Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26483 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26483 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a TORRETTA il 17/04/1947 COGNOME NOME nato a MODICA il 03/07/1998 NOME COGNOME nato il 03/03/1999 NOME nato il 12/01/1976
NOME nato a CATANIA il 27/05/1994
avverso la sentenza del 14/03/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi proposti da COGNOME e COGNOME e il rigetto dei ricorsi proposti da NOME COGNOME NOME COGNOME e NOMECOGNOME lette le conclusioni scritte dell’avv. NOME COGNOME del foro di COGNOME difensore di NOME e dell’avv. NOME COGNOME del foro di Ragusa, nell’interesse di COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 marzo 2024 la Corte di appello di Catania, in parziale riforma della sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Ragusa, ha recepito l’accordo ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen. e rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME previa esclusione della recidiva, nella misura di anni quattro e mesi sei di reclusione in relazione a reiterate ipotesi di cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina -capi e) ed f)- ; ha rideterminato la pena per NOME COGNOME in relazione ai reati di cui ai cap b), c) e d) relativi a cessioni consumate e tentate di sostanza stupefacente del tipo cocaina; ha poi rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME previa esclusione della recidiva, per il reato di cui al capo I) avente ad oggetto cessioni di sostanza stupefacente del tipo cocaina; ha confermato, infine, la sentenza nei confronti di NOME COGNOME e NOME NOME COGNOME, in relazione ai reati loro rispettivamente ascritti ai capi k) il primo, e f) e h) il secondo.
Avverso la sentenza sono stati proposti ricorsi nell’interesse degli imputati.
Con il ricorso proposto da NOME COGNOME affidato ad un unico motivo si deduce la violazione di legge in punto di carenza di motivazione. La riforma della sentenza dovuta alla parziale rinuncia dei motivi di gravame, secondo la difesa, non esimeva il giudice dall’obbligo motivazionale di cui all’art. 111 Coste 125 co. 3 cod. proc. pen.
Con il ricorso proposto da NOME COGNOME si deduce, con un unico motivo, il vizio di motivazione in merito alla affermazione di responsabilità con specifico riferimento alla cessione di tre dosi di cocaina nella notte tra il 12 e il 13 luglio 2024 (capo d). Ad avvis della difesa il giudizio espresso dalla Corte si fonda sulle dichiarazioni rese da NOME COGNOME, compagna del Trovato, quest’ultimo deceduto per overdose, la quale ha riferito che il compagno avrebbe acquistato lo stupefacente dal COGNOME il quale, a sua volta, lo aveva acquistato da NOME detta “la palermitana” al prezzo di cento euro. La Corte non ha considerato gli argomenti difensivi con i quali si era posta in evidenza la contraddittorietà delle dichiarazioni rese dalla COGNOME in merito all’epoca in cui sarebbe avvenuto il presunto incontro tra COGNOME e COGNOME utilizzando, peraltro, una conversazione intercorsa tra COGNOME e un tale COGNOME in occasione della quale si discute del decesso di COGNOME, che però, sarebbe stata male interpretata.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è affidato a cinque motivi.
5.1. Con il primo si deduce erronea applicazione della legge penale in ordine al reato di cui all’art. 73, co. 1, d.P.R. n. 309/1990 e vizi di motivazione, in speci
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Si rileva innanzitutto “equivoca” formulazione del capo di imputazione, approssimativa, laddove si contesta la detenzione di “quantitativi imprecisati di…” a riprova della mancanza di evidenza della evt detenzione e menvmeno del fine di spaccio. Si contesta il mero rinvio alla sentenza di primo grado senza procedere ad autonome valutazioni che, ove correttamente operate, avrebbeideterminato l’assoluzione dell’imputato quantomeno con la formula dubitativa. Il giudizio di responsabilità dell’imputato è stato espresso solo sulla scorta dell’attivi captativa e non è stata presa in considerazione la “verosimile spiegazione” offerta dal ricorrente già in fase cautelare. La Corte territoriale ha obliterato le dichiarazioni re dall’imputato in relazione all’uso personale e di gruppo della sostanza stupefacente. In sostanza il giudizio di responsabilità è stato espresso sulla scorta di attività captativa da “circostanze labiali” dei presunti acquirenti senza nessun rigore valutativo in merito alla loro attendibilità.
