Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 10086 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 10086 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/03/2023 della Corte di appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito per l’imputato l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Oggi,
-6 MAR, 2624
Depositata in Cancelleria
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23/03/2023, la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza emessa in data 27/02/2020 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo, con la quale NOME era stato dichiarato responsabile dei reati di cui all’art. 81 cpv cod.pen. e 73, commi 1 e 4 d.P.R. n. 309/1990 – cessioni di sostanze stupefacenti del tipo hashish ed eroina – e condannato alla pena di anni sei di reclusione ed euro 24.000,00 di multa.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME, a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità.
Argomenta che la Corte di appello aveva confermato l’affermazione di responsabilità dei reati contestati attraverso un’interpretazione erronea delle risultanze processuali, che, se correttamente valutate, avrebbero dovuto condurre, invece, ad una sentenza di assoluzione, quantomeno ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod.proc.pen.; quanto al reato di cui al capo a) la decisione si era fondata sulle dichiarazioni dell’acquirente della sostanza stupefacente, non convincenti e non lineari, e su tre intercettazioni telefoniche prive di effettiv colloquio; con riferimento al capo b), poi, i presunti acquirenti non avevano riconosciuto il ricorrente e non era stato considerato che l’utenza telefonica attribuita al ricorrente era utilizzata dal mese di aprile 2017 da altro soggetto.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990.
Argomenta che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto che le condotte addebitate al ricorrente non potessero rientrare nell’ambito applicativo di cui all’art. 73, comma 5, dpr n. 309/1990, in quanto non aveva tenuto conto degli elementi fattuali emergenti dalle risultanze istruttorie, che evidenziavano la configurabilità dell’ipotesi di “piccolo spaccio”, in considerazione del basso profilo dell’imputato e dell’organizzazione rudimentale dell’attività illecita.
Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 62-bis cod.pen. e vizio di motivazione.
Argomenta che la Corte di appello aveva denegato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche senza valutare gli elementi offerti dalla difesa (comportamento processuale, scelta del rito abbreviato) e limitandosi a dare rilievo ostativo ai precedenti penali dell’imputato.
Con il quarto motivo deduce violazione degli artt. 133 e 81 cpv cod.pen. e vizio di motivazione, lamentando l’eccessività del trattamento sanzionatorio ed il
difetto di motivazione in ordine alle ragioni giustificatrici del discostamento dal minimo edittale.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
3. La difesa del ricorrente ha chiesto la trattazione orale del ricorso. Il PG ha depositato memoria ex art. 611 cod.proc.pen., nella quale ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso ha ad oggetto censure non consentite in sede di legittimità.
Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
Nel motivo in esame, infatti, si espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, COGNOME, Rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, COGNOME, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, COGNOME, Rv. 235508).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6,n.27429 del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).
Né la novella codicistica introdotta con la I. n. 46/2006, ammettendo l’indagine extratestuale per la rilevazione dell’illogicità manifesta e dell contraddittorietà della motivazione, ha modificato la natura del sindacato della Corte Suprema, il cui controllo rimane limitato alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento impugnato e non può comportare una diversa lettura del materiale probatorio, anche se astrattamente plausibile, sicché anche dopo la legge 46/2006 occorre, invece, che gli elementi probatori indicati in ricorso (ignorati, inesistenti o travisati, non solo diversamente valutati) siano per sé decisivi in quanto dotati di una intrinseca forza esplicativa tale da vanificare l’intero
ragionamento del giudice del merito (Sez. 3, n. 37006 del 27/09/2006, COGNOME, Rv. 235508): decisività che deve essere oggetto di specifica e non assertiva deduzione della parte, in esito al confronto con tutta la motivazione della decisione impugnata, pena l’immediata ‘contaminazione’ del rilievo in termini di preclusa censura di merito.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte di appello, con argomentazioni congrue e logiche, ha esposto le ragioni che non consentivano di qualificare la condotta contestata ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, valutando complessivamente il fatto e rimarcando che le modalità dell’azione denotavano una sistematica attività di spaccio posta in essere dal ricorrente, il quale fungeva da fornitore per una platea ampia di soggetti provenienti da diverse zone dell’interland palermitano e non solo; da tali elementi, e, segnatamente, dalla disponibilità del COGNOME a rifornire di sostanza stupefacente del genere eroina ed hashish, quotidianamente e per un tempo consistente (da più di tre anni), un numero affatto modesto di assuntori, provenienti da un’ampia zona del circondario di Palermo, è stata tratta l’ovvia conseguenza che l’attività di spaccio, in quanto connotata da rilevante pericolosità sociale, non poteva considerarsi come ipotesi di minima offensività della condotta.
