Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20065 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20065 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 04/04/2025
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SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME – cui 048vif9 nato a null (TUNISIA) il 31/05/1988 Bougnan .mi COGNOME – cui 03p4qap nato a null (TUNISIA) il 27/03/1981
avverso la sentenza del 20/05/2024 della Corte d’appello di Bologna Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME e COGNOME con separati ricorsi, ricorrono per cassazion avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale la Corte di appello di Bologna parziale riforma della sentenza emessa dal primo giudice, ha dichiarato non dover procedere nei confronti di COGNOME per i reati a lui ascritti di cui ai capi di imput 168, 169, 174, 181 e 182, concernenti violazioni dell’art. 73, comma 4, d.P.R.309/19 commesse fino al 2013, per essere estinti per intervenuta prescrizione e, con riguard residui reati contestati ai sensi dell’art. 73 comma 1 d.P.R.309/1990, ha confermato la condanna del COGNOME e rideterminato la pena a lui inflitta in anni quattro mes giorni 27 di reclusione ed euro 18.720 di multa.
La Corte territoriale bolognese ha invece integralmente confermato la sentenza di condanna emessa dal giudice di primo grado in ordine alla posizione dell’imputato COGNOME in relazione a tutti i plurimi episodi di detenzione e di cessione di sostanza stupefacente contestati ai sensi dell’art. 73, comma 1, d.P.R.309/1990, condannandolo alla pena di anni 8, mesi tre e giorni 15 di reclusione ed euro 39.350 di multa.
2.COGNOME deduce, con un unico motivo di ricorso, violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio.
In particolare, il ricorrente si duole in ordine all’aumento di pena applicato per la continuazione tra le condotte contestate. Evidenzia il ricorrente che la questione era stata sottoposta al giudice del gravame con l’atto d’appello e che ciònonostante il giudice, con formula di mero stile ed inadeguata, facendo un generico richiamo in modo generico al lungo periodo in cui si sono svolti gli episodi di spaccio e ai numerosi clienti riforniti, no ha assolto sostanzialmente all’onere motivazionale.
3.NOME COGNOME affida il ricorso per cassazione a due motivi.
3.1.Con il primo motivo lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità, evidenziando di aver posto in essere soltanto una quindicina di episodi di cessione di sostanza stupefacente in un ristretto lasso di tempo, e che, rispetto il numero delle originarie imputazioni, solo per 29 capi di imputazione vi è stata sentenza di condanna. Tuttavia, rileva il ricorrente, non sussistono sufficienti elementi a riprova dell’affermazione della responsabilità. Non è stata sequestrata la sostanza stupefacente riconducibile alle asserite cessioni e le dichiarazioni rese dai presunti acquirenti sono scarsamente attendibili. Il ricorrente lamenta dunque la carenza di elementi di valenza indiziaria, avendo il giudice basato il proprio giudizio su elementi che connotano le condizioni dell’autore, soggetto straniero senza fissa dimora, senza fonti di reddito lecite, gravato da numerosi precedenti di polizia.
3.2.Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione di legge e vizio della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della fattispecie di lieve entità di cui al comma quinto dell’art. 73 d.P.R.309/1990, evidenziando la genesi del procedimento penale in oggetto, che costituisce la prosecuzione di un’intensa attività investigativa svolta dalla polizia municipale di Rimini nella prima metà del 2013 e proseguita fino al 2014, e concernente alcuni episodi di spaccio relativi al bimestre settembre – dicembre 2013. I sequestri effettuati hanno consentito di quantificare la sostanza stupefacente ceduta solo in una singola dose per ciascun episodio di cessione contestato, per un totale di una decina di grammi di sostanza stupefacente. Il ricorrente, pur collaborando anche con altri soggetti, non gestiva in modo strutturato e organizzato l’attività, non essendovi prove in ordine alla ripartizione delle zone di spaccio tra i vari collaboratori,
né all’apprestamento di un sistema di difesa o di sorveglianza, tipico di una gestione organizzata di una “piazza di spaccio”.
Il Procuratore generale presso questa Corte, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono manifestamente infondati.