5.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. I giudici di secondo grado hanno recepito acriticamente la motivazione del primo giudice offrendo così una motivazione solo apparente.
5.3 Con il terzo motivo la difesa si duole della inosservanza dell’art. 649 cod. pen. quanto all’episodio che ha dato luogo all’arresto in flagranza dell’imputato in data 28.9.2019, giudicato con sentenza di condanna del Tribunale di Ragusa del 28.9.2020. La difesa, ben consapevole del fatto che si tratti di due giudizi ad oggi pendenti aveva invocato giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui le situazioni di litispendenza devono essere risolte dichiarando, nel secondo processo, pur in mancanza di una sentenza irrevocabile, l’impromovibilità dell’azione penale in virtù del principio del bis in idem, sempre che i due processi abbiano ad oggetto il medesimo fatto, attribuito alla stessa persona e siano devoluti alla cognizione di giudici della stessa sede giudiziaria. La questione posta è stata rigettata dalla Corte territoriale senza offri specifica risposta al motivo di gravame.
5.4 Con il quarto motivo la difesa lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990, pure riconosciuta in primo grado, alla coimputata nel medesimo capo di imputazione.
5.5. Con il quinto motivo la difesa deduce inosservanza ed errata applicazione della legge penale per non avere riconosciuto all’imputato una congrua riduzione di pena, le circostanze attenuanti generiche e la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. proc. pen.
Con il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si lamenta, con un unico motivo, il mancato riconoscimento della fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73
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d.P.R. 309/90. Gli argomenti spesi a sostegno del rigetto sono connotati oltre che dalla erronea applicazione della norma, dalla mancanza di motivazione. Non si è tenuto conto della modifica legislativa apportata dall’art. 4, co. 3, d. I. 15 settembre 2023 n. 12 convertito con modificazione dalla I. 13 novembre 2023 n. 159.
La non occasionalità della condotta non può escludere la ricorrenza del fatto di lieve entità. Il riferimento al “controllo di un apprezzabile zona del territorio 14 (di Modica) per negare la sussistenza del quinto comma è meramente apodittico ove si consideri che dal capo di imputazione risultano individuati solo sette acquirenti, peraltro, sempre per quantitativi minimi, connotando così i fatti in contestazione quale tipico spaccio “di strada”.
Sono stati proposti due distinti ricorsi nell’interesse di NOME COGNOME dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME.
7.1. Con il primo ricorso Ai deduce, con unico motivo, violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento della fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, avuto riguardo alla minima offensività del fatto, al modesto dato ponderale delle dosi di stupefacente di volta in volta cedute, nonché il numero dei cessionari, pari a due.
7.2. Con il ricorso proposto dall’avv. COGNOME si deduce:
7.2.1 con il primo motivo la violazione dell’art. 606 co. 1 lett. b) cod. proc. pen per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen in relazione ai reati di cui ai capi f) e h) della rubrica. In entrambi i casi si contestano cessioni di sostanza stupefacente solo che mentre nel capo h) viene indicato espressamente quale acquirente NOME COGNOME, nel capo f) l’indicazione dei clienti è impersonale. Il tutto nel medesimo periodo compreso dal 24 luglio 2019 al mese di gennaio 2020.
7.2.2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. 309/1990. Si richiama giurisprudenza di questa Corte secondo cui non è sufficiente ad escludere l’inquadramento della condotta nel “fatto di lieve entità” l’argomento della reiterazione degli episodi di cessione di droga e il preteso inserimento di tali condotte in una consolidata rete di contatti con fornitori e consumatori. I proposito quanto al capo h) non si tiene conto che le cessioni in favore del Tasca avevano ad oggetto modesti quantitativi di marijuana in favore del suddetto che ha riferito di farne un uso solo saltuario.
