Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26095 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26095 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME NOMECOGNOME nato a Carrera il 06/10/1956
avverso l’ordinanza del 20/12/2024 del Tribunale della libertà di Massa visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito U difensore, avv. NOME COGNOME COGNOME dei foro di Firenze, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Massa, costituito ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., ha dichiarato inammissibile l’istanza di riesame presentata da NOME COGNOME quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e, in parziale accoglimento delle istanze di riesame proposte da NOME COGNOME in proprio, e dalla di lui moglie, NOME COGNOME, ha ridotto l’importo sequestrato, limitatamente al reato di concorso nel delitto di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, alle somme di 3.210.356,08 euro, da dividere in parti uguali tra gli indagati, ed 744.125,92 euro a carico del solo COGNOME con riferimento al profitto del delitto ex art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, oggetto di provvisoria incolpazione ai capi 2), 3), 4) e 5), nel resto confermando il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. del Tribunale di Massa.
Avverso l’indicato provvedimento, l’indagato, per il tramite del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cessazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con un primo motivo, denuncia !a violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione agii artt. 321, cod. proc. pen. 11 e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 e vizio di motivazione apparente con riferimento alla sussistenza del fumus del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Ad avviso del difensore, il Tribunale avrebbe errato nell’applicazione dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 con riferimento sotto un triplice profilo: 1) l condotte poste in essere non avrebbero una specifica capacità ingannatoria rispetto alla ricostruzione del patrimonio sottoponibile all’esecuzione, perché si risolvono in bonifici effettuati a favore della moglie, con causale “mantenimento famiglia”, e, dunque, agevolmente tracciabili; 2) non sussisterebbe il pericolo concreto per il conseguimento delle spettanze del fisco, in quanto l’indagato è titolare di un complesso immobiliare valutato tra i 29 milioni e i 50 milioni di euro, per giunta già bloccato dall’ipoteca di secondo grado iscritta proprio dall’amministrazione finanziaria; 3) non ricorrerebbe, infine, neppure il fumus del dolo specifico richiesto dalla fattispecie che concerne, tanto la portata ingannatoria della condotta, quanto !a consapevolezza che la stessa possa mettere concretamente :n pericolo il credito del fisco.
2.2. Con un secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 321, cod. proc. pen. 11 e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 e vizio dì motivazione apparente con riferimento alla sussistenza del periculum in mora. Argomenta il difensore che, sul punto, il Tribunale, per un verso, ha dato rilevanza ad elementi del tutto inconferenti e, in ogni caso, senza tener conto dei costi, e, per altro verso, non ha considerato il
valore dei cespiti immobiliari ampiamente capaci di soddisfare le pretese erariali, anche eventualmente calcolando la necessità di soddisfare i crediti extra erariali.
2.3. Con un terzo motivo, lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 321, cod. proc. pen. 11 e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 e vizio di mancanza di motivazione per violazione del principio di proporzionalità del sequestro, posto che è stata disposto il vincolo cautelare sull’intero patrimonio dell’indagato e di tutti i suoi familiari, così impedendo di far fronte anche alle minime esigenze di vita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato per i motivi di seguito indicati.
Il primo motivo è inammissibile.
Come risulta dal provvedimento impugnata (cfr. p. 2), con l’atto di riesame il ricorrente si era limitato a contestare la sussistenza del periculum in mora.
Al proposito, premesso che, in ogni caso, il Tribunale aveva ravvisato il fumus dei reati oggetto di incolpazione provvisoria – questione che era stata posta dalla coindagata NOME COGNOME il Collegio intende dare continuità al principio secondo cui, in tema di impugnazioni cautelari reali, la parte che propone richiesta di riesame, per la natura di mezzo di gravame della stessa, è tenuta ad articolare appositi motivi, sicché, ove successivamente proponga ricorso per cassazione avverso la decisione del tribunale del riesame, è tenuta a dedurre motivi corrispondenti a quelli con i quali erano state fatte valere le questioni a questo prospettate, pena l’inammissibilità delle deduzioni, siccome nuove (cfr. Sez. 3, n. 29366 del 23/04/2024, COGNOME, Rv. 286752 – 01, con ampia e argomentata motivazione sul punto; Sez. 2, n. 9434 del 27/01/2023, COGNOME, Rv. 284419 – 01; Sez. 5, n. 47078 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277543 – 01; in questo senso, già Sez. 4, n. 839 del 24/06/1993, COGNOME, Rv. 195324 – 01).