2.Per quanto riguarda il ricorso di COGNOME si evidenzia che il giudice a quo, quanto al trattamento sanzionatorio, a pagina 7 della sentenza impugnata, ha condiviso le argomentazioni e le determinazioni effettuate dal giudice di primo grado, ritenendo che la pena di anni quattro, mesi sei e giorni sette di reclusione ed euro 18.770 di multa, determinata a seguito della concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza sull’aggravante contestata in relazione all’imputazione inerente al reato più grave, di cui al capo 172), sia comunque equilibrata.
Quanto agli aumenti di pena applicati per i reati in continuazione, il giudice a quo, ha ritenuto l’alimento congruo, considerato in modo specifico sia il lungo periodo durante il quale si è esplicata l’attività di spaccio che il numero dei clienti riforniti, com del resto emerge dai capi di imputazione, essendo contestata al ricorrente una pluralità di cessioni avvenute tra settembre, novembre e dicembre 2013, con indicazione nell’imputazione dei nominativi dei diversi acquirenti. Peraltro, si osserva che il giudice a quo, nella motivazione della sentenza impugnata, sia pure con riferimento al diniego dell’ipotesi di lieve entità, aveva evidenziato la larga diffusione sul territorio dell’attiv di spaccio svolta dal ricorrente, concernente diverse tipologie di droghe pesanti, la sussistenza di un luogo deputato alla conservazione delle scorte di tale sostanza e l’organizzazione dell’attività, posto che il ricorrente si avvaleva di collaboratori.
3.1.Per quanto attiene al ricorso di NOME COGNOME con riferimento al primo motivo concernente la responsabilità, si osserva che il giudice a quo ha richiamato la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice, evidenziando le numerose intercettazioni, le dichiarazioni degli acquirenti della sostanza stupefacente e i riconoscimenti fotografici effettuati da alcuni consumatori, e affermato che il ricorrente era dedito allo spaccio anche di droga pesante, come si desume in particolare dal fatto che è stato arrestato in flagranza per la cessione di una dose di eroina in data 04/11/2013. Inoltre, dalle modalità di contatto con gli interlocutori e dalla durata degli incontri, ha inferito che questi fossero inequivocabilmente finalizzati allo scambio di sostanza stupefacente, specificando che nei casi in cui i contenuti delle telefonate non fossero così univoci, il giudice di primo grado aveva già disposto l’assoluzione.
3.2.In ordine alla seconda doglianza, si osserva che l’accertamento della lieve entità
del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione, anche se
all’esito della valutazione globale di tutti gli indici che determinano il profilo tipico fatto di lieve entità, è ben possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente
e cioè che la sua intrinseca espressività sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o più degli altri, dovendosi conseguentemente
escludere in tal caso il ricorrere di tale fattispecie (Sez. U, n.51063 del 27/09/2018, Rv.
274076 – 02).
Nel caso in disamina, il giudice territoriale, nel richiamare la ricostruzione dei fatti contenuta a pagina 120 della sentenza di primo grado, ha evidenziato che l’attività svolta
dal COGNOME non può essere qualificata come “spaccio da strada”, emergendo dalle risultanze processuali che l’imputato collaborava con altri individui o con piccoli gruppi,
di cui si avvaleva per la consegna materiale della sostanza, che era inserito in un contesto organizzato in grado di sopperire alle esigenze degli acquirenti fornendo sostanza
stupefacenti di varia tipologia, e che disponeva di ampie scorte in quanto aveva messo a disposizione la propria abitazione quale deposito della sostanza da distribuire tra i vari complici. Pertanto, dai suddetti elementi il giudice a quo ha ritenuto che l’attività di spaccio non possa essere qualificata come di lieve entità ai sensi del comma 5 dell’art. 73 d.P.R.309/1990. Trattasi di valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità, ove supportata da motivazione esente da vizi logico-giuridici.
Né rileva l’assenza di indicatori tipici della c.d. piazza di spaccio, posto che il giudice a quo ha attribuito rilievo ad altri indicatori fattuali di indubbia pregnanza sintomatica, quali: la sussistenza di consistenti scorte e di un luogo preposto alla conservazione e all’occultamento, la collaborazione tra più spacciatori.
I ricorsi vanno dunque dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 04/04/2025.