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Spaccio di lieve entità: il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio di stupefacenti. La difesa chiedeva il riconoscimento dello spaccio di lieve entità, ma la Corte ha confermato la decisione di merito, sottolineando che l’assiduità, il numero delle cessioni e le modalità operative indicavano una professionalità incompatibile con la fattispecie attenuata. La valutazione complessiva della condotta prevale sull’analisi dei singoli episodi.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di Lieve Entità: I Criteri della Cassazione per l’Inammissibilità del Ricorso

Con l’ordinanza n. 13896 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema centrale in materia di stupefacenti: la distinzione tra lo spaccio ordinario e lo spaccio di lieve entità. La decisione offre importanti chiarimenti sui criteri che i giudici devono seguire per valutare la condotta dell’imputato, sottolineando come una visione d’insieme dell’attività criminale sia decisiva per escludere il più mite trattamento sanzionatorio.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per plurime violazioni dell’art. 73 del d.P.R. 309/90, ovvero per spaccio di sostanze stupefacenti. La difesa, non accettando la sentenza della Corte d’Appello di Firenze, ha proposto ricorso in Cassazione, basando le proprie doglianze su diversi punti, tra cui la mancata applicazione della fattispecie attenuata dello spaccio di lieve entità e l’eccessiva severità della pena inflitta.

I Motivi del Ricorso e la Valutazione della Professionalità

La difesa ha lamentato principalmente quattro violazioni:
1. Errata applicazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, per illogicità della motivazione.
2. Vizio di motivazione in relazione alle dichiarazioni rese dall’imputato.
3. Errata qualificazione giuridica dei fatti, che avrebbero dovuto essere considerati episodi distinti e non uniti dal vincolo della continuazione.
4. Illogicità nella determinazione della pena e nel diniego delle attenuanti generiche.

Il cuore del ricorso risiedeva nella richiesta di riconoscere ogni singolo episodio di cessione come un fatto di lieve entità, sminuendo così la portata complessiva dell’attività illecita.

La Visione Complessiva Prevale sul Singolo Episodio: spaccio di lieve entità e continuità

La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha respinto categoricamente la prospettiva difensiva. Secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello ha correttamente operato una valutazione globale della condotta dell’imputato. Non si è limitata ad analizzare i singoli episodi, ma ha considerato una serie di elementi indicativi di una vera e propria professionalità criminale:

* Assiduità delle cessioni: le vendite non erano occasionali, ma frequenti e costanti nel tempo.
* Numero rilevante di episodi: la quantità di cessioni accertate era significativa.
* Modalità operative: le tecniche utilizzate per lo spaccio denotavano un’organizzazione strutturata.

Questi fattori, nel loro insieme, delineano un quadro di un’attività illecita ben avviata, con una notevole capacità di diffusione dello stupefacente sul mercato. Tale scenario è, per la Corte, del tutto incompatibile con la nozione di “minima offensività” che caratterizza lo spaccio di lieve entità. L’idea di spezzettare una condotta unitaria in tanti piccoli episodi è stata ritenuta priva di pregio, poiché è la potenzialità offensiva complessiva a dover essere giudicata.

La Determinazione della Pena e il Diniego delle Attenuanti Generiche

Anche le censure relative alla quantificazione della pena sono state respinte. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: il giudizio sulla congruità della pena è di competenza del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che non sia frutto di un ragionamento palesemente illogico o arbitrario. Nel caso di specie, la motivazione era congrua e basata sulla gravità della condotta.

Per quanto riguarda le circostanze attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.), la Corte ha ricordato che il giudice non è tenuto a esaminare tutti i parametri dell’art. 133 c.p. (gravità del reato, capacità a delinquere). È sufficiente che si concentri su uno solo degli elementi, ritenuto prevalente, per giustificare la concessione o il diniego del beneficio. In questo caso, la gravità dei fatti era un elemento più che sufficiente a motivare la decisione di non concedere le attenuanti.

Le Conclusioni della Suprema Corte

L’ordinanza in commento si inserisce in un solco giurisprudenziale consolidato, riaffermando con forza alcuni principi cardine. In primo luogo, la valutazione per il riconoscimento dello spaccio di lieve entità non deve essere atomistica, ma olistica. I giudici devono guardare al quadro complessivo dell’attività dell’imputato, considerando la frequenza, le modalità e la continuità delle azioni per determinarne la reale offensività. In secondo luogo, viene confermata l’ampia discrezionalità del giudice di merito nella determinazione della pena, un potere che può essere censurato solo in caso di manifesta illogicità. La decisione finale di inammissibilità del ricorso e la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria sigillano il caso, offrendo un chiaro monito sulla valutazione della professionalità nel reato di spaccio.

Quando un’attività di spaccio non può essere considerata di ‘lieve entità’?
Secondo la Corte, non si può parlare di ‘spaccio di lieve entità’ quando elementi come l’assiduità e il numero elevato delle cessioni, uniti a specifiche modalità operative, indicano una vera e propria professionalità nell’attività illecita e una notevole capacità di diffusione delle sostanze sul mercato.

Il giudice deve valutare ogni singolo episodio di spaccio per decidere se è di lieve entità?
No. La Corte ha stabilito che i diversi episodi, se legati da un medesimo disegno criminoso, devono essere valutati unitariamente. È la potenzialità offensiva complessiva della condotta a determinare se il fatto sia di lieve entità o meno, non il singolo episodio isolato.

Per negare le attenuanti generiche, il giudice deve analizzare tutti gli elementi dell’art. 133 del codice penale?
No, non è necessario. La Corte ribadisce che il giudice può negare le attenuanti generiche basandosi anche su un solo elemento ritenuto prevalente, come la particolare gravità della condotta o la personalità dell’imputato, senza dover esaminare tutti i parametri indicati dalla norma.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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