Di conseguenza, essendo le questioni sul fumus state poste, nei termini dinanzi indicati, per la prima volta con il ricorso per cassazione, le stesse – salvo quanto di dirà a breve – in applicazione del principio ora evocato sono inammissibili.
Il secondo motivo è fondato per i motivi di seguito indicati, con assorbimento del terzo motivo.
4. Si osserva che il ricorrente, con l’istanza di riesame, aveva contestato la sussistenza del periculum in mora, valorizzando, in particolare, la circostanza che, come risulta dalla stessa ordinanza impugnata (cfr. p. 9), il COGNOME è (anche) proprietario di un cespite immobiliare in Sardegna del valore di 29 milioni di euro, e quindi superiore all’importo del debito tributario, stimato in complessivi 18.039.394,50 euro (cfr. p. 6).
Orbene, tale circostanza refluisce, in prima battuta – come avrebbe dovuto rilevare il Tribunale cautelare – sulla stessa sussistenza del fumus del delitto ex art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000.
5. Si rammenta che l’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 (rubricato “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”) sanziona, nell’ipotesi di cui al comma 1, la condotta di chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a cinquantamila euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, applicandosi una pena edittale più elevata laddove l’ammontare delle imposte, degli interessi e delle sanzioni, sia superiore a duecentomila euro.
La norma incriminatrice, la cui portata applicativa è stata ampliata, anche con l’introduzione al secondo comma di una nuova fattispecie, dal d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla I. 30 luglio 2010, n. 122, ha un suo precedente storico nell’art. 97 d.P.R. n. 602 del 1973, che, nella versione introdotta dalla I. n. 413 del 1991, puniva, con la reclusione fino a tre anni, il contribuente che, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, interessi, soprattasse e pene pecuniarie dovuti, aveva compiuto, dopo che erano iniziati accessi, ispezioni e verifiche o erano stati notificati gli inviti e le richieste previsti dalle singole l di imposta, ovvero erano stati notificati atti di accertamento o iscrizioni a ruolo, atti fraudolenti sui propri o su altrui beni che avevano reso in tutto o in parte inefficace la relativa esecuzione esattoriale. La disposizione non si applicava se l’ammontare delle somme non corrisposte non era superiore a 10 milioni di lire.
Nel confrontare la previsione attuaie con quella precedente, la giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 17071 del 04/04/2006, Rv. 234322) ha osservato come nella vigente fattispecie di cui all’art. 11 d.lgs. 74 del 2000 sia scomparso ogni riferimento alla necessità dell’effettivo avvio di un qualsiasi accertamento fiscale, essendo ora sufficiente che l’azione sia idonea a rendere inefficace l’esecuzione esattoriale, configurandosi dunque l’illecito penale in termini di reato di pericolo concreto (sul punto cfr. Sez. 3, n. 13233 dei
24/02/2006, Rv. 266771), integrato dal compimento di atti simulati o fraudolenti volti a occultare i propri o altrui beni, idonei – secondo un giudizio ex ante che valuti la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell’Erario – a pregiudicare l’attività recuperatoria dell’amministrazione finanziaria, a prescindere dalla sussistenza di un’esecuzione esattoriale in atto (Sez. 3, n. 46975 del 24/05/2018, dep. 16/10/2018, F., Rv. 274066 – 01; Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Pass, Rv. 266771 – 01; Sez. 3, n. 39079 del 09/04/2013, COGNOME, Rv, 256376 – 01).