Quanto al capo f) la responsabilità dello COGNOME nella detenzione illecita di cocaina in concorso con COGNOME, secondo i giudici di secondo grado, sarebbed73 desuntea una serie di intercettazioni che non vengono analizzate per accertare il ruolo fortemente
subalterno e marginale dello Zisa. Né ad escludere l’ipotesi di lieve entità può essere richiamata la diversità della sostanza ceduta.
8. Il P.G., in persona del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi proposti da COGNOME NOME e COGNOME NOME e il rigetto dei ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME NOME COGNOME. ffj le conclusioni scritte dell’avv. NOME COGNOME COGNOME del foro di Ragusa, difensore di NOME NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME del foro di Ragusa , difensore di NOME COGNOME r erb-m-ra e,,t.giCtm.eurb SQA GLYPH -Deeptor,
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema del cd. “patteggiannento in appello”, introdotto dall’art. 1, comma 56, della legge n. 103 del 2017, è inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle q l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte dalla citata disposizione non solo limita l cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 5, Ordinanza n. 29243 del 04/06/2018, Casero, Rv. 273194 – 01). Si è, pertanto, ritenuto inammissibile il ricorso relativo alla valutazion sulla sussistenza di cause di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, Rv. 278170; Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, Rv. 278170), nonché il ricorso volto a censurare la qualificazione giuridica del fatto, in quanto l’accordo dell parti in ordine ai punti concordati implica la rinuncia a dedurre nel successivo giudizio di legittimità ogni diversa doglianza, anche se relativa a questione rilevabile di uffici con l’unica eccezione dell’irrogazione di una pena illegale (Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, Leone, Rv. 277196 – 01).
Del pari manifestamente infondato è il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
Gli argomenti svolti dalle sentenze conformi a sostegno del giudizio espresso, ad avviso di questo Collegio, non presentano vizi logici e sono conformi ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze indiziarie che sono state congruamente valutate e che la difesa si limita a censurare genericamente proponendo una alternativa rilettura del materiale acquisito, tutto pienamente utilizzabile per effetto della scelta d rito abbreviato.
Sono state passate in rassegna le dichiarazioni rese dalla compagna del COGNOME il cui cadavere è stato rinvenuto all’interno di un casolare, nella notte tra venerdì 12 e sabato 13 luglio, dopo avere assunto, secondo quanto riferito dalla donna, sostanza stupefacente “sicuramente” acquistato da una donna di Scicli di nome NOME, detta “la palermitana” per 100 euro. Secondo la Corte, costituirebbe riscontro a quanto detto, il fatto che la mattina del 13 luglio, COGNOME NOME si era recata sotto casa di NOME NOME, molto arrabbiata, in quanto costui, la notte precedente le aveva mandato il cugino NOME COGNOME ad acquistare sostanza stupefacente che aveva pagato con cento euro false. La compagna del COGNOME, secondo quanto argomentato dalla Corte, sentita successivamente riferiva che il COGNOME,appreso che la stessa lo aveva accusato di avere consegnato quella notte la droga al compagno poi deceduto, spiegava che il ricorrente si era recato a casa sua e le aveva chiesto se fosse vera la notizia della sua delazione. La COGNOME non solo gli dava conferma ma gli chiedeva se avesse consegnato al compagno eroina o cocaina e COGNOME le rispondeva che era cocaina “ma poca”.
Contesta la difesa con il ricorso che le conversazioni captate la notte del 13 luglio 2019 sarebbero state male interpretate dalla Corte che le ha ritenute argomento a riscontro delle dichiarazioni rese dalla Covato.
Sul punto vale la pena ricordare che le contestazioni difensive circa il reale significato delle conversazioni intercettate, nei concreti termini in cui si sono svolte, scontrano irrimediabilmente con il consolidato principio di diritto secondo cui l’attribuzione di un determinato contenuto alle intercettazioni è insindacabile in sede di legittimità, ove sorretto, come nel caso di specie, da adeguata motivazione. In proposito, è stato affermato che «In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione I linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di ‘fatto, rimessa alla valutazione de giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015 Sebbar, Rv. 263715; conforme Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337).
