Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6785 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6785 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME COGNOME nato a Cinquefrondi il 29/9/1984 NOME nato in Gambia il 1/1/1990, CUI 03PO4UK
avverso la sentenza del 6/3/2023 della Corte d’appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità
dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 6 marzo 2023 la Corte d’appello di Reggio Calabria, provvedendo, tra le altre, sulle impugnazioni proposte da NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 18 gennaio 2022 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palmi, con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, erano stati condannati, COGNOME alla pena di due anni, un mese e sei giorni di reclusione e 14.200,00 euro di multa, in relazione a plurime contestazioni del reato di cui all’art. 73, primo e quarto comma, d.P.R. 309/90 (capi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7.1, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17 della rubrica), e NOME alla pena di tre anni, dieci mesi e diciotto giorni di reclusione e 34.660,00 euro di multa, in relazione ad altre contestazioni del medesimo reato di cui all’art. 73, primo e quarto comma, d.P.R. 309/90 (capi 47, 48, 50 51, 52, 53, 55 della rubrica), ha assolto NOME COGNOME dai reati di cui ai capi 9) e 13) perché il fatto non sussiste, rideterminando la pena inflittagli in un anno, dieci mesi e sette giorni di reclusione e 13.867,00 euro di multa, e, previa riqualificazione della condotta di offerta in vendita di cui al capo 48) contestata a Saidy in quella di detenzione di cui all’art. 73, quarto comma, d.P.R. 309/90, ha rigettato l’impugnazione dallo stesso proposta, condannandolo al pagamento delle spese processuali.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a tre motivi.
2.1. In primo luogo, ha denunciato, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 192 e 546, primo comma, lett. e), cod. proc. pen., 81 cod. pen. e 73 d.P.R. 309/90 e un vizio della motivazione, con riferimento alla affermazione di responsabilità in relazione a tutti i residui reati ascrittigli.
Li Ha censurato, in particolare, la valutazione da parte dei giudici di merito degli elementi indiziari, che sarebbero privi della necessaria concludenza e portata dimostrativa in relazione ai reati contestatigli, sottolineando, in particolare, che oltre alle contestazioni relative alle cessioni di stupefacenti realizzate nei mesi di ottobre e novembre 2019 e nei primi mesi del 2020, non vi erano elementi univoci a proposito della prosecuzione della fornitura di stupefacenti in favore della coimputata Broso anche nel periodo successivo, che era stata desunta, in modo illogico, dalla richiesta della stessa COGNOME della fornitura di un quantitativo significativo di droga cosiddetta leggera e dalla dichiarata disponibilità del ricorrente a darvi corso, che non costituivano indici certi e inequivoci dell’esistenza di un rapporto stabile di fornitura di stupefacenti.
La prova della realizzazione delle cessioni di cui ai capi 1) e 4), in favore di NOME COGNOME, perfezionate il 9 e il 15 ottobre 2019, sarebbe stata ricavata, anch’essa in modo illogico, dalla valorizzazione degli elementi ritenuti dimostrativi della condotta contestata al capo 7.1), ossia la cessione del 19 ottobre 2019 in favore dello stesso COGNOME e di tale COGNOME, e, più in generale, la prova della realizzazione di tutte le cessioni contestategli, ossia quelle di cui ai capi da 1) a 15), sarebbe stata desunta, nuovamente in modo illogico, dalla scelta del medesimo luogo per perfezionarle con la consegna, ossia la casa colonica posta all’interno di un fondo di proprietà della madre del ricorrente medesimo.
Anche il contenuto delle conversazioni intercettate, in particolare della Broso, posto a fondamento della affermazione di responsabilità in relazione ai fatti di cui ai capi 16) e 17), non era affatto univoco, non essendo certo che il soggetto indicato come “NOME” corrispondesse al ricorrente, con la conseguente insufficienza della motivazione del provvedimento impugnato, ripetitiva di quella della sentenza di primo grado, come tale inidonea a dare adeguata risposta alle censure sollevate con l’atto d’appello.
