Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9135 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9135 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nato in Romania in data 8/02/1992
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trieste del 28/02/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 15/03/2023, all’esito di giudizio abbreviato, il Tribunale di Gorizia dichiarava NOME colpevole dei reati di cui agli artt. 81, 110 cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 1990, contestati ai capi 4), 5), 6) d’imputazione, per aver acquistato e detenuto al fine di cessione, senza autorizzazione e con le modalità indicate nei suddetti capi d’imputazione, sostanza stupefacente del tipo cocaina e marijuana, condannandolo, per l’effetto, alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione ed euro 33.334,00 di multa, con sanzioni accessorie di legge.
Su impugnazione dell’imputato, la Corte d’appello, con decisione del 28/02/2024, riduceva la pena a lui inflitta in anni cinque di reclusione ed euro 24.000 di multa e rideterminava la pena per la residua contravvenzione in mesi
quattro di reclusione ed euro 2000,00 di multa. Confermava nel resto la sentenza appellata. La Corte d’appello, inoltre, revocava la sospensione condizionale della pena concessa all’imputato dal Tribunale di Gorizia con decisione del 9/10/2018, confermata con sentenza della Corte d’appello di Trieste del 21/10/2020, divenuta irrevocabile in data 7/10/2021.
2.Avverso tale ultimo provvedimento l’imputato, tramite difensore, propone ricorso per Cassazione affidando l’impugnazione alle seguenti doglianze.
3.Nel primo motivo lamenta il vizio di violazione di legge e di motivazione per avere la Corte territoriale disatteso la richiesta difensiva di riqualificazione del fatto ai sensi del comma 5 del suddetto art. 73, erroneamente attribuendo al ricorrente la detenzione di un quantitativo di droga ostativo alla più favorevole riqualificazione, perché superiore al valore di soglia di 24 grammi.
Ad avviso del ricorrente, invece, la condotta sarebbe espressione di un fatto di lieve entità, atteso il superamento minimo del valore soglia per come individuato dalla Suprema Corte nella decisione n. 45061 del 2022, nella quale la Sesta sezione di questa Corte ha fissato i limiti ponderali per il riconoscimento della lieve entità ex art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, ed alla luce del carattere “grossolano, artigianale e domestico dello spaccio” confacente all’incensuratezza dell’imputato.
Nel medesimo motivo, premesso che l’omessa qualificazione della condotta nell’ipotesi del quinto comma citato ha impedito all’odierno ricorrente di poter accedere all’istituto della messa alla prova, si chiede in subordine alla Suprema Corte di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 550, parte seconda, cod. proc. pen., per violazione degli artt. 3, 24, 27 Cost., nella parte in cui non prevede l’accesso alla “messa alla prova” per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, punito con la reclusione da sei a venti anni, evidenziando che così formulata la disposizione determinerebbe una disparità di trattamento rispetto ad ipotesi delittuose punite con limiti edittali più alti ma ciò nonostante ricomprese nell’elenco di cui all’art. 550 cod. proc. pen così come novellato dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. Riforma Cartabia).
2.Nel secondo motivo lamenta il vizio di violazione di legge e di motivazione della decisione impugnata in relazione al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, per aver la Corte d’appello erroneamente negato il beneficio alla luce dell’inserimento stabile dell’imputato nell’ambiente dello spaccio, pur non risultando tale ruolo comprovato in atti.
3.Nel terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla disposta revoca della sospensione condizionale della pena concessa per un reato anteriore.
Ad avviso del ricorrente nel caso di specie, non ricorrendo ipotesi di revoca obbligatoria a norma dell’art. 168, cod. pen., la Corte avrebbe esercitato suo potere discrezionale senza motivare le ragioni a fronte delle quali è stata ritenuta necessaria la revoca del beneficio precedentemente concesso all’odierno imputato.
I motivi vengono ribaditi nella memoria difensiva inviata via pec in data 09/01/2025.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
2.11 primo motivo è manifestamente infondato.
Ai fini del riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del fatto, il più recente ed autorevole insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076) è nel senso che la valutazione degli indici di lieve entità elencati dal comma 5 dell’art. 73 deve essere complessiva, così abbandonando l’idea che gli stessi possano essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo od escludendo, cioè, la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri. Ma allo stesso tempo significa anche che tali indici non devono tutti indistintamente avere segno positivo o negativo. Come affermano le Sezioni Unite COGNOME, all’esito della valutazione globale di tutti gli indici che determinano il profilo tipico del fatto di lieve entità, è p possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e cioè che la sua intrinseca espressività sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o più degli altri.
Ed è parimenti necessario – proseguono le Sezioni Unite – che il percorso valutativo così ricostruito si rifletta nella motivazione della decisione, dovendo il giudice, nell’affermare o negare la tipicità del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, T.U. stup., dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi. Il che significa che il discorso giustificativo deve dar conto non solo dei motivi che logicamente impongono nel caso concreto di valutare un singolo dato ostativo al riconoscimento del più contenuto disvalore del fatto, ma altresì di quelli per cui la sua carica negativa non può ritenersi bilanciata da altri elementi eventualmente indicativi, se singolarmente considerati, della sua ridotta
offensività. In tale ottica è opportuno sottolineare, prosegue la decisione in esame, come anche l’elemento ponderale – quello che più spesso assume un ruolo centrale nell’apprezzamento giudiziale – non è escluso dal percorso valutativo implicito nella formulazione del citato art. 73, comma 5, come rivela ancora una volta proprio il raffronto dello stesso con la disposizione di cui all’art. 80, comma 2, T.U. stup. In altri termini, anche la maggiore o minore espressività del dato quantitativo deve essere determinata in concreto, nel confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento. Ferma la possibilità che, nel rispetto delle condizioni illustrate, tale dato possa assumere comunque valore negativo assorbente, ciò significa che anche la detenzione di quantitativi non minimali potrà essere ritenuta non ostativa alla qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, e, per converso, che quella di pochi grammi di stupefacente, all’esito della valutazione complessiva delle altre circostanze rilevanti, risulti non decisiva per ritenere integrata la fattispecie in questione. (Sez. 3, n. 12551 del 14/02/2023, Pg. c. COGNOME Alessandro, Rv. 284319 – 01).