Sono inammissibili il primo e il secondo motivo di ricorso proposti nell’interesse di NOME COGNOME.
E’ noto che il sindacato dei giudici di legittimità non ha ad oggetto la revisione del giudizio di merito ma la verifica della struttura logica del provvedimento e non può estendersi all’esame e alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo che competono ai giudici di merito e in relazione ai quali questo Collegio non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di decisione alternativa.
Spetta, quindi, a questa Corte di legittimità di verificare la completezza e la correttezza della sentenza impugnata che se non manifestamente illogica e coerente con le emergenze probatorie acquisite, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U. n. 2110 del 23/11/1995, COGNOME, Rv. 203767).
Infatti, il controllo di legittimità concerne il rapporto tra motivazione e decision non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo di questa Corte di legittimità (Sez. 5, n. 22066 deò 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279495 – 02).
Nel caso in esame la Corte territoriale ha passato in rassegna le dichiarazioni rese dai numerosi “acquirenti”, sulla cui utilizzabilità non è posta questione neppure dalla difesa, i quali hanno confermato di avere acquistato stupefacente dal ricorrente, qualcuno anche dal fratello NOME, in molte occasioni, recandosi proprio presso l’abitazione del Khalid. La Corte ha, poi. valorizzato alcune conversazioni telefoniche e ambientali, delle quali ha posto in evidenza significativi passaggi da cui, in maniera logica e coerente, ha evinto l’attività di cessione dello stupefacente a terzi e non, piuttosto, come genericamente asserito nel ricorso, da destinare all’uso personale o di gruppo. E’ stato, inoltre, evidenziato a riscontro delle intercettazioni valutate, come in occasione della perquisizione domiciliare eseguita presso l’abitazione di Cerruto Luca, ritenuto cliente del ricorrente, sia stata rinvenuta una ricevuta del 27.8.2019 di ricaric di 400 euro sulla postepay intestata proprio al Khalid. Quale ulteriore elemento di riscontro, la Corte territoriale ha poi evidenziato l’episodio dell’arresto in flagran dell’odierno ricorrente, in data 28.8.2019 allorquando al rientro da Catania dove si era recato per acquistare sostanza stupefacente, veniva trovato in possesso di hashish dalla quale erano ricavabili 654 dosi medie singole. Con tutto quanto sopra evidenziato il ricorso, non si confronta. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.1. Ha escluso la Corte territoriale la ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 64 cod. proc. pen. con riferimento alla sentenza di condanna riportata nel giudizio scaturito dall’arresto in flagranza del ricorrente. La difesa, nel richiamare il principio sancito da Sezioni Unite di questa Corte, n. 34655 del 12 aprile 2005 1 che ha esteso l’applicabilità dell’art. 649 cod. proc. pen. alle sentenze non ancora passate in giudicato, dimentica di rilevare che proprio il massimo consesso di questa Corte, in parte motiva, ha precisato che «l’espressione “medesimo fatto” figura non solo nel testo dell’art. 649, ma anche nella disposizioni di cui agli art. 28, comma 1, e 669, comma 1, del codice di rito. In proposito è stato rilevato che nella giurisprudenza di legittimità detta locuzione è stata costantemente intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta
oggetto dei due processi, onde il “medesimo fatto” esprime l’identità storiconaturalistica del reato, in tutti i suoi elementi costitutivi identificati nella con nell’evento e nel rapporto di causalità, in riferimento alle stesse condizioni di tempo, d luogo e di persona (Sez. VI, 17 gennaio 2003, COGNOME ed altri, rv. 227711; Sez. I, 10 gennaio 2003, COGNOME, Rv. 223832)».
