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Spaccio di droga: i criteri per la condanna e la pena

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili due ricorsi in materia di spaccio di droga. Viene confermato che il possesso di stupefacenti oltre i limiti legali, unito ad altri elementi come gli strumenti per il confezionamento, costituisce prova sufficiente dell’intento di spacciare. Inoltre, si ribadisce l’ampia discrezionalità del giudice nella determinazione della pena, specialmente quando questa si avvicina al minimo edittale.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di Droga: Criteri per la Condanna e Discrezionalità della Pena

Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui presupposti per una condanna per spaccio di droga e sui limiti della discrezionalità del giudice nel determinare la pena. La decisione, che ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati, ribadisce principi consolidati ma di fondamentale importanza pratica, delineando il confine tra uso personale e detenzione ai fini di spaccio.

I fatti del caso in esame

Due soggetti venivano condannati nei primi due gradi di giudizio per detenzione di sostanze stupefacenti. Entrambi decidevano di presentare ricorso per Cassazione. Il primo imputato contestava esclusivamente il trattamento sanzionatorio, ritenendo la pena eccessiva. Il secondo, invece, contestava sia l’affermazione di responsabilità, negando l’intento di spacciare, sia, in subordine, l’entità della pena inflitta.

La decisione della Corte di Cassazione sullo spaccio di droga

La Suprema Corte ha rigettato entrambi i ricorsi, definendoli manifestamente infondati e fornendo una motivazione chiara su tutti i punti sollevati dai ricorrenti.

La prova dell’intento di spaccio

Per quanto riguarda la posizione del secondo imputato, che sosteneva la destinazione della sostanza all’uso personale, la Corte ha richiamato il suo orientamento consolidato. Sebbene il solo superamento dei limiti quantitativi previsti dalla legge non sia di per sé prova decisiva dello spaccio, esso costituisce un grave indizio. Quando a tale indizio si aggiungono altri elementi, come la disponibilità di strumenti per il confezionamento delle dosi (es. bilancini di precisione, bustine), il quadro probatorio si solidifica. Nel caso di specie, la presenza di tali strumenti, valutata congiuntamente alla quantità di droga, rendeva inverosimile la tesi dell’uso personale, comprovando l’illecita detenzione finalizzata allo spaccio di droga.

La motivazione della pena

La Corte ha affrontato anche le censure relative alla quantificazione della pena. Per il primo imputato, i giudici hanno ritenuto la pena adeguata al fatto, sottolineando il rilevante quantitativo di droga sequestrata e giustificando la differenza di trattamento rispetto al coimputato proprio sulla base della diversa quantità di sostanza a ciascuno attribuita. Per il secondo imputato, la cui pena era prossima al minimo edittale, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: l’obbligo di motivazione del giudice si attenua quando la sanzione si colloca nella parte bassa della forbice edittale. In questi casi, è sufficiente un richiamo generico ai criteri di adeguatezza previsti dall’art. 133 del codice penale, poiché si presume che il giudice abbia tenuto conto di tutti gli elementi rilevanti per applicare una pena così mite.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha sottolineato che il giudice di merito ha un ampio potere discrezionale nella determinazione della pena. Tale potere non è sindacabile in sede di legittimità se la motivazione è logica, congrua e non contraddittoria, come nel caso esaminato. Il giudice non è tenuto a esaminare analiticamente tutti gli elementi dell’art. 133 c.p., ma può concentrarsi su quelli che ritiene prevalenti per adeguare la pena alla gravità del reato e alla personalità del reo. I ricorsi, tentando di introdurre una nuova valutazione dei fatti di causa, si sono scontrati con i limiti del giudizio di Cassazione, che non può riesaminare il merito delle prove.

Conclusioni

L’ordinanza in commento consolida due principi cardine in materia di stupefacenti. Primo: la destinazione allo spaccio può essere provata attraverso una valutazione complessiva degli indizi, tra cui la quantità della sostanza e il possesso di strumenti per il confezionamento. Secondo: la discrezionalità del giudice nella commisurazione della pena è molto ampia e il suo esercizio è difficilmente contestabile in Cassazione, soprattutto quando la pena irrogata è vicina al minimo legale. La decisione rappresenta un monito sulla necessità di fondare i ricorsi su vizi di legittimità concreti, evitando di riproporre questioni di fatto già vagliate nei gradi di merito.

Il solo possesso di una quantità di droga superiore ai limiti di legge basta per essere condannati per spaccio?
No, secondo la Corte, il superamento del limite tabellare da solo non costituisce prova decisiva, ma può legittimamente concorrere, unitamente ad altri elementi (come il possesso di strumenti per il confezionamento), a fondare la prova della destinazione della sostanza allo spaccio.

Perché due persone accusate dello stesso reato possono ricevere pene diverse?
La pena viene individualizzata in base a vari fattori, come la gravità specifica della condotta e la personalità del reo. Nel caso esaminato, la diversità di pena è stata giustificata dalla Corte sulla base del differente quantitativo di droga sequestrata a ciascun imputato.

Il giudice deve sempre spiegare dettagliatamente perché ha scelto una certa pena?
No. Quando la pena inflitta è prossima al minimo previsto dalla legge (minimo edittale), l’obbligo di motivazione del giudice si attenua. È considerato sufficiente un richiamo ai criteri generali di adeguatezza, poiché si presume che siano stati valutati implicitamente tutti gli elementi a favore dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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