Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 31253 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 31253 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a Napoli il 23 dicembre 1987; COGNOME NOME nato a Napoli il 16 marzo 1992; COGNOME NOME, nato a Pozzuoli (Na) il 16 agosto 1970;
avverso la sentenza n. 7695/2024 della Corte di appello di Napoli del 24 giugno 2024;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24 giugno 2024 la Corte di appello di Napoli ha riformato la precedente decisione con la quale il Tribunale di Napoli Nord aveva, per quanto ora interessa, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, dichiarato la penale responsabilità di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME in ordine ai reati loro contestati, qualificati gli stessi, limitatamente al Campus, quale violazione dell’art. 73, comma 4, del dPR n. 309 del 1990, e, riconosciuta la continuazione fra le condotte a ciascuno di costoro contestate, applicata ai primi due la recidiva per come contestata ed al Campus la recidiva di cui all’art. 99, comma secondo, cod. pen., li aveva condannati, i due COGNOME alla pena di anni 8 di reclusione ed euri 60.000,00 di multa ed il Campus alla pena di anni 3 e mesi 2 di reclusione ed euri 30.000,00 di multa.
La Corte di merito, infatti, quanto a Campus Luciano, ritenuta la continuazione dei reati in attuale contestazione con quelli già giudicati con la sentenza n. 3595/2024 della Corte di appello di Napoli, emessa in data 29 marzo 2024, divenuta irrevocabile in data 15 aprile 2024, ha rideterminato la complessiva pena a carico del predetto in anni 4 di reclusione ed euri 38.000,00 di multa; mentre, per ciò che concerne castellano NOME e COGNOME NOME ha, rispettivamente ridotto la pena a loro carico in anni 7 e giorni 20 di reclusione ed eurì 40.000,00 di multa ed in anni 7 ed euri 40.000,00 di multa.
Avverso la predetta sentenza hanno interposto ricorso per cassazione i tre predetti imputati, affidando le proprie lagnanze ad un unico motivo di impugnazione per quanto concerne il Campus, ed a 2 motivi di impugnazione per ciò che attiene ai due Castellano.
Il primo ricorrente si è doluto del fatto che non sia stato esplicitato nella sentenza della Corte di appello il percorso logico in base al quale è stata esclusa la possibilità di disporre l’immediato proscioglimento del ricorrente ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Gli altri due ricorrenti, che hanno affidato ad un unico atto le loro lagnanze, si sono prioritariamente doluti del fatto che gli illeciti loro contestat non siano stati qualificati ai sensi dell’art. 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990 sulla base di argomenti, quali la pluralità delle sostanze da loro trattate
ed il significativo quantitativo di esse, indice di un’attività reiterata, che, su base della giurisprudenza di quata Corte non avrebbero potuto legittimare la decisione assunta.
Con il successivo motivo il ricorrente COGNOME NOME ha lamentato, sotto il profilo della erronea applicazione normativa e sotto quello della manifesta illogicità della motivazione, la mancata qualificazione delle condotte a lui ascritte entro i termini di cui all’art. 73, comma 4, del dPR n. 309 del 1990, sebbene lo stesso Tribunale in sede di riesame cautelare avesse segnalato che solamente in relazione alla posizione di NOME vi erano emergenze che evidenziavano la circostanza che lo stesso avesse spacciato sostanza stupefacente di tipo “pesante”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti sono tutti inammissibili e, pertanto, come tali gli stessi vanno dichiarati.
E’ opportuno esaminare partitamente la posizioni di Campus e dei due Castellano, posto che la scelta processuale operata dal primo di chiedere la definizione del procedimento a suo carico ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. determina una maggiore speditezza decisoria quanto alla sua posizione.
Infatti, per come incontestatamente emerge dalla sentenza della Corte di merito, il Campus ha espressamente dichiarato dì rinunziare ai motivi di impugnazione presentati e riferiti al merito della pronunzia della sua penale responsabilità.
Una tale decisione ha, pertanto, determinato sia il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado in relazione alla attribuibilità al medesimo dei fatti di reato oggetto di accertamento di fronte al Tribunale di Napoli Nord, sia la conseguente definitività della pronunzia di tale autorità giudiziaria sul punto in discorso, di tal che non vi sarebbe stato, neppure in astratto, il margine operativo per la applicazione in sede di gravame dell’art. 129 cod. proc. pen. in ordine ai reati de quibus.
