Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20649 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20649 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 05/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona nei confronti di NOME COGNOME nato a Verona il 03/04/1951 NOMECOGNOME nata a Garda il 19/06/1959 NOME COGNOME nato a Verona il 13/08/1987 avverso l’ordinanza del 12/09/2024 del Tribunale di Verona visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12 settembre 2024, il Tribunale di Verona ha accolto la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME NOME e NOME
NOME avverso il decreto del Gip del medesimo Tribunale del 26 luglio 2024, con cui era stato disposto nei loro confronti il sequestro preventivo per equivalente, a seguito della contestazione del reato di cui all’art. 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per il compimento di operazioni di trasferimento di beni, concluse in un momento successivo alla ricezione dell’avviso, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva intimato il pagamento di euro 1.753.906,95, a titolo di sanzione, prevista dall’art. 5 del d.l. 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, per l’omessa compilazione della dichiarazione RW, relativa a capitali detenuti in territorio estero, di cui all’art del medesimo decreto.
Nel disporre l’annullamento del provvedimento impugnato, con restituzione agli tenti di diritto di quanto in sequestro, il Tribunale ha ritenuto che le sanzio amministrative ex art. 5 del richiamato d.l. n. 167 del 1990 non fossero riconducibili all’evasione delle imposte dirette da parte dei ricorrenti.
Avverso l’ordinanza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di impugnazione, si censura la violazione degli artt. 4 e 5 del di. n. 167 del 1990, in relazione ai presupposti applicativi dell’art. 11 de d.lgs. n. 74 del 2000. Il pubblico ministero ricorrente contesta l’interpretazione con cui il Tribunale del riesame ha escluso l’applicabilità del reato di cui all’art. del d.lgs. n. 74 del 2000 – secondo la quale le sanzioni, previste all’art. 5 del d.l n. 167 del 1990, per l’omessa compilazione della dichiarazione RW, non integrano il presupposto della condotta tipica, che ha per oggetto l’evasione delle imposte dirette. Nel ricorso si sostiene che tale sanzione è, in realtà, legata all’evasione delle imposte dirette, per la presunzione stabilita dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009, secondo cui gli investimenti e le attività finanziarie detenute all’estero, in territorio regime fiscale differenziato, si presumono sottratti all’imposizione, ricadendo, in quanto attività di natura finanziaria, sotto l’art. 67 del testo unico delle impost sui redditi, quali “redditi diversi”. Secondo la prospettazione accusatoria, le condotte oggetto dell’imputazione sono state tenute per non pagare sanzioni amministrative previste per la mancata compilazione in dichiarazione annuale del quadro RW, in relazione ai capitali detenuti all’estero. Tale mancata compilazione, per il ricorrente, “è direttamente collegata alle imposte menzionate, è una sanzione amministrativa relativa a dette imposte”. A sostegno di questa ricostruzione, si richiama la sentenza Cass. n. 3495 del 2023, secondo cui gli importi dovuti a titolo di sanzioni amministrative non rilevano automaticamente ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000,
solo allorché, in virtù della sopramenzionata presunzione, venga contestato l’omesso versamento dell’Irpef.
2.2. Con una seconda doglianza, si censura l’erronea applicazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000. Si contesta la tesi del Tribunale, secondo cui i trasferimenti operati da NOME e NOME in favore del figlio NOME dovevano qualificarsi come atti in frode alla procedura di riscossione coattiva. Il Tribunale non avrebbe considerato, infatti, che i trasferimenti si atteggiavano come negozi indiretti compiuti in frode all’erario, poiché: erano avvenuti in favore di un congiunto; si ponevano come atti di liberalità, privi di giustificazione di ristrutturazione economica; erano compiuti seguito dell’avvio degli accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Con memoria, depositata in data 15 gennaio 2025, il difensore di NOME COGNOME rileva che la giurisprudenza di legittimità, riportata anche nel ricorso del pubblico ministero, richiede che la sottrazione di beni si verifichi per diminuire la garanzia del pagamento dell’obbligazione tributaria o di una sanzione posta a presidio di essa, mentre, nel caso di specie, la sanzione irrogata dall’Agenzia delle Entrate per la mancata compilazione della dichiarazione RW era solamente legata a un’omissione dichiarativa. Si aggiunge che il secondo motivo di ricorso del pubblico ministero è inammissibile, attenendo a profili di mero fatto, e che, inoltre, nella vicenda in esame, manca qualsiasi intento evasivo degli indagati, posto che i beni erano stati trasferiti al fine di permettere la successione del figlio, COGNOME NOME, nell’effettiva gestione dell’azienda di famiglia.
Con memoria depositata in data 5 febbraio 2024, il difensore di NOME COGNOME e COGNOME NOME sostiene, in relazione al primo motivo presentato dal pubblico ministero, l’estraneità della sanzione prevista per la mancata compilazione del riquadro RW rispetto a quelle che sono presupposto del reato di cui all’art. 11. Aggiunge che tale conclusione è ricavabile: da un argomento di ordine sistematico, quale la presenza, all’interno della previsione di cui all’art. 12 del d.l. n. 78 del 2009, di un procedimento ulteriore per l’inflizione di tale sanzione, autonomo rispetto a quello previsto per l’inadempimento dell’obbligazione tributaria; da un argomento di ordine logico, ovvero l’applicabilità della sanzione al cointestatario del conto, e cioè ad un soggetto diverso da quello eventualmente destinatario dell’obbligazione tributaria. Quanto al secondo motivo di ricorso, si sostiene cha vada escluso il carattere fraudolento dei trasferimenti, essendo stati posti in essere per favorire la successione del figlio nelle attività dei genitor nonché per gratificarlo a seguito dell’intervenuta nascita di suo figlio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
1.1. Il primo motivo di impugnazione – con cui si afferma la sussistenza di indizi del reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n.74 del 2000 – si basa un’interpretazione del quadro normativo che contrasta con quella fornita dalla giurisprudenza di legittimità.