3.Di tale principio di diritto la Corte distrettuale ha fatto corretta applicazione, replicando in maniera adeguata alle censure formulate con l’atto di impugnazione e sottolineando, con argomenti, nei quali non sono riconoscibili aspetti di manifesta illogicità, come non potesse considerarsi di lieve entità, cioè di scarsa carica offensiva, la condotta delittuosa del ricorrente. Egli, infatti, non solo deteneva, unitamente alla sua compagna COGNOME, nell’abitazione comune, circa 109 grammi di cocaina con una percentuale di principio attivo elevata, e quindi un quantitativo superiore di oltre 24 grammi al valore soglia indicato dalla questa Corte nella sentenza citata, ma era altresì protagonista della gestione di un fiorente mercato di spaccio, alimentato grazie ai costanti rifornimenti da NOME COGNOME e NOME di circa 200 gr alla volta di cocaina.,
A sostegno della negazione della riqualificazione più benevola richiesta, la Corte d’appello ha anche evidenziato che l’abitazione di COGNOME e della COGNOME era un luogo di sicuro rifornimento per gli assuntori di stupefacenti della zona, come desumibile dalla circostanza che questi si recavano a casa dell’imputato ad ogni ora del giorno, anche senza previo appuntamento, mossi dalla certezza di rinvenire il quantitativo richiesto. Si è altresì sottolineato che l’attività illeci lungi dall’essere “grossolana, artigianale e domestica”, presentava, invece, caratteri professionale deponendo in tal senso il grado di purezza della cocaina, l’elevato numero di cessioni giornaliere di piccolo quantitativo di stupefacente, l’utilizzo di applicativi finalizzati ad eludere le intercettazioni, e la circostanza che la coppia provvedeva anche alle fasi del taglio e del confezionamento.
La Corte d’appello, dunque, non limitandosi a valutare l’esiguo quantitativo oggetto della maggior parte delle singole cessioni, ha correttamente svolto l’analitica valutazione dei parametri concernenti l’azione e di quelli attinenti all’oggetto materiale del reato facendo buon governo dei principi giurisprudenziali illustrati, escludendo con motivazione immune da censure l’ipotesi della lieve entità.
4.In ogni caso, deve considerarsi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dedotta dal ricorrente in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, Cost., dell’art. 550, secondo comma, cod. proc. pen. nella parte in cui, letto in combinato con l’art. 168 bis cod. pen. non prevede, per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, l’applicazione dell’istituto della messa alla prova.
Si tratta, infatti, di una scelta di politica criminale rientrante nell discrezionalità legislativa e non incoerente con l’opzione di fondo di individuare i reati per i quali è consentito l’istituto del diritto penale punitivo “non carcerario” della messa alla prova, includendo, in modo non irragionevole quale discrimine per l’accesso al beneficio, la maggiore offensività della condotta.
Nessuna disparità di trattamento è dunque ravvisabile in relazione alla fattispecie cui all’art. 75, comma 5, del medesimo d.P.R. evocata dal ricorrente quale tertium comparationis attesa la maggiore afflittività della pena prevista per il delitto di cui all’art. 73, comma 1, da sei anni a vent’anni di reclusione, più severa rispetto a quella stabilita per la fattispecie di cui al quinto comma del medesimo articolo.
5.11 secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
È necessario ricordare che «la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato» (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME, Rv 242419). Si è anche affermato che «ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso» (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011,
COGNOME, Rv 249163; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269 01; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020 Marigliano, Rv. 279549 – 02).
Nel caso di specie le attenuanti generiche sono state correttamente negate alla luce di plurimi elementi quali la familiarità dello COGNOME con reati relativi agli stupefacenti, (nella nota del commissariato procedente si dà atto che lo COGNOME era persona nota all’ufficio in quanto arrestato due volte per reati inerenti lo smercio di droga.); il lungo lasso temporale in cui si collocano le condotte di cui alle imputazioni; l’intraneità dell’imputato al contesto criminale dello spaccio desunta dal contenuto della conversazione ambientale captata nell’abitazione della coppia COGNOME in cui il primo, litigando con un connazionale afferma di essere scontento da anni per la scarsa qualità della cocaina fornita; la pervicacia a smerciare droga anche in seguito all’arresto dei suoi fornitori.
6.11 terzo motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Il ricorrente deduce, che la Corte abbia revocato la sospensione condizionale della pena ai sensi del secondo comma dell’art. 168 cod. pen., tuttavia, in base alla lettura della sentenza impugnata la sospensione condizionale della pena inflitta con la sentenza indicata è stata revocata dalla Corte triestina ai sensi dell’articolo 168, comma primo, n. 2 cod. pen.
Vedendosi dunque in un’ipotesi di revoca di diritto la censura relativa all’omessa motivazione dell’esercizio del potere discrezionale appare all’evidenza destituita di ogni fondamento.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, in data 24/01/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente