Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19241 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19241 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANZARO il 01/02/1988
avverso la sentenza del 15/04/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
Con la sentenza indicato in epigrafe la Corte di Appello di Catanzaro ha riformato la pronuncia del Tribunale locale del 22 settembre 2020, con la quale NOME NOME all’esito di giudizio abbreviato, veniva condannato in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 308/1990, rideterminando la pena in anni quattro di reclusione ed euro 18.000,00 di multa.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, articolando cinque motivi di ricorso: violazione degli artt. 521 comma 3 e 522 cod. proc. pen. per difetto di correlazione tra i fatti contestati e la sentenza; mancanza e manifesta contraddittorietà e illogicità della motivazione, sub specie di travisamento della prova, nella parte in cui non si tiene conto, con riferimento al dato ponderale (16,84 grammi di eroina), dell’esiguo principio attivo rilevato dalla consulenza tecnica (nella misura del 10-15%), ritenuto insufficiente per la preparazione di 229 dosi medie singole, con conseguente insussistenza della destinazione allo spaccio della sostanza rinvenuta; violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata riqualificazione del fatto nell’ipotesi meno grave di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. ovvero alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen.; violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivo non deducibile in questa sede di legittimità.
2.1. Quanto al primo motivo, il dedotto difetto di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, e, quindi, la pretesa violazione degli artt. 521, comma 3, e 522 cod. proc. pen. è palesemente smentita dagli atti processuali, non essendo riscontrabile alcuna immutatio tale da alterare l’essenza del fatto storico contestato né da pregiudicare l’esercizio del diritto di difesa; il motivo è pertanto manifestamente infondato.
Si tratta, peraltro, di doglianza che non era stata introdotta con i motivi di appello e questa La giurisprudenza di questa Corte Suprema è pacifica nel ritenere che non possano essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 4, n. 27110 del 15/9/2020, COGNOME, Rv. 279958, in motivazione, pag. 12; conf. Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, COGNOME, Rv. 269632; Sez. 2, n. 13826 del 17/2/2017, Bolognese, Rv. 269745; Sez. 2, n. 29707 del 8/3/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 5, n. 48416 del 6/10/2014, Dudaev, Rv.
261029; Sez. 5, n. 25814 del 23/4/2013, COGNOME, Rv. 255577; Sez. 2, n. 22362 del 19/4/2013, COGNOME, Rv. 255940). Ciò in quanto si deve evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura “a priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello. (così Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316 – 01 che ha ritenuto inammissibile il dedotto vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, atteso che la relativa questione non era stata prospettata in appello, ove il ricorrente si era limitato a dolersi dell’illegittimo niego all’imputato del beneficio della pena sospesa).
2.2. Con riferimento agli ulteriori motivi di ricorso, gli stessi, lungi dal con frontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, si limitano a reiterare profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla Corte di appello, lamentando, in maniera del tutto generica e aspecifica, una presunta carenza o illogicità della motivazione non emergente dal provvedimento impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Quanto al secondo motivo, i giudici del gravame del merito hanno adeguatamente motivato circa l’appartenenza della sostanza stupefacente rinvenuta all’imputato, rilevando che la vettura a bordo della quale viaggiava lo stesso era stata costantemente tenuta sotto osservazione durante l’inseguimento, e che il successivo rinvenimento degli involucri ad opera degli operanti di p.g. era stato possibile proprio per il fatto che gli stessi sapevano cosa e dove cercare avendo in precedenza visto dove era stata lanciata la droga.
2.3. Quanto alla mancanza di elementi di prova in ordine alla destinazione allo spaccio della sostanza rinvenuta, deve rammentarsi che la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, deve essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto (cfr. Sez. 4, n. 7191/2018, Rv. 272463, conf., Sez. 6, n. 44419/2008, Rv. 241604). E questa Corte di legittimità ha costantemente affermato – e va qui ribadito- che in tema di sostanze stupefacenti, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto – e l’eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dall’art. 73-bis, comma primo, lett. a), del d.P.R. n. 309 del 1990 – non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato
quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione (cfr. ex multis, Sez. 3, n. 46610 del 9/10/2014, COGNOME, Rv. 260991).