2.2. In secondo luogo, ha lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 73, quinto comma, d.P.R. 309/90, a causa della mancata considerazione degli aspetti che avrebbero consentito di qualificare le condotte come fatti di lieve entità, costituiti dal modestia dei quantitativi oggetto di tali condotte, della mancata dimostrazione della destinazione a terzi e anche dell’assenza di elementi in ordine all’inserimento del ricorrente in un contesto delinquenziale, sottolineando, tra l’altro, il richiamo da parte della Corte d’appello ai fatti di cui ai capi 51) e 52), che, però, erano stati contestati ad altri coimputati.
2.3. Infine, con un terzo motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen., con riferimento al diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e alla determinazione della misura della pena, giustificati con un generico e assertivo riferimento alla congruità della pena, dunque con motivazione carente e insufficiente.
3. Ha proposto ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza anche NOME COGNOME mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a un unico articolato motivo, con il quale ha lamentato la violazione dell’art. 73, quinto comma, d.P.R. 309/90 e un vizio della motivazione, con riferimento ai fatti di cui ai capi 25), 47), 48), 50), 51), 52), 53) e 55) della rubrica, a causa della esclusione della qualificabilità di tali condotte come fatti di lieve entità, nonostante: il contes investigativo e di realizzazione delle condotte (la cosiddetta tendopoli di San Ferdinando, nella quale sono solitamente ospitati cittadini extracomunitari
occupati stagionalmente in agricoltura); i quantitativi di stupefacenti oggetto di tali condotte (caratterizzate da dosi conteggiabili a decine, con limitati scambi economici, fatta eccezione per il capo 51, peraltro relativo a 20 grammi di droga leggera e nel quale comunque la cessione non si era perfezionata, e per il capo 52, relativo a un quantitativo di 100 grammi di stupefacente); i limitati scambi economici; il fatto che in un successivo giudizio, relativo a fatti analoghi e probatoriamente connessi, tutte le condotte erano state qualificate, dalla medesima Corte d’appello di Reggio Calabria, come fatti di lieve entità ai sensi del quinto comma dell’art. 73 d.P.R. 309/90; il ridotto numero degli acquirenti, pari soltanto a sette; l’assenza di organizzazione professionale, essendo emersa solo la realizzazione di cessioni in concorso.
Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità di entrambi i ricorsi, sottolineando la piena adeguatezza della motivazione, sia con riferimento alla affermazione di responsabilità di COGNOME, sia a proposito della esclusione delle qualificabilità delle condotte ascritte a entrambi i ricorrenti ai sensi del quinto comma dell’art. 73 d.P.R. 309/90, sia nella parte relativa al trattamento sanzionatorio stabilito per COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi sono inammissibili.
Il ricorso di NOME COGNOME, ampiamente riproduttivo, senza apprezzabili aspetti di novità critica, dei motivi d’appello non accolti, è volto a censurare, sul piano delle valutazioni di merito, dunque in termini non consentiti nel giudizio di legittimità, l’apprezzamento e la valutazione delle prove e la ricostruzione delle condotte (primo motivo), la valutazione in termini di non lieve entità delle condotte medesime (secondo motivo), il trattamento sanzionatorio (terzo motivo).
2.1. Il primo motivo, mediante il quale è stata censurata, sul piano della violazione di disposizioni di legge penale e processuale e del vizio di motivazione, la valutazione delle prove, di cui non sarebbe stata considerata adeguatamente la insufficiente portata dimostrativa e l’equivocità, è inammissibile, essendo volto a conseguire una rivisitazione delle risultanze istruttorie, allo scopo di ottenerne una lettura alternativa, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che è concorde e non manifestamente illogica, e dunque non è suscettibile di alcuna rivalutazione, tantomeno sul piano dell’apprezzamento e della valutazione delle prove, nel giudizio di legittimità.
In premessa, vale osservare che si è in presenza di una “doppia conforme” statuizione di responsabilità, il che limita i poteri di rinnovata valutazione della Corte di legittimità, nel senso che, ai limiti conseguenti all’impossibilità per la Cassazione di procedere a una diversa lettura dei dati processuali o a una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, si aggiunge l’ulteriore limite in forza del quale neppure potrebbe evocarsi il tema del “travisamento della prova”, a meno che il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Non è questo però il caso: il ricorrente, infatti, non lamenta che i giudici del merito abbiano fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, ma pretende una diversa lettura degli elementi probatori, laddove censura il significato attribuito agli elementi indiziari, che, invece, sono stati oggetto di attento vaglio in entrambi i gradi di giudizio con motivazione giuridicamente corretta e immune da vizi logici e, dunque, incensurabile in questa sede.