Il bene giuridico protetto dalla norma va, infatti, individuato nella garanzia generica patrimoniale offerta al fisco dai beni dell’obbligato, tenuto conto che il debitore, ex art. 2740 cod. civ., risponde dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Del resto, a ben vedere, la “tenuta” anche costituzionale – in particolare sotto il profilo del principio di offensività – della configurabilità in chiave pericolo dell’illecito appare garantita dalla necessità che la condotta volta alla sottrazione del bene si caratterizzi per la natura simulata dell’alienazione del bene o per la natura fraudolenta degli atti compiuti sui propri o sugli altrui beni; in altre parole, solo un atto di disposizione del patrimonio che si caratterizzi per tali modalità, strettamente tipizzate dalla norma, può essere idoneo a vulnerare le legittime aspettative dell’Erario, posto che, diversamente, verrebbe sanzionata, in contrasto con il diritto di proprietà, costituzionalmente garantito, ogni possibile condotta di disponibilità dei beni, allo stesso diritto di proprietà strettamente connaturata.
E’ per tale ragione che questa Corte ha già espressamente affermato che non integra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte la condotta di chi, pur nella pendenza della procedura esattoriale, si limiti a disporre appunto dei propri beni (cfr. Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, COGNOME e altro, Rv. 252996 – 01).
Va aggiunto, inoltre, che non necessariamente le condotte, pur caratterizzate dalle indicate modalità simulatorie o fraudolente, sono per ciò solo idonee a “a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”; il fatto che il legislatore abbia aggiunto espressamente un tale requisito come elemento costitutivo del fatto, pur in presenza di condotte decettive del tipo ricordato, rende evidente che l’idoneità non si identifica con la realizzazione di un’alienazione simulata o di un atto fraudolento, non potendo l’accertamento della sussistenza del requisito prescindere da una valutazione dell’intero patrimonio del contribuente da rapportarsi alle pretese dell’Erario, ben
suscettibili di essere infatti ugualmente garantite pur in presenza della realizzazione di atti simili.
Il rischio che la pretesa tributaria non trovi capienza nel patrimonio del debitore presuppone, infatti, che la diminuzione causata dall’atto realizzato comporti una riduzione significativa delle garanzia, da valutare sia in relazione al credito, sia in relazione al patrimonio del contribuente.
A ragionare diversamente, del resto, diverrebbe impossibile, se non integrando reato, per qualunque soggetto che fosse debitore verso l’Erario di una somma superiore a 50.000 euro, e pur titolare di un patrimonio di gran lunga più consistente, compiere atti di disposizione del proprio patrimonio.
In definitiva, dunque, deve affermarsi che all’anticipazione della soglia di rilevanza penale della condotta, collocata in un momento nel quale l’obbligazione tributaria può non essere ancora sorta, deve necessariamente corrispondere, pena il possibile vulnus di principi di carattere costituzionale, una stretta interpretazione dei requisiti della condotta, configurante reato unicamente laddove si sia in presenza di vendita simulata o di altri atti fraudolenti idonei, nel senso appena rammentato, a porre in pericolo la pretesa tributaria.
8. Venendo al caso di specie, pur avendo ampiamente motivato in ordine al requisito della fraudolenza degli innumerevoli atti di disposizione patrimoniale compiuti dal COGNOME (analiticamente descritti alle p. 4 e 5 dell’ordinanza impugnata), il Tribunale avrebbe dovuto preliminarmente spiegare perché il patrimonio del ricorrente, del valore certamente non inferiore a 29 milioni di euro, non è idoneo a garantire la (di gran lunga inferiore) pretesa dell’Erario.
Si tratta, come anticipato, di una questione posta dal ricorrente in sede di riesame con riguardo al periculum, ma che incide, in primo luogo, sulla sussistenza stessa dei reato; sul punto, l’omessa risposta da parte del Tribunale integra una violazione di legge, deducibile ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen.
Per i motivi indicati, l’ordinanza impugnata deve perciò essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Massa competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di
Massa competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.
Così deciso il 21/05/2025.