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Spaccio di droga: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per spaccio di droga. La decisione si fonda sul fatto che le argomentazioni del ricorrente erano mere contestazioni dei fatti, non ammesse in sede di legittimità. Gli elementi decisivi che hanno confermato l’intento di spaccio, e non di uso personale, sono stati l’ingente quantità di cocaina (25,20 grammi), l’elevata purezza (82,2%), il numero di dosi ricavabili (oltre 120), il luogo del controllo (noto per lo spaccio) e un precedente specifico.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di Droga: Inammissibile il Ricorso Basato su Fatti

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema giudiziario: il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per rimettere in discussione la valutazione dei fatti. In un caso di spaccio di droga, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, condannandolo al pagamento delle spese e di un’ammenda, poiché le sue argomentazioni si limitavano a una diversa lettura delle prove, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito.

Il Caso in Analisi

L’imputato era stato condannato nei gradi precedenti per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990. Durante un controllo, era stato trovato in possesso di 25,20 grammi di cocaina. L’analisi della sostanza aveva rivelato un indice di purezza molto elevato, pari all’82,2%, da cui si sarebbero potute ricavare oltre 120 dosi singole.

Altri elementi a suo carico includevano le circostanze del controllo, avvenuto in una zona nota per essere luogo di spaccio, e un precedente penale specifico per reati legati agli stupefacenti. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la droga fosse destinata a un uso esclusivamente personale e non allo spaccio.

I Motivi del Ricorso e la Valutazione della Corte sul tema dello spaccio di droga

Nel suo ricorso, la difesa ha tentato di offrire una ricostruzione alternativa dei fatti, minimizzando il valore probatorio degli indizi raccolti. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha immediatamente qualificato tali argomentazioni come “mere doglianze in punto di fatto”.

Questo significa che l’imputato non contestava un errore nell’applicazione della legge da parte della Corte d’Appello, ma piuttosto il modo in cui i giudici avevano interpretato le prove. La Corte di Cassazione, in qualità di giudice di legittimità, ha il compito di assicurare l’uniforme interpretazione della legge e non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei tribunali di primo e secondo grado, a meno che la motivazione di questi ultimi non sia manifestamente illogica o contraddittoria.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha ritenuto che la decisione della Corte d’Appello fosse pienamente giustificata e logicamente motivata. I giudici di merito avevano correttamente valorizzato una serie di elementi convergenti che escludevano l’ipotesi dell’uso personale e indicavano chiaramente l’intento di spaccio di droga:

1. Dato quantitativo: Il peso della sostanza (25,20 grammi) era significativo.
2. Dato qualitativo: L’elevata purezza (82,2%) è un indice tipico della detenzione finalizzata alla vendita, in quanto la sostanza è destinata ad essere “tagliata” per aumentare il numero di dosi.
3. Numero di dosi: La possibilità di ricavare oltre 120 dosi singole è un dato oggettivo che contrasta con l’ipotesi di un consumo personale.
4. Contesto: Il fatto che l’imputato si trovasse in un’area nota come piazza di spaccio rafforzava ulteriormente il quadro accusatorio.
5. Precedenti specifici: La presenza di un precedente per lo stesso tipo di reato è stata considerata un ulteriore elemento a sfavore.

La combinazione di questi fattori, secondo la Corte, costituiva una base solida e coerente per affermare la responsabilità penale dell’imputato per il reato di spaccio, rendendo il ricorso privo di fondamento giuridico e quindi inammissibile.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma che non è possibile appellarsi alla Corte di Cassazione sperando in una rivalutazione delle prove. Gli elementi di fatto, come la quantità e la purezza della droga o le circostanze dell’arresto, se logicamente valutati dai giudici di merito, non possono essere messi in discussione in sede di legittimità. Per gli operatori del diritto e i cittadini, questa pronuncia è un chiaro monito: un ricorso in Cassazione deve concentrarsi su vizi di legge o difetti gravi di motivazione, non su una diversa interpretazione dei fatti già esaminati nei precedenti gradi di giudizio.

Quando un ricorso in Cassazione per spaccio di droga viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando, come nel caso di specie, non contesta errori di diritto o vizi logici della sentenza impugnata, ma si limita a proporre una diversa interpretazione dei fatti e delle prove, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.

Quali elementi distinguono lo spaccio di droga dall’uso personale secondo questa ordinanza?
Secondo l’ordinanza, gli elementi distintivi sono una combinazione di fattori, tra cui: il dato quantitativo (la quantità detenuta), il dato qualitativo (la purezza della sostanza), il numero di dosi ricavabili, le circostanze di fatto del controllo (es. trovarsi in una nota piazza di spaccio) e l’eventuale presenza di precedenti penali specifici.

Cosa significa che la Corte di Cassazione è “giudice di legittimità”?
Significa che il suo ruolo non è quello di stabilire come sono andati i fatti (giudizio di merito), ma di controllare che i giudici dei gradi inferiori abbiano applicato correttamente le norme di legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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