La Corte d’appello di Reggio Calabria, dopo aver analiticamente riportato quanto esposto nella sentenza di primo grado, a proposito degli indizi raccolti nei confronti di COGNOME, inserendo nella motivazione anche le immagini ottenute dai servizi di videosorveglianza realizzati nei pressi del casolare di campagna utilizzato dal ricorrente come base logistica per la custodia della sostanza stupefacente e il perfezionamento delle relative cessioni, in quanto posto in una zona isolata, ha evidenziato gli elementi dimostrativi delle condotte contestate, in particolare delle cessioni realizzate dal ricorrente in favore di NOME COGNOME (di cui ai capi 1, 4 e 7.1) e di NOME COGNOME (di cui capi da 5 a 10), queste ultime suffragate anche dagli esiti delle intercettazioni di conversazioni, indicando anche gli elementi (costituiti dalle univoche dichiarazioni di NOME COGNOME) sulla base dei quali il soggetto appellato nelle conversazioni intercettate con il nomignolo “NOME” era COGNOME.
Si tratta di motivazione idonea, essendo stati indicati gli elementi indiziari ritenuti, in modo non manifestamente illogico, univocamente dimostrativi della realizzazione delle cessioni di stupefacenti ascritte al ricorrente, che questi ha censurato in modo generico, senza considerare tutto il complesso degli elementi indiziari considerati nella sentenza di primo grado e in quella d’appello, né, tantomeno, la loro valenza dimostrativa, anche in considerazione della mancanza di spiegazioni alternative degli incontri e degli scambi, e, soprattutto, proponendo una diversa lettura di detti elementi, in particolare delle visite presso il casolare di campagna utilizzato per gli scambi e delle conversazioni con la Broso, che, come ricordato, non è consentita nel giudizio di legittimità.
2.2. Il secondo motivo, relativo alla mancata qualificazione delle condotte contestate come fatti di lieve entità, ai sensi dell’art. 73, quinto comma, d.P.R. 309/90, è inammissibile, oltre che per la sua genericità, essendo privo di analisi e di confronto con tali condotte e con le risultanze istruttorie, oltre che con tutta la motivazione delle concordi sentenze di merito e con la ricostruzione delle condotte nelle stesse compiute, per essere volto, anch’esso, a conseguire una rivalutazione, in termini di lieve entità, di dette condotte.
Al riguardo la Corte d’appello ha escluso la configurabilità delle condotte come fatti di lieve entità sottolineando la capacità del ricorrente di soddisfare le richieste di stupefacenti di un numero indeterminato di soggetti; la realizzazione della maggior parte delle condotte avvalendosi del casolare di campagna utilizzato dal ricorrente come base logistica (per la sua posizione isolata); la disponibilità di quantitativi non trascurabili (erroneamente indicata con riferimento ai capi 51 e 52, contestati ad altri coimputati, ma da intendersi riferita al complesso delle condotte e, in particolare, al capo 15, relativo alla detenzione di un quantitativo di marijuana da cui erano ricavabili 133 dosi singole).
Si tratta, anche a questo proposito, di motivazione idonea, tenendo conto di quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità in proposito, secondo cui è legittimo il mancato riconoscimento del delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nel caso in cui l’attività di spaccio è svolta in un contesto organizzato le cui caratteristiche, quali il controllo di un’apprezzabile zona del territorio, l’impiego di mezzi funzionali a tale scopo, l’accertata reiterazione delle condotte e la disponibilità di tipologie differenziate di · sostanze, pur se in quantitativi non rilevanti, sono sintomatiche della capacità dell’autore del reato di diffondere in modo sistematico lo stupefacente (Sez. 2, n. 5869 del 28/11/2023, dep. 2024, Costa, Rv. 285997 – 01).