A quanto detto deve aggiungersi che questa Corte, richiamando i principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 200 del 2016 in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, ha affermato che, ai fini della preclusione del giudicato, «l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nell configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi – condotta, evento, nesso causale – e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. 1, n. 42630 del 27/04/2022, COGNOME, Rv. 283687 – 01; Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270387 – 01; Sez. 2, n. 52606 del 31/10/2018, COGNOME, Rv. 275518 – 01), ed ha aggiunto che il giudizio in ordine all’identità del fatto inteso alla verifica di avvenuta osservanza o violazione del divieto di bis in idem, deve essere parametrato al concreto oggetto del giudicato ed alla nuova contestazione, a prescindere dal raffronto tra gli elementi delle fattispecie astratte di reato (Sez. 2, 1144 del 06/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275068 – 01)» (Sez. 1. N. 41867 del 26/06/2024, Rv. 287251 – 01).
La Corte territoriale, nel respingere la richiesta avanzata dalla difesa, ha messo in evidenza che l’episodio relativo all’arresto del ricorrente in quanto colto al rientro una trasferta a Catania per acquistare stupefacente del tipo hashish era stato richiamato solo quale elemento di riscontro all’attività finalizzata allo spaccio di sostanz stupefacenti, emersa dal contenuto delle conversazioni intercettate in seno al procedimento e ha evidenziato che i riferimenti all’acquisto finalizzato allo spaccio di stupefacenti, peraltro, del tipo cocaina, sono contenuti in alcune conversazioni e trovano ulteriori riscontri nelle dichiarazioni di alcuni acquirenti/consumatori, in un ar temporale della contestazione ben più ampio di quello relativo all’episodio del 28 agosto 2019.
3.2 GLYPH II motivo con il quale si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73, co. 5. d.P.R n. 309/90 è inammissibile, in quanto riproduttivo di profilo di censura già adeguatamente vagliato e disatteso dalla Corte di merito con percorso argomentativo logico e coerente. Secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite, il giudice, nell’affermare o negare la tipicità del fa ai sensi dell’art. 73, comma 5, T. U. stup., deve dimostrare di avere vagliato tutti gl aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata solo ad alcuni di essi. Con la conseguenza, precisata dal Supremo Collegio, che “il percorso giustificativo deve dar conto non solo dei motivi che
logicamente impongono nel caso concreto di valutare un singolo dato ostativo al riconoscimento del più contenuto disvalore del fatto, ma altresì di quelli per cui la caric negativa non può ritenersi bilanciata da altri elementi eventualmente indicativi, se singolarmente considerati, della sua ridotta offensività” (Sez U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv 274076). La Corte di Appello si è fatta carico della valutazione globale degli elementi che hanno caratterizzato il reato e ha rilevato che ostavano alla qualificazione del fatto come lieve la reiterazione delle condotte, la sussistenza di una rete di fedeli clienti con i quali i contatti avvenivano con specifiche modalità previamente concordate, da cui la capacità dell’imputato di diffondere in modo sistematico e nient’affatto episodico la sostanza stupefacente.
Che poi alla coimputata sia stato riconosciuta la fattispecie di lieve entità è circostanza che non tiene conto della sentenza di questa Corte, a Sezioni Unite,che ha sancito il principio secondo cui «in tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti il medesimo fatto storico può configurare, in presenza dei diversi presupposti, nei confronti di un concorrente il reato di cui all’art. 73, comma 1 ovvero comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e nei confronti di altro concorrente il reato di cui all’art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R. 309/90»Sez. U. n. 27727 del 14/12/2023, dep. 2024, Rv. 286581 -01)
3.3 Lo stesso dicasi per il motivo con il quale la difesa contesta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale ha posto in evidenza non solo la mancanza di elementi che possano essere valorizzati in senso premiale ma anche le modalità esecutive della condotta continuata descritta nonché la personalità dell’imputato quale si evince anche dai precedenti penali anche specifici che gravano sullo stesso. Da qui la inammissibilità del motivo che non si confronta con il percorso logico giuridico posto alla base della esclusione delle circostanze di cui all’art. 62 bis cod. pen.
