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Spaccio di droga: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di due imputati condannati per spaccio di droga. La detenzione di un ingente quantitativo di stupefacenti (oltre 1 kg di marijuana, hashish e 27 piante), con un principio attivo 125 volte superiore ai limiti, e le modalità di conservazione (sottovuoto, bilancino di precisione), sono state ritenute prove incompatibili con la tesi dell’uso personale, rendendo il ricorso una mera riproposizione di censure già respinte.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di Droga: la Cassazione Dichiara Inammissibile il Ricorso Basato sull’Uso Personale

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso di spaccio di droga, fornendo chiarimenti cruciali sui criteri che distinguono la detenzione per uso personale da quella finalizzata alla vendita. La decisione sottolinea come la mera affermazione di essere consumatori non sia sufficiente a superare prove oggettive che indicano un’attività illecita, rendendo il ricorso inammissibile.

Il Caso: Detenzione di Stupefacenti e Ricorso in Cassazione

Due soggetti venivano condannati in primo grado e in appello per il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, previsto dall’art. 73, comma 4, del d.P.R. 309/1990. Durante una perquisizione presso la loro abitazione, erano stati rinvenuti quantitativi significativi di droga: circa un chilogrammo di marijuana, oltre 50 grammi di hashish e 27 piante di marijuana in coltivazione. Le analisi avevano rivelato che il valore del principio attivo superava di 125 volte il limite massimo consentito dalla legge.

Oltre alla quantità, a insospettire gli inquirenti erano state le modalità di conservazione: la sostanza era suddivisa in pacchetti e sigillata in involucri di cellophane sottovuoto. Era presente anche un bilancino di precisione con tracce di stupefacente, a dimostrazione di recenti pesature.

I Motivi del Ricorso: La Tesi dell’Uso Personale

Nonostante questo quadro probatorio, gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione. La loro difesa si basava su un unico motivo: la violazione di legge e il vizio di motivazione per la mancata riqualificazione del fatto nell’ipotesi di lieve entità, prevista dal comma 5 dello stesso art. 73. Sostenevano che la droga fosse destinata esclusivamente al loro consumo personale, essendo entrambi assuntori abituali.

Spaccio di droga: La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, confermando di fatto la condanna per spaccio di droga. La decisione si fonda su un principio procedurale e su una valutazione sostanziale delle prove. Secondo i giudici, il ricorso non faceva altro che riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte con motivazioni logiche e coerenti dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi criticamente con la sentenza impugnata.

Le motivazioni della sentenza

La Corte ha evidenziato come la valutazione del giudice di merito fosse inattaccabile. Gli elementi raccolti erano univoci nel delineare un quadro ben diverso dal semplice consumo personale. In particolare, sono stati considerati decisivi:

1. L’ingente quantitativo: La quantità totale di stupefacente era tale da superare ampiamente le necessità di un singolo consumatore, anche abituale.
2. L’elevato valore del principio attivo: Il superamento di 125 volte del limite legale indicava una potenzialità offensiva e una capacità di diffusione sul mercato significative.
3. Le modalità di conservazione: L’uso di confezioni sottovuoto e la presenza di un bilancino sono stati interpretati come strumenti tipici dell’attività di spaccio, finalizzati a preparare e conservare dosi per la vendita.

La Corte territoriale, secondo la Cassazione, aveva correttamente valorizzato questi indizi, la cui combinazione rendeva inverosimile la tesi difensiva dell’uso personale. Il ricorso, limitandosi a ribadire tale tesi senza smontare il ragionamento dei giudici d’appello, si è rivelato meramente ripropositivo e, quindi, inammissibile.

Le conclusioni: Criteri per Distinguere Uso Personale e Spaccio

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per distinguere tra detenzione per uso personale e spaccio, il giudice deve valutare un complesso di circostanze oggettive. La sola affermazione dell’imputato non basta. La quantità, la qualità, le modalità di confezionamento e la presenza di strumenti per la pesatura e la divisione in dosi sono tutti indicatori che, letti insieme, possono fornire una prova logica della destinazione della sostanza alla vendita. La conseguenza dell’inammissibilità del ricorso è stata la condanna definitiva degli imputati al pagamento delle spese processuali e di una cospicua somma alla Cassa delle ammende.

Perché il ricorso degli imputati è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché si limitava a riproporre le stesse censure già valutate e respinte dalla Corte d’Appello, senza argomentare contro le motivazioni logiche e coerenti della sentenza impugnata.

Quali elementi hanno convinto i giudici che si trattasse di spaccio e non di uso personale?
Gli elementi decisivi sono stati l’ingente quantità di stupefacente (circa 1 kg di marijuana, 50,50g di hashish e 27 piante), il valore del principio attivo 125 volte superiore al limite legale, e le modalità di conservazione, come l’uso di confezioni sottovuoto e la presenza di un bilancino con tracce di droga.

Quali sono state le conseguenze economiche per gli imputati a seguito della decisione?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, gli imputati sono stati condannati al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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