Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4512 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 4512  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a FOGGIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/07/2022 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
 Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale di Foggia del 27 marzo 2018, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con cui COGNOME NOME è stato condanNOME alla pena, condizionalmente sospesa, di anni due di reclusione ed euro seimila di multa in relazione al reato di cui all’art. 73, comm 4, d.P.R. n. 309 del 1990 (detenzione di gr. 33 di hashish).
Il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo quattro motivi di impugnazione.
2.1. Travisamento della prova e vizio di motivazione con riferimento alla valutazione di un elemento probatorio acquisito al processo.
2.2. Violazione di legge per omessa riqualificazione del reato in quello previsto dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
2.3. Assenza di motivazione in ordine all’omesso riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen..
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti previste dall’art. 62 bis cod. pen..
3. Il ricorso è inammissibile.
In relazione al primo motivo di ricorso, vanno premessi i limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per Cassazione, delineati dall’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006.
La predetta novella non ha comportato, per il Giudice di legittimità, la possibilità di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si avvalso per giustificare il suo convincimento.
La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. «travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato. Permane, al contrario, la non deducibilità,
nel giudizio di legittimità, del travisamento delfatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle .   risultanze processuali .a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. (Sez. 3, n. 1.8521 dell’11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv-. 253099).
Ciò posto, nella fattispecie in esame la difesa si è limitata a dedurre il travisamento delle dichiarazioni di un teste (il cui nominativo non è neanche indicato), il quale, anziché aver dichiarato di aver acquistato la droga dal COGNOME, avrebbe invece sostenuto di farne uso unitamente al predetto.
Il ricorrente non indica le parti della deposizione asseritamente travisate della dichiarazione del teste, illustrandone compiutamente i passaggi.
Egli, peraltro, non adempie all’onere di allegare il verbale di deposizione testimoniale o di richiamarlo in modo chiaro e specifico, in violazione del principio di autosufficienza.
In tema di ricorso per Cassazione, infatti, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165 bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7, comma 1, d. Igs. febbraio 2018, n. 11, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugNOME (Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432).
4. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte (S.U., n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, non massimata sul punto) hanno precisato che, ai fini dell’operazione di qualificazione del fatto, non può essere attribuito agli elementi positivamente indicati nella norma incriminatrice un aprioristico significato negativo assorbente e, quindi, a priori ed in astratto, carattere ostativo alla qualificazione del fatto come di lieve entità, dovendo emergere, come detto, una siffatta conclusione dalla valutazione complessiva dello stesso e dalla riscontrata incapacità degli altri indici selezionati dal comma 5 dell’art. 73 di neutralizzarne la carica negativa. Fra questi indici anche la valenza del dato ponderale, al di fuori dei, casi nei quali assume valore preponderante negativo per la sua significatività, deve essere determinata in concreto, al confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti.
Al riguardo, la fattispecie autonoma di cui al comma quinto cit. è così configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che  per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore – tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente –
a dosi conteggiate a “decine” (Sez. 6, n. 15642 del 27/01/2015, Driouech, Rv. 263068).
E’ stato altresì affermato che, in tema di stupefacenti, la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non può essere ricavata sulla base del solo parametro quantitativo, desunto dal dato statistico relativo alle pronunce rese in un determiNOME ufficio giudiziario che hanno riconosciuto la minore gravità del fatto, posto che, per l’accertamento della lieve entità, si deve far riferi mento all’apprezzamento complessivo degli indici che la norma richiama (Sez. 6, n. 7464 del 28/11/2019, dep. 2020, Riccio, Rv. 278615).
In linea coi suesposti principi, la Corte territoriale ha escluso la possibilità d riqualificare il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, in quello d cui al comma quinto dell’art. 73 cit., sulla base delle seguenti considerazioni: a) il considerevole dato ponderale dell’hashish detenuto; b) la ricavabilità di 308 dosi medie; c) il possesso di due bilancini di precisione e di strumenti atti al taglio dell sostanza; d) le modalità di occultamento della droga.
Per tali ragioni nella sentenza impugnata il reato in questione è stato logicamente considerati quale espressione di un’attività organizzata – sia pur in modo rudimentale, ma connotata di gravità e non occasionale – di spaccio di stupefacenti da reperire e da diffondere in modo sistematico.
La Corte di merito, pertanto, ha svolto un’analitica valutazione .di tutti i parametri richiamati espressamente dall’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli attinenti all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), escludendo con motivazione immune da censure l’ipotesi della lieve entità.
Dall’esauriente apparato argomentativo emergono con evidenza le ragioni dell’impossibilità di considerare la fattispecie di minima offensività.
Il ricorrente si confronta solo parzialmente con l’articolato apparato argomentativo, deducendo che la Corte di merito ha svolto un’analisi sul punto limitata al mero dato ponderale, la quale invece è stata estesa a tutti i parametri oggettivi e soggettivi indicati dalla disposizione di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R: cit..
Quanto al terzo motivo di ricorso, va rilevato che, con l’atto di appello l’imputato non aveva formulato le censure di cui al ricorso, avendo proposto esclusivamente le altre doglianze oggetto della presente trattazione.
Ebbene, non sono deducibili con il ricorso per Cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugNOME con riferimento ad un punto
della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, COGNOME, Rv. 269745).
In relazione al quarto motivo di ricorso, va ricordato che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269, fattispecie nella quali la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli facc riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altr disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, )ebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, NOME, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).
Tanto premesso sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte di appello non ha concesso le circostanze attenuanti generiche alla luce della gravità del fatto e dei precedenti per reati analoghi.
Il ricorrente non si confronta con l’ampio apparato argomentativo, con cui era illustrata la sussistenza di molteplici fattori negativi, indicativi di spiccata pericolosi che imponevano il diniego delle circostanze attenuanti ex art. 62 bis cod. pen..
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma il 17 gennaio 2024.