3.4. Il quinto motivo è del pari inammissibile. Lo è nella parte in cui si chiede i riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. proc. pen. in quanto si tratta di motivo introdotto solo in questa sede di legittimità. E’ stato chiar che «il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato dall’art 609 co, 1 cod. proc. pen. il quale ribadisce in forma esplicita un principio già enucleato dal sistema e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi proposti. Detti motivi – contrassegnati dall’inderogabile “indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto” che sorreggono ogni atto d’impugnazione (art. 581 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), e art. 591 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) – sono funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata ed all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione. La disposizione in esame deve infatti essere letta in correlazione con quella dell’art. 606 cod. proc, pen.,
comma 3 nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello. Il combinato disposto delle due norme impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, e costituisce un rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, infatti è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito della verifica giurisdizionale», (così, Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017 Rv. 270316, in motivazione).
Il motivo, cumulativamente proposto, è analogamente inammissibile quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche oltre che una “congrua riduzione della pena”. E’ noto che in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini de concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME Rv. 271269, fattispecie nella quali la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione d attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato). Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli al disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899)
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello ch ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).
La Corte territoriale oltre ad evidenziare che non si ravvisavano elementi di segno positivo, ha valorizzato le modalità esecutive della condotta continuata nell’arco di soli otto mesi di indagine, i precedenti anche specifici annoverati oltre che il comportamento processuale.
Quanto al trattamento sanzionatorio lo stesso è stato determinato in misura pari al minimo edittale con un contenuto aumento per la continuazione.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è infondato. La Corte territoriale ha passato in rassegna gli episodi di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina addebitati al ricorrente al capo k) della rubrica in un periodo compreso tra il 2 giugno 2019 e il febbraio 2020.
Il giudice del gravame, nel solco dei principi sanciti da questa Corte ha escluso la ricorrenza della fattispecie “lieve” evidenziando che avuto riguardo ai continui rifornimenti operati nella città di Catania di sostanza stupefacente del tipo cocaina che poi veniva spacciata nel territorio di Modica, in uno alla rete di clienti fidelizzati sovente si recavano anche a casa del ricorrente per l’acquisto, era possibile ritenere la significativa diffusione della sostanza nel territorio.
Si tratta di motivazione non manifestamente illogica né contraddittoria e comunque coerente ai principi sanciti da questa Corte, anche a Sezioni Unite (n. 51063 del 27/09/2018 COGNOME, Rv. 274076 – 01) secondo cui l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie selezionati in relazione agli indici sintomatici previsti dalla norma.
Le doglianze mosse dal ricorrente, secondo cui sarebbe stato violato il disposto di cui all’art. 4 del d. I. 15 settembre 2023, conv. dalla I. 13 novembre 2023 n. 159 non colgono nel segno. L’art. 73, co. 5 d.P.R. 309/1990, dispone salvo che il fatto costituisca più grave reato, punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da 1.032 a euro 10.329 «chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità”.
La legge 11 novembre 2023 n. 159, di conversione dell’art. 4, co. 3, d.l. 15 settembre 2023, ha aggiunto al comma 5 un secondo periodo: «chiunque commette uno dei fatti previsti dal primo periodo è punito con la pena della reclusione da diciotto mesi a cinque anni e della multa da euro 2.500 a 10.329, quando la condotta assume caratteri di non occasionalità. La modifica normativa, secondo l’interpretazione data da questa Corte è stata ritenuta ipotesi circostanziale della fattispecie prevista dal primo periodo dell’art. 73, co. 5 d.P.R. n. 309/1990, come si desumerebbe per un verso dalla collocazione della previsione all’interno del medesimo comma ma vieppiù del rinvio alla fattispecie prevista dal primo periodo del medesimo comma, differenziandosi per l’elemento “specializzante” della “non occasionalità” della condotta, da intendersi quando l’agente al momento del fatto abbia già riportato almeno un precedente specifico (Sez. 3, n. 5845 del 22/01/2025, COGNOME, Rv. 287441 – 01). Sul punto è stato, inoltre, affermato che in tema di stupefacenti la non occasionalità della condotta costituisce, per un verso elemento specializzante che integra l’aggravante di cui all’art. 73, co. 5, secondo periodo, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, introdotta dall’art. 4, co. 3 d.l. 15 settembre 2023, n. 123, convertito con modificazioni dalla legge 13 novembre
2023, n. 159, e fattore che concorre, unitamente ad altri, ad escludere la lieve entità del fatto (Sez. 3 n. 14220 del 25/02/2025, Rv. 287869 – 01).