Tuttavia, il possesso di un quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dall’art. 73, comma primo bis, lett. a), d.P.R. n. 309 del 1990 se da solo non costituisce prova decisiva dell’effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, può comunque legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale conclusione (così Sez. 6, n. 11025 del 6/3/2013, COGNOME ed altro, Rv. 255726, fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso avverso la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto l’illiceità penale della detenzione dell’equivalente di 27,5 dosi di eroina anche in considerazione della accertata incapacità economica dell’imputato ai fini della costituzione di “scorte” per uso personale; conf. Sez. 6, n. 9723 del 17/1/2013, COGNOME, Rv. 254695).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno dato infatti conto degli elementi di prova posti a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, con specifico riferimento alla destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente rinvenuta. A tal fine hanno evidenziato non solo il numero delle dosi ricavabile dai 134 involucri contenenti circa 0,25 grammi di eroina (stimati dal consulente in circa 229 dosi medie singole), ma anche le circostanze di tempo e di luogo – essendo l’imputato stato sorpreso in orario notturno in una zona notoriamente interessata da attività di spaccio e trovato in possesso di sostanza già confezionata in dosi pronte per la cessione -, nonché le precarie condizioni economiche dell’imputato, privo di stabile attività lavorativa, e la sussistenza di uno specifico precedente in materia, ancorché estinto a seguito di affidamento in prova.
2.4. Pienamente congrua e logica nonché corrispondente ai principi più volte affermati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità e, pertanto, immune da vizi di legittimità è altresì la motivazione in ordine alla esclusione della riqual ficazione del fatto nella fattispecie di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R n. 309 del 1990 (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
La Corte di appello ha infatti valorizzato, oltre all’elevato numero di dosi ricavabili dal quantitativo di sostanza stupefacente sequestrato, anche le modalità e le circostanze dell’azione, evidenziando come l’imputato fosse stato sorpreso a circolare in orario notturno, in un’area notoriamente interessata da fenomeni di spaccio, e avesse successivamente tentato di sottrarsi al controllo della polizia giudiziaria dandosi alla fuga, sicché da una valutazione complessiva del fatto non era possibile pervenire a un giudizio di minima offensività, riscontrandosi, al contrario, indici sintomatici di una assoluta professionalità dell’agire dell’imputato
Ed invero, secondo il dictum di questa Corte di legittimità, in tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5, d.P. 309 del 1990 – anche all’esito della formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del 2014) e della legge 16.5.2014 n. 79 che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 20.3.2014 n. 36 – può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con una valutazione che deve essere complessiva, ma al cui esito è possibile che uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione restando priva di incidenza sul giudizio (così Sez. U. n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076 che, a pag. 14 della motivazione, ricordano che rimangono pertanto attuali i principi affermati nei precedenti arresti delle Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 e Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668 cfr. anche ex multis, Sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, COGNOME, Rv. 263551, nel giudicare un caso in cui è stata ritenuta legittima l’esclusione dell’attenuante in esame per la protrazione nel tempo dell’attività di spaccio, per i quantitativi di droga acquistati e ceduti, per il possesso della strumentazione necessaria per il confezionamento delle dosi e per l’elevato numero di clienti; conf. Sez. 3, 32695 del 27/03/2015, Genco, Rv. 264491, in cui la Corte ha ritenuto ostativo al riconoscimento dell’attenuante la diversità qualitativa delle sostanze detenute per la vendita, indicativa dell’attitudine della condotta a rivolgersi ad un cospicuo e variegato numero di consumatori).
2.5. Quanto, infine, alla doglianza relativa al trattamento sanzionatorio, la sentenza risulta sorretta da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive (sull’onere motivazionale del giudice in ordine alla determinazione della pena, Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, COGNOME, Rv. 27628801; Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243).
Il provvedimento impugnato appare infatti collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’as solvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, soprattutto dopo la specifica modifica dell’articolo 62bis c.p. operata con il d.l. 23.5.2008 n. 2002 convertito con modif. dalla I. 24.7.2008 n. 125, che ha sancito essere l’incensuratezza dell’imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione, è assolutamente sufficiente, come avvenuto nel caso che ci occupa, che il giudice si limiti a dare conto in motivazione di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine (cfr. ex multis Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01; Sez. 3, n. 44071 del
N.
6342/2025 GLYPH
R.G.
25/09/2014, COGNOME ed altri, Rv. 260610 – 01; conf. Sez. 1, n. 39566 del
16/02/2017, COGNOME Rv. 270986 – 01).
Anche la doglianza in punto di mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131bis è inammissibile, da un lato perché anche tale richie-
sta non è stata avanzata con i motivi di appello e dall’altro perché, dal complessivo tessuto motivazionale della sentenza impugnata, emerge una vicenda chiaramente
non sussumibile nella fattispecie di particolare tenuità del fatto.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissi-
bilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della san-
zione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13/05/2025