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Spaccio di droga: quando non è fatto di lieve entità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio di droga, confermando che la qualificazione del reato come “fatto di lieve entità” richiede una valutazione complessiva di tutti gli indici, non solo della quantità di stupefacente. Nel caso specifico, l’organizzazione professionale dell’attività, la sua continuità e il ruolo dell’abitazione come punto di riferimento per gli acquirenti sono stati elementi decisivi per escludere il beneficio e confermare la condanna.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di droga: la professionalità esclude il fatto di lieve entità

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di spaccio di droga: la qualificazione del reato come “fatto di lieve entità”, che comporta una pena notevolmente inferiore, non dipende solo dalla quantità di sostanza sequestrata. È necessaria una valutazione complessiva che tenga conto della professionalità e dell’organizzazione dell’attività illecita. Analizziamo insieme la decisione per capire i criteri applicati dai giudici.

I Fatti del Caso

L’imputato era stato condannato in primo grado dal Tribunale di Gorizia per aver acquistato e detenuto cocaina e marijuana ai fini di spaccio. La pena inflitta era di sei anni e otto mesi di reclusione, oltre a una multa consistente. In seguito all’appello, la Corte di Trieste aveva ridotto la pena a cinque anni di reclusione e 24.000 euro di multa, ma aveva confermato la colpevolezza e revocato la sospensione condizionale della pena precedentemente concessa all’imputato per un altro reato.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Errata qualificazione del reato: Si contestava la mancata classificazione del fatto come di “lieve entità” (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990). Secondo la difesa, la quantità di droga era di poco superiore alla soglia e l’attività di spaccio era di tipo “grossolano, artigianale e domestico”.
2. Mancata concessione delle attenuanti generiche: Si lamentava che la Corte d’Appello avesse negato le attenuanti sulla base di un presunto inserimento stabile dell’imputato nel mondo dello spaccio, ritenuto non provato.
3. Illegittimità della revoca della sospensione condizionale: Si sosteneva che la revoca non fosse obbligatoria e che la Corte non avesse motivato la sua decisione discrezionale.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutti i motivi. Vediamo nel dettaglio le argomentazioni dei giudici.

La valutazione dello spaccio di droga e l’esclusione del fatto di lieve entità

Sul primo punto, la Corte ha sottolineato che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, la valutazione per riconoscere la lieve entità deve essere globale e non può basarsi su un singolo indicatore. Anche una quantità non minimale di droga non esclude a priori il beneficio, così come una piccola quantità non lo garantisce.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente applicato questo principio. I giudici di merito non si erano limitati a considerare la quantità (circa 109 grammi di cocaina, ben oltre la soglia di 24 grammi), ma avevano analizzato l’intero contesto, che rivelava una vera e propria attività professionale:
* L’abitazione dell’imputato e della sua compagna era un punto di riferimento per gli assuntori della zona, che vi si recavano a ogni ora.
* L’attività era alimentata da rifornimenti costanti e ingenti (circa 200 grammi di cocaina per volta).
* Venivano utilizzati applicativi per eludere le intercettazioni.
* La coppia gestiva direttamente il taglio e il confezionamento della sostanza.

Questi elementi, nel loro insieme, delineavano un quadro di professionalità incompatibile con la nozione di “fatto di lieve entità”.

Il Diniego delle Attenuanti Generiche e la Revoca della Pena Sospesa

Anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte ha stabilito che la negazione delle attenuanti generiche era stata adeguatamente motivata sulla base di plurimi elementi: la familiarità dell’imputato con i reati di droga, la lunga durata delle condotte, la sua piena integrazione nel contesto criminale (desunta anche da conversazioni intercettate) e la sua pervicacia nel continuare a spacciare anche dopo l’arresto dei suoi fornitori.

Infine, riguardo al terzo motivo, la Cassazione ha chiarito che la revoca della sospensione condizionale non era discrezionale, ma un atto dovuto. La legge (art. 168, comma 1, n. 2 cod. pen.) prevede infatti la “revoca di diritto” quando il condannato commette un nuovo delitto. Trattandosi di un obbligo di legge, non era necessaria alcuna motivazione aggiuntiva da parte del giudice.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma che la lotta allo spaccio di droga si basa su una valutazione attenta e complessiva dei fatti. Per determinare la gravità di un reato non ci si può fermare alla mera quantità di stupefacente, ma occorre analizzare le modalità operative, la continuità nel tempo e l’organizzazione del reo. Un’attività strutturata e professionale, anche se basata su singole cessioni di piccole dosi, costituisce un fatto di notevole gravità che non può beneficiare del trattamento sanzionatorio più mite previsto per i casi di lieve entità.

Quando lo spaccio di droga può essere considerato un ‘fatto di lieve entità’?
La qualificazione dipende da una valutazione complessiva di tutti gli elementi indicati dalla legge (mezzi, modalità, circostanze dell’azione, qualità e quantità delle sostanze). Non è sufficiente considerare solo la quantità; un’attività organizzata e professionale, anche con quantitativi non enormi, può escludere la lieve entità.

Perché sono state negate le circostanze attenuanti generiche all’imputato?
La Corte le ha negate sulla base di una valutazione negativa della personalità dell’imputato, desunta da plurimi elementi: la sua familiarità con i reati di droga, la lunga durata dell’attività di spaccio, il suo stabile inserimento nel contesto criminale e la sua persistenza nel commettere il reato.

La revoca della sospensione condizionale della pena è sempre una scelta discrezionale del giudice?
No. La legge prevede casi di ‘revoca di diritto’, cioè obbligatoria. Come in questa vicenda, se una persona che ha beneficiato della sospensione condizionale commette un nuovo delitto entro i termini, il giudice è obbligato a revocare il beneficio, senza alcun potere discrezionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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