Questa, infatti, presuppone che ancora non sia stata raggiunta la intangibilità della affermazione della responsabilità dell’imputato, la quale, invece, quanto al caso ora in esame è la conseguenza della avvenuta rinunzia da parte dell’imputato dei motivi di ricorso inerenti all’affermazione della sua penale responsabilità (fenomeno questo equiparabile, con le derivanti
conseguenze, alla ipotesi della mancata impugnazione, sul punto, della sentenza di condanna emessa in primo grado).
Da tanto deriva la inammissibilità del motivo di ricorso formulato dal Campus.
Non dissimile, sia pure per diverse ragioni, il destino dei ricorsi articolati dai due Castellano, sebbene questi non abbiano chiesto il concordato in appello.
Come detto, costoro hanno, congiuntamente, lamentato la mancata qualificazione delle condotte da loro realizzate nei termini di cui all’art. 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte risulta didascalicamente chiara nell’aver precisato che la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatic previsti dalla disposizione (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 9 novembre 2018, n. 51063, rv 274076).
Ma è proprio in adesiva applicazione dei principi di cui sopra che la Corte territoriale, operando la complessiva valutazione che la giurisprudenza di questa Corte prescrive, ha valorizzato, onde escludere la sussistenza della ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990 (fattispecie che, è bene ricordare, deve essere caratterizzata, per essere rilevata, dalla minima offensività sociale; per tutte: Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 luglio 2019, n. 28375, rv 276356), la articolata ripetitività delle condotte illecite poste in essere dai COGNOME, con cadenza quotidiana, tale da far ritenere fondatamente la esistenza di floridi canali di rifornimento dello stupefacente ai quali, indubbiamente, non possono che essere collegati ambienti non marginali della malavita dedita professionalmente a tale settore criminoso.
Coerentemente con gli indirizzi ermeneutici di questa Corte, pertanto, i giudici del merito hanno escluso la qualificabilità delle condotte poste in essere dai COGNOME fra le ipotesi di lieve entità.
Quanto alla doglianza specificamente sviluppata da COGNOME NOMECOGNOME rivolta alla qualificazione delle condotte da lui realizzata entro il paradigma di cui all’art. 73, comma 4, del dPR n. 309 del 1990, cioè la commissione di
fattispecie di reato coinvolgenti le cosiddette droghe “leggere”, e non in quello di cui al comma 1 del medesimo art. 73 del citato dPR, il ricorrente si limita ad allegare, peraltro in termini piuttosto vaghi, un’affermazione contenuta in una pronunzia del Tribunale del riesame secondo la quale i dati di indagine (ovviamente quelli di cui il giudice del riesame ha tenuto presenti) avrebbero evidenziato solo in relazione alla posizione di COGNOME emergenze tali da rimandare alla cosiddette droghe “pesanti”, ma nulla obbietta in relazione ai puntuali argomenti spesi, invece, dalla Corte di appello per dimostrare che non solo COGNOME NOME ma anche il figlio di questo, NOME, svolgeva attività di spaccio di droghe “pesanti”.
E’ lo stesso padre di NOME che – in tale modo rendendo palese come i giudizi umani siano talvolta caratterizzati da una estrema relatività e siano spesso influenzati dai criteri di valutazione seguiti presso gli ambienti ove gli stessi vengono formulati – ritenendo in tale modo di esprimere il proprio apprezzamento per l’operato del figlio, ne loda la capacità, come emerge da una intercettazione ambientale del luglio del 2021, di smerciare “800 gr di cocaina al mese”.
Ove una tale emergenza non fosse bastata, la Corte territoriale ha anche segnalato, questa volta riportando le parole di NOME in altra conversazione oggetto di captazione, il fatto che questi si vantasse di non contaminare, a differenza di altri sodali, con altre sostanze meno pregiate la cocaina da lui trattata.
Tali dati, dalla indiscutibile solidità dimostrativa, neppure sono in sostanza contestati dal ricorrente, determinando ciò, stante la genericità sul punto della sua impugnazione, la inammissibilità del motivo di ricorso da lui al riguardo formulato.
Le impugnazioni proposte devono, in conclusione, essere tutte dichiarate inammissibili ed i ricorrenti, visto l’art. 616 cod. proc. pen., vanno condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di 3.000,00 euri ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2025
Il Consigliere estensore
• Il Presidente