Spaccio di droga: quando la quantità esclude l’uso personale
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i criteri per distinguere tra uso personale e spaccio di droga, confermando che un ricorso basato su una mera rilettura dei fatti è destinato all’inammissibilità. La decisione sottolinea come la quantità, la varietà e il confezionamento dello stupefacente siano elementi decisivi per provare la destinazione a terzi. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante provvedimento.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello che aveva confermato la condanna di un individuo per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Durante un controllo, l’imputato era stato trovato in possesso di un notevole quantitativo di droga, in particolare 6 dosi di cocaina e 557 di marijuana, rinvenute all’interno della sua autovettura e già suddivise.
I Motivi del Ricorso e la questione dello spaccio di droga
L’imputato ha basato il suo ricorso in Cassazione su due motivi principali:
1.  Errata valutazione delle prove: La difesa lamentava una violazione dell’art. 192 del codice di procedura penale, sostenendo che i giudici di merito avessero erroneamente interpretato i fatti, non considerando la possibilità che la droga fosse destinata a un uso personale anziché allo spaccio di droga.
2.  Mancato riconoscimento di benefici di legge: Si contestava la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena, nonché una dosimetria della pena ritenuta eccessiva.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo integralmente le argomentazioni della difesa. I giudici hanno ritenuto il primo motivo inammissibile e il secondo manifestamente infondato.
Le Motivazioni
La Corte ha fondato la propria decisione su un’analisi rigorosa dei motivi di ricorso.
Per quanto riguarda il primo motivo, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. L’argomentazione dell’imputato si limitava a proporre una diversa interpretazione dei fatti (uso personale) senza individuare un reale vizio di motivazione (illogicità o contraddittorietà) nella sentenza impugnata. La Corte d’Appello, con un apprezzamento fattuale logico, aveva correttamente dedotto la finalità di spaccio dalla quantità complessiva, dalla diversa natura delle sostanze e dalla loro suddivisione in dosi.
Relativamente al secondo motivo, la Corte ha smontato punto per punto le richieste dell’imputato:
*   Particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.): È stata esclusa in radice, poiché l’elevato numero di dosi ricavabili (oltre 560 in totale) è intrinsecamente incompatibile con un’offesa di lieve entità.
*   Attenuanti generiche: La sola incensuratezza non è sufficiente per la concessione di questo beneficio se non è accompagnata da altri elementi positivi, che nel caso di specie erano assenti.
*   Sospensione condizionale della pena: La prognosi favorevole richiesta dall’art. 163 c.p. è stata negata. A ostacolarla erano l’assenza di un reddito da lavoro lecito e la pendenza di altri procedimenti penali per fatti analoghi, elementi che, secondo la Corte, indicavano una concreta probabilità di recidiva.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame offre importanti spunti pratici. In primo luogo, ribadisce che per contestare una condanna per spaccio di droga in Cassazione non basta proporre una versione alternativa dei fatti, ma è necessario dimostrare un vizio logico nel ragionamento del giudice di merito. In secondo luogo, chiarisce che elementi oggettivi come la quantità e il confezionamento della droga sono prove schiaccianti della destinazione alla vendita. Infine, la decisione conferma che per ottenere benefici come le attenuanti o la sospensione condizionale della pena non basta un certificato penale pulito, ma è necessaria una valutazione complessiva della personalità e delle condizioni di vita dell’imputato che deponga a favore di un suo futuro rispetto della legge. La condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro sigilla la definitività della decisione.
 
Perché il ricorso basato sulla tesi dell’uso personale è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché proponeva una semplice rilettura dei fatti, contestando la valutazione del giudice di merito sulla destinazione della droga. Questo tipo di valutazione fattuale non è consentita in sede di Cassazione, dove si possono denunciare solo vizi di legittimità, come l’illogicità manifesta della motivazione, che in questo caso non è stata riscontrata.
Un elevato numero di dosi di droga può essere compatibile con l’offesa di particolare tenuità?
No. La Corte ha stabilito che l’elevato numero di dosi ricavabili dallo stupefacente (nel caso specifico, 6 di cocaina e 557 di marijuana) è un elemento che per sua natura esclude la possibilità di qualificare l’offesa come di particolare tenuità ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale.
La sola incensuratezza è sufficiente per ottenere le attenuanti generiche o la sospensione della pena?
No. Secondo la Corte, la semplice assenza di precedenti penali non è di per sé sufficiente. Per le attenuanti, servono elementi positivi di valutazione. Per la sospensione condizionale, è necessaria una prognosi favorevole sul futuro comportamento dell’imputato; in questo caso, l’assenza di un lavoro lecito e la pendenza di altri procedimenti penali hanno portato a una prognosi negativa, impedendo la concessione del beneficio.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8263 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 8263  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/02/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il primo motivo di ricorso proposto da COGNOME NOME, che deduce la violazione legge e il vizio di motivazione con riguardo all’art. 192 cod. proc. pen., è inammissibile p articolato in fatto e, comunque, non si confronta criticamente con la motivazione, la quale, un apprezzamento fattuale non manifestamente illogico, ha ribadito la destinazione a ter della droga valutando complessivamente la quantità di sostanza rinvenuta sull’autovettur condotta dall’imputato, la diversa natura e l’allocazione della medesima, nonché la suddivisi in dosi;
rilevato che il secondo motivo, con cui si lamenta la violazione di legge e il vizio di moti con riguardo sia alla mancata applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. sia al complessivo trattamento punitivo (relativamente al mancato riconoscimento dell circostanze attenuanti generiche, alla dosimetria della pena e alla mancata applicazione del sospensione condizionale della pena), è manifestamente infondato, avendo la Corte di merito, con una valutazione di fatto scevra da vizi logici, escluso i presupposti sia per la qualifi dell’offesa in termini di particolare tenuità, in considerazione dell’elevato numero d complessivamente ricavabili dallo stupefacente (6 di cocaina e 557 di marijuana); sia p l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, stante l’assenza di elementi a tale s valutabili, a tal proposito non essendo sufficiente, per espresso dato normativo, lo sta incensuratezza; sia per una riduzione di pena, in considerazione del complessivo quantitativo droga sequestrato; sia, infine, per una prognosi favorevole ex art. 163 cod. pen., a ostandovi l’assenza, in capo all’imputato, di un reddito da lavoro lecito e la sussiste procedimenti penali per analoghi fatti: elementi valorizzati dalla Corte di merito, in ma non certo implausibile sotto il profilo logico, per escludere che l’imputato si asterr commissione di ulteriori reati; Corte di Cassazione – copia non ufficiale stante l’inammissibilità del ricorso, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazi della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa de ammende. 
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processu e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2023.