di diritto, ma si limitava a proporre una nuova valutazione dei fatti già esaminati dai giudici di merito, attività non consentita nel giudizio di legittimità.

Quali elementi sono stati considerati sufficienti per provare lo spaccio di lieve entità?
La condanna si è basata su un insieme di indizi: il possesso di 15 grammi di hashish occultati, 100 euro in contanti, l’assenza di un lavoro e di una fissa dimora, e la presenza in una nota piazza di spaccio. Questi elementi, considerati nel loro complesso, sono stati ritenuti sufficienti a dimostrare la finalità di vendita della sostanza.

Perché il rifiuto di vendere la droga a una potenziale acquirente non è stato considerato una prova a favore dell’imputato?
La Corte ha ritenuto questa circostanza irrilevante. La decisione di condanna era fondata su tutti gli altri elementi indiziari che, nel loro insieme, indicavano chiaramente un’attività di spaccio, a prescindere dal fallimento di una singola transazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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