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Spaccio di droga: quando la quantità esclude l’uso personale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo condannato per detenzione ai fini di spaccio di droga. La Corte ha confermato che la notevole quantità di hashish detenuta, circa 350 grammi divisi in panetti, è un elemento decisivo per escludere l’ipotesi dell’uso personale e giustifica la condanna per spaccio, rendendo irrilevanti le censure fattuali del ricorrente.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di droga: la Cassazione chiarisce il confine con l’uso personale

La distinzione tra detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale e per finalità di spaccio di droga rappresenta uno dei nodi cruciali del diritto penale in materia. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza i criteri per distinguere le due fattispecie, sottolineando come la quantità e le modalità di conservazione della sostanza siano elementi decisivi. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un individuo condannato in primo e secondo grado alla pena di un anno di reclusione e 3.000 euro di multa. L’accusa era quella di aver detenuto 349,8 grammi di hashish, suddivisi in quattro panetti, con la chiara finalità di destinarli allo spaccio. La difesa dell’imputato aveva tentato di sostenere che la sostanza fosse una scorta per il proprio consumo personale, adducendo come prova l’uso di narghilè e la consuetudine di fare acquisti consistenti per evitare contatti frequenti con i fornitori.

I Motivi del Ricorso e la questione dello spaccio di droga

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:

1. Errata qualificazione del fatto

Si contestava la mancata qualificazione del fatto come detenzione per uso personale (sanzionata solo in via amministrativa dall’art. 75 d.P.R. 309/1990), insistendo sulla tesi della scorta personale.

2. Mancato riconoscimento del fatto di lieve entità

In subordine, si chiedeva di ricondurre il reato alla fattispecie di lieve entità prevista dal comma 5 dell’art. 73, sostenendo che il solo dato quantitativo non fosse sufficiente a dimostrare una particolare offensività della condotta.

3. Esclusione dell’attenuante della collaborazione

Si lamentava il mancato riconoscimento dell’attenuante speciale prevista dal comma 7 dell’art. 73, nonostante l’imputato avesse consegnato spontaneamente la droga, ammesso i fatti e indicato il fornitore.

4. Diniego delle attenuanti generiche nella massima estensione

Infine, si criticava la decisione della Corte d’Appello di non applicare la massima riduzione di pena possibile per le circostanze attenuanti generiche.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure sollevate. I giudici hanno chiarito che i primi due motivi erano inammissibili perché miravano a una rivalutazione dei fatti, operazione preclusa in sede di legittimità. La Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito, ma verifica solo la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione congrua e logica, basata su elementi oggettivi. La quantità cospicua di sostanza e la sua suddivisione in panetti sono state correttamente interpretate come indici inequivocabili della destinazione allo spaccio di droga, escludendo di fatto la tesi dell’uso personale. Tentare di ottenere una lettura alternativa delle prove in Cassazione è un’operazione non consentita.

Anche riguardo al trattamento sanzionatorio (terzo e quarto motivo), la Corte ha ribadito un principio consolidato: le decisioni del giudice di merito sulla concessione e sulla quantificazione delle attenuanti sono insindacabili in Cassazione se supportate da una motivazione esente da vizi logici. La Corte territoriale aveva adeguatamente giustificato la propria decisione facendo riferimento non solo all’ingente quantitativo di stupefacente, ma anche ai numerosi precedenti penali specifici del ricorrente, elementi che evidentemente hanno pesato negativamente nella valutazione complessiva.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma che, nella lotta allo spaccio di droga, elementi oggettivi come la quantità della sostanza e le modalità di confezionamento sono fondamentali per distinguere la detenzione illecita dall’uso personale. La Corte di Cassazione sottolinea l’impossibilità di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti compiuto dai giudici di merito, a meno che la loro motivazione non sia palesemente illogica o contraddittoria. La decisione serve anche da monito sul fatto che i precedenti penali specifici di un imputato possono influenzare significativamente la valutazione del giudice in merito alla concessione delle attenuanti e alla determinazione finale della pena.

Perché la detenzione di quasi 350 grammi di hashish è stata considerata spaccio e non uso personale?
La Corte ha ritenuto che la quantità cospicua della sostanza, unita alla sua suddivisione in quattro panetti, fossero elementi oggettivi sufficienti a indicare una finalità di spaccio, superando la tesi difensiva della scorta per consumo personale.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove di un processo?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, senza poter entrare in una nuova valutazione dei fatti o delle prove.

Perché non sono state concesse le attenuanti nonostante la collaborazione dell’imputato?
La concessione delle attenuanti è una valutazione discrezionale del giudice di merito. In questo caso, la Corte ha ritenuto adeguata la motivazione del giudice d’appello, che ha negato una maggiore riduzione di pena basandosi sulla gravità del fatto (notevole quantità di droga) e sui numerosi precedenti penali specifici dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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