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Spaccio di lieve entità: droga in carcere, no sconto

Una donna, condannata per aver introdotto un’ingente quantità di hashish (pari a 766 dosi) in un istituto penitenziario per il fratello detenuto, ha presentato ricorso in Cassazione chiedendo il riconoscimento dello spaccio di lieve entità. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. La motivazione si basa sul fatto che la notevole quantità di stupefacente e le specifiche modalità della condotta (occultamento e introduzione in carcere) sono elementi sufficienti per escludere l’ipotesi del reato lieve.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di lieve entità: Quando la quantità di droga e il contesto escludono la pena mite

La qualificazione di un reato di droga come spaccio di lieve entità è una questione cruciale che può determinare una notevole riduzione della pena. Tuttavia, non tutti i casi possono beneficiare di questa attenuante. Con l’ordinanza n. 18699/2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la valutazione deve tenere conto di tutti gli elementi del caso, inclusi la quantità della sostanza e il contesto in cui il reato viene commesso. La vicenda analizzata riguarda una donna che ha tentato di introdurre hashish in un carcere, vedendosi negare il riconoscimento del fatto lieve.

I Fatti del Caso: Droga Nascosta per il Fratello Detenuto

La vicenda ha origine da un controllo all’interno di un istituto penitenziario. Una donna, durante un colloquio con il fratello detenuto, è stata scoperta mentre tentava di introdurre sostanze stupefacenti. Nello specifico, aveva occultato nel proprio corpo tre involucri contenenti hashish. La quantità non era affatto trascurabile: le analisi hanno rivelato che il quantitativo era pari a 766 dosi singole medie. Per questo fatto, la donna è stata condannata sia in primo grado dal Tribunale sia in secondo grado dalla Corte d’Appello.

La Questione Giuridica e la non applicabilità dello spaccio di lieve entità

Il punto centrale del ricorso presentato alla Corte di Cassazione dalla difesa dell’imputata era la richiesta di applicare l’ipotesi del fatto di lieve entità, prevista dall’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti (d.P.R. 309/1990). Questa norma prevede pene molto più miti per i casi in cui i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione o la qualità e quantità delle sostanze facciano ritenere il fatto, appunto, ‘lieve’.

La difesa sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel non concedere questa attenuante. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto completamente questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto che la decisione della Corte d’Appello fosse pienamente motivata e immune da vizi logici o giuridici. I giudici hanno sottolineato due elementi chiave che, combinati, rendevano impossibile qualificare il fatto come di lieve entità:

1. Il cospicuo dato ponderale: La quantità di hashish, pari a 766 dosi, è stata considerata tutt’altro che modesta. Un numero così elevato di dosi indica una potenziale diffusione all’interno del carcere che va ben oltre un consumo puramente personale o occasionale.
2. Le modalità e il contesto: L’azione si è svolta in un luogo, l’istituto penitenziario, dove l’introduzione di droga rappresenta un pericolo particolarmente elevato per la sicurezza e l’ordine interno. Le modalità, con l’occultamento della sostanza nel corpo, dimostrano una premeditazione e un’astuzia che aggravano ulteriormente la condotta.

La Cassazione ha inoltre definito il ricorso come ‘reiterativo’ e ‘manifestamente infondato’, in quanto si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte nei precedenti gradi di giudizio, senza confutare efficacemente il solido percorso argomentativo della Corte territoriale.

Le Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la valutazione per il riconoscimento dello spaccio di lieve entità deve essere complessiva e rigorosa. Non basta guardare al solo tipo di sostanza, ma è necessario analizzare ogni aspetto della condotta. L’introduzione di stupefacenti in un carcere, per la sua intrinseca gravità e per le conseguenze che può generare, è una circostanza che, specialmente se unita a un quantitativo non irrisorio, difficilmente potrà essere considerata ‘lieve’. La decisione serve da monito: il contesto del reato ha un peso determinante e può precludere l’accesso a benefici e sconti di pena previsti per situazioni di minore allarme sociale.

È possibile ottenere una riduzione di pena per spaccio di lieve entità se si introduce droga in carcere?
Sulla base di questa ordinanza, è estremamente difficile. La Corte ha stabilito che il contesto di un istituto penitenziario, unito a una quantità di droga non trascurabile (in questo caso 766 dosi), sono elementi che giustificano l’esclusione della fattispecie di lieve entità.

Quali sono i criteri principali per escludere il reato di lieve entità?
I criteri principali menzionati nella decisione sono il ‘cospicuo dato ponderale’, ovvero la notevole quantità della sostanza stupefacente, e le ‘modalità e il contesto della condotta’, come l’occultamento della droga e il tentativo di introdurla in un ambiente protetto come un carcere.

Per quale motivo il ricorso dell’imputata è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto ‘reiterativo’ e ‘manifestamente infondato’. In altre parole, la difesa si è limitata a riproporre argomenti già valutati e respinti dalla Corte d’Appello, senza presentare nuove e valide censure legali contro la logica e corretta motivazione della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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