Nel caso in esame, la non occasionalità della condotta, intesa come sistematicità della stessa, come detto, è stata valutata, dalle sentenze conformi, anche con riferimento alla disponibilità di uno stabile canale di approvvigionamento come dimostrano le pressoché quotidiane trasferte nella città di Catania, confermate dalle captazioni riportate in sentenza, che dimostravano la necessità di effettuare continue provviste di stupefacenti per fronteggiare le richieste’ dei clienti fidelizzati ch recavano persino presso l’abitazione del ricorrente per effettuare l’acquisto (pagg. 23 e ss. della sentenza di primo grado e pag. 10 della sentenza impugnata, con congruo richiamo a Sez. 2 n. 5869 del 28/11/2023, dep. 2024, Rv. 2859987 – 01).
5.- Passando all’esame dei ricorsi proposti nell’interesse dell’imputato COGNOME
5.1. E’ manifestamente infondato per carenza di interesse il motivo che attiene alla pretesa violazione dell’art. 81 – concorso formale dei reati di cui ai capi f) e h). il primo giudice ha implicitamente ritenuto assorbito il reato di cui al capo h) in quell contestato al capo f) dato che in sede di determinazione della pena non ha proceduto all’aumento della continuazione interna tra i fatti in esso contestati (v. pag. 18 dell sentenza impugnata).
5.2. Quanto al secondo motivo, relativo al mancato riconoscimento della fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, la sentenza non merita le censure dedotte. La Corte territoriale, a pag. 17, ha evidenziato che COGNOME ha affiancato NOME COGNOME, suo fidato collaboratore, affiancandolo nell’occultamento dello stupefacente tanto presso il b&b di proprietà del ricorrente quanto in campagna, dopo averlo prelevato, temendo controlli e recandosi poi a prelevarlo con il suddetto, per procedere allo spaccio. E’ stato inoltre aggiunto l’ulteriore aspetto della diversità d sostanza stupefacente spacciata per un lasso di tempo di almeno sei mesi, la gestione dei conteggi, la preparazione delle dosi di cocaina, tagliando la sostanza con la mannite, laddove era stato proprio COGNOME a proporsi per andare in farmacia per acquistare la sostanza da taglio. Il compendio degli elementi passati in rassegna dal giudice del gravame è stato ritenuto, in modo non manifestamente illogico e coerente con le emergenze acquisite e con congrui richiami giurisprudenziali, sintomatico della capacità dell’imputato di diffondere in modo sistematico lo stupefacente e conseguentemente nient’affatto occasionale né episodico, dunque non indicativo di una minima offensività del fatto. Per contro il percorso argomentativo seguito dalla Corte è censurato quanto al capo h) sul presupposto dell’unico acquirente peraltro in maniera saltuaria e per modeste cessioni e quanto al capo f) perché non sarebbe stata differenziata la posizione subalterna dello Zisa rispetto ai correi. Il motivo, connotato da patente genericità, non
si confronta con l’ampia motivazione posta dalle sentenze conformi né con i principi giurisprudenziali sopra richiamati al punto 3.2.
Alla inammissibilità dei ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME NOME COGNOME segue la condanna dei predetti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa della inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
Al rigetto del ricorso proposto da NOME COGNOME segue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME COGNOME NOME e condanna i medesimi al pagamento delle spese processuali e della somma di eruo tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammenda.
Deciso il 17 aprile 2025
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