Nel caso in esame la Corte d’appello di Reggio Calabria, attraverso la sottolineatura della pluralità e della sistematicità delle cessioni, in due casi neppure per quantitativi modesti (ossia quelle di cui ai capi 16 e 17), della evidente facilità di approvvigionamento, della organizzazione realizzata dal ricorrente per perfezionare le cessioni (avvalendosi del suddetto casolare in aperta campagna), ha indicato gli elementi ritenuti in modo non illogico dimostrativi della non modesta offensività del complesso delle condotte addebitate dal ricorrente, proprio per la loro idoneità a porre in pericolo in modo serio o comunque non modesto il bene interesse protetto dalla disposizione incriminatrice, costituito dalla salute pubblica, e il ricorrente ha censurato anche questa valutazione esclusivamente sul piano dei giudizi di merito e della valutazione della portata delle proprie condotte, dunque, nuovamente, in modo non consentito in questa sede di legittimità.
2.3. Il terzo motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, è inammissibile a causa della sua genericità, consistendo nella sola deduzione della eccessività della pena, disgiunta dalla necessaria considerazione del complesso delle condotte e del prescritto confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata.
Sul punto la Corte d’appello di Reggio Calabria, tenendo conto della ampia illustrazione delle condotte e della loro gravità, in particolare del reato di cui al capo 15), considerato più grave, ha determinato la pena base per tale reato in due anni di reclusione, ossia in misura inferiore alla media edittale, come tale non richiedente analitica giustificazione (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01), e gli aumenti per la continuazione in due mesi di reclusione per ciascuno degli altri reati, dunque in maniera assai contenuta, come tale non richiedente diffusa spiegazione, peraltro rinvenibile nella descrizione delle condotte e della loro gravità.
Tali considerazioni, idonee e non manifestamente illogiche, sono state censurate in modo generico ed esclusivamente sul piano valutativo, dunque, anche a questo proposito, in modo non consentito.
3. Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME mediante il quale è stato censurato il mancato riconoscimento della ipotesi del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, quinto comma, d.P.R. 309/90 in relazione a tutte le condotte ascrittegli, è manifestamente infondato, essendo volto a sollecitare una riconsiderazione di valutazioni di merito, circa la non lieve entità di dette condotte, che sono state adeguatamente giustificate dai giudici di merito.
Nell’esaminare la posizione del ricorrente e del coimputato NOME COGNOME la Corte d’appello ha sottolineato che costoro costituivano un punto di riferimento (per l’acquisto di stupefacenti) all’interno della tendopoli di San Ferdinando, e che COGNOME aveva il compito di interloquire con gli acquirenti e NOME aveva un ruolo direttivo, in quanto garantiva la costante disponibilità del prodotto, fissandone anche il prezzo di vendita (“tanto da essere chiamato superiore o supremo”, pag. 66 della sentenza impugnata).
La Corte d’appello, poi, nell’escludere la qualificabilità delle condotte come di lieve entità, ha sottolineato la capacità di entrambi gli imputati di soddisfare una platea indeterminata di acquirenti; l’ambito territoriale circoscritto e il breve arco di tempo nel quale vennero realizzate le condotte; l’esistenza di una organizzazione dei compiti sia pure rudimentale, indicativa di una vocazione professionale dell’attività illecita; la disponibilità di quantitativi di stupefacenti trascurabili (come avvenuto per i capi 51 e 52).
Si tratta di motivazione certamente idonea, essendo, tra l’altro, stati indicati gli elementi significativi comuni alle varie condotte e le loro reciproche correlazioni, dando conto in tale modo di una cornice complessiva in concreto idonea ad
escludere un giudizio di lieve entità rispetto ai fatti contestati (cfr. Sez. 3, n. 13115 del 06/02/2020, COGNOME, Rv. 279657 – 01, richiamata anche nella sentenza impugnata), che il ricorrente ha censurato esclusivamente sul piano valutativo, proponendo una diversa considerazione di gravità delle condotte, che, però, non sono suscettibili di rivisitazione e rivalutazione in presenza di motivazione corretta sul piano dei principi applicati e non manifestamente illogica.
In conclusione entrambi i ricorsi debbono, dunque, essere dichiarati inammissibili, a cagione della genericità e della manifesta infondatezza delle censure alle quali sono stati affidati.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso 1’8/1/2025