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Spaccio di droga: no uso personale con 24 kg

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per la detenzione di 24 kg di marijuana. La Corte ha stabilito che l’enorme quantitativo e l’elevata percentuale di principio attivo (oltre 60.000 dosi) escludono categoricamente la possibilità di qualificare il fatto come detenzione per uso personale, rendendo irrilevanti le censure proposte e confermando la condanna per spaccio di droga.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di Droga: 24 kg di Marijuana Sono Troppi per l’Uso Personale

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di spaccio di droga: la destinazione a uso personale di sostanze stupefacenti diventa un’ipotesi insostenibile di fronte a quantitativi eccezionalmente elevati. Questo caso, che ha visto protagonista un imputato trovato in possesso di 24 kg di marijuana, offre uno spunto cruciale per comprendere i criteri utilizzati dalla giurisprudenza per distinguere il consumo personale dal traffico illecito.

I Fatti del Caso: Detenzione di un Ingente Quantitativo

Il caso trae origine da una sentenza della Corte d’Appello che confermava la condanna di un soggetto per detenzione ai fini di spaccio. L’imputato era stato trovato in possesso di un carico di 24 chilogrammi di marijuana. Le analisi tecniche (perizia) avevano inoltre rivelato una percentuale media di principio attivo (THC) del 7,8%, un valore significativo che, tradotto in dosi, equivaleva a oltre 60.000 dosi medie singole. Nonostante la difesa avesse tentato di sostenere la tesi dell’uso personale e di ottenere una riqualificazione del reato in una fattispecie meno grave, i giudici di merito avevano respinto tale interpretazione, confermando una pena di due anni e otto mesi di reclusione e 8.000 euro di multa.

La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile e le ragioni dello spaccio di droga

L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, ma la Suprema Corte lo ha dichiarato inammissibile. La ragione principale di tale decisione risiede nel fatto che i motivi del ricorso erano meramente riproduttivi delle censure già esaminate e correttamente respinte nei precedenti gradi di giudizio. La Cassazione ha sottolineato come la Corte d’Appello avesse applicato in modo corretto le regole sulla valutazione della prova, basando la sua decisione su dati oggettivi e incontrovertibili, come le risultanze della perizia e le modalità di campionatura della sostanza.

La questione della pena

Anche le lamentele relative all’eccessività della pena sono state rigettate. La difesa le ha presentate come enunciati stereotipati, senza un reale collegamento con le motivazioni della sentenza impugnata. I giudici di legittimità hanno invece avallato la valutazione della Corte d’Appello, la quale aveva giustificato la misura della pena (non prossima al minimo edittale) in ragione dell’obiettiva gravità della condotta, considerando recessivi elementi come l’incensuratezza dell’imputato o il suo comportamento al momento dell’arresto.

Le Motivazioni

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nella palese inconciliabilità tra i dati fattuali e la tesi dell’uso personale. La Corte afferma che il dato quantitativo (24 kg) e quello qualitativo (oltre 60.000 dosi potenziali) sono elementi che, di per sé, escludono la possibilità di applicare la fattispecie di lieve entità prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990. Di fronte a una simile quantità di stupefacente, la dedotta destinazione a uso personale diventa, secondo i giudici, ‘inconferente’. Non è necessario cercare ulteriori prove dello spaccio, poiché la natura e l’entità del sequestro parlano da sole, orientando inequivocabilmente la qualificazione giuridica del fatto verso l’ipotesi dello spaccio di droga.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: nella valutazione dei reati legati agli stupefacenti, il dato ponderale e la percentuale di principio attivo sono criteri determinanti e spesso decisivi. Quando questi valori superano ogni ragionevole soglia di consumo individuale, la tesi difensiva dell’uso personale perde ogni fondamento. La decisione sottolinea inoltre un importante principio processuale: il ricorso in Cassazione non può essere una semplice ripetizione delle argomentazioni già sconfitte in appello, ma deve contenere critiche specifiche e puntuali contro la logica giuridica della sentenza impugnata. In assenza di tali elementi, il ricorso è destinato all’inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Quando la detenzione di droga non può essere considerata per uso personale?
Secondo la Corte, quando il dato quantitativo (in questo caso, 24 kg) e qualitativo (un’alta percentuale di principio attivo, pari al 7,8%, sufficiente per oltre 60.000 dosi) sono così elevati da essere oggettivamente incompatibili con una destinazione al consumo personale.

Un ricorso in Cassazione può limitarsi a ripetere le argomentazioni già presentate in appello?
No, il ricorso è stato dichiarato inammissibile proprio perché i motivi erano una mera riproduzione di censure già esaminate e respinte dai giudici di merito, senza introdurre nuove e specifiche critiche alla logica della sentenza impugnata.

Come viene valutata l’eccessività della pena in un caso di spaccio di droga?
Le censure sull’eccessività della pena devono essere specifiche e collegate alla sentenza. In questo caso, la Corte ha ritenuto che la pena (due anni e otto mesi e 8.000 euro di multa), sebbene non vicina al minimo, fosse giustificata dalla ‘obiettiva gravità della condotta’, rendendo recessive altre considerazioni come l’incensuratezza dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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