Spaccio di Droga: la Cassazione Dichiara Inammissibile il Ricorso Basato sull’Uso Personale
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso di spaccio di droga, fornendo chiarimenti cruciali sui criteri che distinguono la detenzione per uso personale da quella finalizzata alla vendita. La decisione sottolinea come la mera affermazione di essere consumatori non sia sufficiente a superare prove oggettive che indicano un’attività illecita, rendendo il ricorso inammissibile.
Il Caso: Detenzione di Stupefacenti e Ricorso in Cassazione
Due soggetti venivano condannati in primo grado e in appello per il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, previsto dall’art. 73, comma 4, del d.P.R. 309/1990. Durante una perquisizione presso la loro abitazione, erano stati rinvenuti quantitativi significativi di droga: circa un chilogrammo di marijuana, oltre 50 grammi di hashish e 27 piante di marijuana in coltivazione. Le analisi avevano rivelato che il valore del principio attivo superava di 125 volte il limite massimo consentito dalla legge.
Oltre alla quantità, a insospettire gli inquirenti erano state le modalità di conservazione: la sostanza era suddivisa in pacchetti e sigillata in involucri di cellophane sottovuoto. Era presente anche un bilancino di precisione con tracce di stupefacente, a dimostrazione di recenti pesature.
I Motivi del Ricorso: La Tesi dell’Uso Personale
Nonostante questo quadro probatorio, gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione. La loro difesa si basava su un unico motivo: la violazione di legge e il vizio di motivazione per la mancata riqualificazione del fatto nell’ipotesi di lieve entità, prevista dal comma 5 dello stesso art. 73. Sostenevano che la droga fosse destinata esclusivamente al loro consumo personale, essendo entrambi assuntori abituali.
Spaccio di droga: La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, confermando di fatto la condanna per spaccio di droga. La decisione si fonda su un principio procedurale e su una valutazione sostanziale delle prove. Secondo i giudici, il ricorso non faceva altro che riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte con motivazioni logiche e coerenti dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi criticamente con la sentenza impugnata.
Le motivazioni della sentenza
La Corte ha evidenziato come la valutazione del giudice di merito fosse inattaccabile. Gli elementi raccolti erano univoci nel delineare un quadro ben diverso dal semplice consumo personale. In particolare, sono stati considerati decisivi:
1. L’ingente quantitativo: La quantità totale di stupefacente era tale da superare ampiamente le necessità di un singolo consumatore, anche abituale.
2. L’elevato valore del principio attivo: Il superamento di 125 volte del limite legale indicava una potenzialità offensiva e una capacità di diffusione sul mercato significative.
3. Le modalità di conservazione: L’uso di confezioni sottovuoto e la presenza di un bilancino sono stati interpretati come strumenti tipici dell’attività di spaccio, finalizzati a preparare e conservare dosi per la vendita.
La Corte territoriale, secondo la Cassazione, aveva correttamente valorizzato questi indizi, la cui combinazione rendeva inverosimile la tesi difensiva dell’uso personale. Il ricorso, limitandosi a ribadire tale tesi senza smontare il ragionamento dei giudici d’appello, si è rivelato meramente ripropositivo e, quindi, inammissibile.
Le conclusioni: Criteri per Distinguere Uso Personale e Spaccio
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per distinguere tra detenzione per uso personale e spaccio, il giudice deve valutare un complesso di circostanze oggettive. La sola affermazione dell’imputato non basta. La quantità, la qualità, le modalità di confezionamento e la presenza di strumenti per la pesatura e la divisione in dosi sono tutti indicatori che, letti insieme, possono fornire una prova logica della destinazione della sostanza alla vendita. La conseguenza dell’inammissibilità del ricorso è stata la condanna definitiva degli imputati al pagamento delle spese processuali e di una cospicua somma alla Cassa delle ammende.
Perché il ricorso degli imputati è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché si limitava a riproporre le stesse censure già valutate e respinte dalla Corte d’Appello, senza argomentare contro le motivazioni logiche e coerenti della sentenza impugnata.
Quali elementi hanno convinto i giudici che si trattasse di spaccio e non di uso personale?
Gli elementi decisivi sono stati l’ingente quantità di stupefacente (circa 1 kg di marijuana, 50,50g di hashish e 27 piante), il valore del principio attivo 125 volte superiore al limite legale, e le modalità di conservazione, come l’uso di confezioni sottovuoto e la presenza di un bilancino con tracce di droga.
Quali sono state le conseguenze economiche per gli imputati a seguito della decisione?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, gli imputati sono stati condannati al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22994 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22994 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/06/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME COGNOME CUI 03NGMCF ) nato a CECINA il 19/11/1989
COGNOME NOME ( CUI 0031923 ) nato a LIVORNO il 03/04/1971
avverso la sentenza del 13/06/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 23 marzo 2021 dal GIP del Tribunale di Livorno, esclusa la circostanza aggravante della recidiva e la continuazione, rideterminando la pena irrogata agli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 73, co. 4, d.P.R. n. 309/1990.
Avverso la sentenza, con unico atto, sono stati proposti ricorsi nell’interesse di entrambi gli imputati deducendo, con unico motivo, ai sensi dell’art. 606, co. 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione di legge e vizio della motivazione, quanto alla mancata riqualificazione nell’ipotesi di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990.
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili in quanto meramente ripropositivi di censure già mosse con l’atto di appello che la Corte territoriale ha valutato e rigettato con motivazione affatto illogica e coerente con le emergenze acquisite. E’ stato posto in evidenza che presso l’abitazione dei ricorrenti è stato rinvenuto circa un chilogrammo di sostanza stupefacente del tipo marijuana, grammi 50,50 di hashish nonché 27 piante di marijuana, stupefacente in relazione al quale è stato accertato che il valore del principio attivo superava di 125 volte il limite massimo previsto dalla legislazione vigente. La Corte ha, altresì, valorizzato le modalità di conservazione dello stupefacente trovato già in due pacchetti utilizzando involucri di cellophane sottovuoto oltre la presenza di una bilancina che presentava tracce di stupefacente a dimostrazione di recenti pesature. Con tutto quanto sopra esposto, il ricorso non si confronta limitandosi a ribadire che i due imputati erano assuntori di droga e che il quantitativo rinvenuto, alla stregua della droga coltivata era destinata al loro consumo personale.
Alla inammissibilità dei ricorsi a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla somma di euro 3.000, ciascuno, in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 10 giugno 202 . nePOSI -T-1-
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