La valutazione è conforme ai principi espressi da questa Corte in subiecta materia.
Va ricordato che, ai fini della configurabilità dell’ipotesi delittuosa di cui all’a 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’azione mezzi, modalità e circostanze della stessa-, sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato -quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa (Sez.0 n.51063 del 27/09/2018; Sez. un., 24 giugno 2010, n 35737, Rv.247911; Sez.4, n.6732 del 22/12/2011, dep.20/02/2012, Rv.251942; Sez.3, n. 23945 del 29/04/2015, Rv.263651, Sez.3, n.32695 del 27/03/2015,Rv.264490; Sez.3, n.32695 del 27/03/2015, Rv.264491); inoltre, la valutazione della offensività non può essere ancorata solo al quantitativo singolarmente spacciato o detenuto, ma alle concrete capacità di azione del soggetto e alle sue relazioni con il mercato di riferimento, alla sistematicità e continuità delle condotte, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere i comportamenti illeciti al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine (Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, Rv. 272529); e si è precisato che la fattispecie autonoma di cui al comma 5 dell’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 è configurabile nelle ipotesi di c.d. piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro e
potenzialità di guadagni limitati, che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia tale da dar luogo ad una prolungata attività di spaccio, rivolta ad un numero indiscriminato di soggetti (Sez.6, n.45061 del 03/11/2022, Rv.284149 – 02).
Rispetto a tale corretto ed adeguato percorso argomentativo, il ricorrente propone censure meramente contestative e prive di confronto critico con le specifiche argomentazioni contenute nell’ordinanza impugnata.
3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez.1, n. 3529 del 22/09/1993, Rv. 195339; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Rv. 245241; Sez.3,n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610).
Inoltre, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, il giudice nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti; è sufficiente che egli fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione , individuando, tra gli elementi di all’art.133 cod.pen., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato (Sez.3, n.28535 del 19/03/2014, Rv.259899; Sez.6, n.34364 del 16/06/2010, Rv.248244; sez. 2, 11 ottobre 2004, n. 2285, Rv. 230691).
L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purchè congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez.6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv.242419).
Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione congrua e logica, ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche a cagione dei precedenti penali, numerosi e tutti specifici.
Ha, quindi, ritenuto elemento ostativo preponderante la personalità negativa dell’imputato, quale emergente dal certificato penale (Cfr in merito alla sufficienza dei precedenti penali dell’imputato quale elemento preponderante ostativo alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, Sez.2, n.3896 del 20/01/2016, Rv.265826; Sez.1, n.12787 del 05/12/1995, Rv.203146).
Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata ha fatto corretto uso dei criteri di cui all’art. 133 cod.pen., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena; la Corte territoriale riguardo alla pena ha richiamato i precedenti penali e la gravità delle reiterate condotte, ritenendola, pertanto, adeguata al fatto, anche con riferimento all’entità dell’aumento disposto a titolo dì continuazione.
Va ricordato che, ai fini del trattamento sanzionatorio, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod.pen., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare la determinazione della pena; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Sez.2, n.19907 del 19/02/2009, Rv.244880; Sez.4, 4 luglio 2006, n. 32290).
Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 13/02/2024