1.1.1. Con riguardo alla compilazione del modello RW, contenuto nella dichiarazione, di cui all’art. 4 del d.l. 28 giugno 1990, n. 167, si è affermato che i suo scopo è inequivocabilmente quello di rilevare a fini fiscali trasferimenti da e per l’estero di denaro, titoli e valori, come recita espressamente il titolo de medesimo d.l. e come si ricava dal richiamato art. 4, comma 1, laddove si precisa che le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate ai sensi dell’art. 5 del testo unico delle imposte sui redditi, residenti in Italia al termine del periodo d’imposta detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione dei redditi. modello RW consiste, dunque, in un mero strumento di comunicazione e conoscenza per la determinazione del reddito; il conseguente calcolo dell’imposta relativamente agli investimenti detenuti all’estero o alle attività estere di natur finanziaria e l’eventuale evasione contestata al ricorrente non derivano, ovviamente, dalla mancata compilazione di detto modello, ma dall’inadempimento degli obblighi fiscali sanzionati dal d.lgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 5 (Sez. 3, 19660 del 09/05/2012, non mass.). Si tratta di una conclusione che trova conferma anche nella giurisprudenza della Corte di cassazione civile, secondo cui la violazione consistente nell’omessa dichiarazione annuale per investimenti e attività di natura finanziaria all’estero, prevista dall’art. 4, comma 2, del d.l. 167 del 1990 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 227 del 1990), sanzionata dal successivo art. 5, risponde all’esclusiva finalità di assicurare, tramite l’obbligo di dichiarazione, appunto, il monitoraggio dei trasferimenti di valuta da e per l’estero, quali manifestazioni di capacità contributiva (ex multis, Cass. civ., Sez. 5. n. 28077 del 03/10/2024; n. 40916 del 21/12/2021; n. 27662 del 03/12/2020; n. 1311 del 19/01/2018). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.1.2. Queste considerazioni, sebbene espresse – dalla giurisprudenza di legittimità civile e penale – in riferimento ai reati di cui agli artt. 4 e 5 del d.l 74 del 2000, sono applicabili anche in riferimento all’art. 11, stante l’identità de loro presupposto, che consiste pur sempre nell’esistenza di un’obbligazione tributaria per imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Merita ricordare, infatti che l’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, punisce la sottrazione fraudolenta di beni al
fine di non pagare le imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte. Il presupposto di tale condotta è, perciò, la preesistenza di un debito di imposta o di una sanzione inflitta dall’autorità amministrativa, in relazione a tali categorie di debiti tributari.
Se ne ricava che la sanzione inflitta, ai sensi dell’art. 5 del d.l. n. 167 del 1990 per la mancata compilazione del modello RW, essendo riferibile in linea di principio al patrimonio e non al reddito e, perciò, non presentando alcuna diretta connessione con una preesistente obbligazione tributaria per imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non costituisce presupposto per il reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000. In altri termini, la sottrazione, anche fraudolenta, di ben alla garanzia del pagamento delle sanzioni relative alla mancata compilazione del quadro RW non configura la fattispecie tipica.
Va chiarito, infatti, che la fattispecie in relazione alla quale è stata emessa la misura cautelare reale (art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è un reato di pericolo ed è configurabile esclusivamente quando la simulazione o l’attività fraudolenta sono finalizzate a sottrarre al pagamento debiti tributari relativi alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto o ad interessi o sanzioni relativi a dette imposte, anche mediante il clandestino trasferimento all’estero di fondi, è pertanto, tramite il loro occultamento, all’azione di accertamento e verifica svolta dagli organi dell’amministrazione fiscale (ex multis, Sez. 3, n. 14007 del 25/10/2017, dep. 2018, Rv. 272582). La natura fraudolenta dell’atto richiede, pertanto, che questo sia connotato da elementi di artificio, inganno o menzogna tali da rappresentare ai terzi una riduzione del patrimonio non corrispondente al vero, così mettendo a repentaglio o, comunque, rendendo più difficoltosa la procedura di riscossione coattiva (ex plurimis, Sez. 3, n. 35983 del 17/09/2020, Rv. 280372).
Il motivo di ricorso in esame muove dall’erronea prospettiva ermeneutica secondo cui al reato in questione sono riconducibili gli importi dovuti a titolo di sanzioni amministrative applicate per l’omessa dichiarazione di investimenti all’estero, ai sensi dell’art. 5 del d.l. 28 giugno 1990, n. 167, convertito co modificazioni dalla legge 4 agosto 1990, n. 227. Rileva il Collegio che, come correttamente affermato dal Tribunale, l’omissione sanzionata dal citato art. 5 costituisce un illecito amministrativo la cui sussistenza determina l’operatività della presunzione di evasione stabilita, con riguardo agli investimenti e alle attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiat dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 102 del 2009.
In conclusione, gli importi dovuti a titolo di sanzione amministrativa per la mancata compilazione del modello RW non rilevano automaticamente ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, ma solo, allorch
in virtù di detta presunzione, venga contestato l’omesso versamento dell’IRPEF, a condizione, però, che siano compiuti atti dispositivi fraudolenti idonei a rendere in
tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva (Sez. 6, n. 34395
del 15/06/2023).
E non osta a tale conclusione, la previsione dell’art. 12, d.l. n. 178 del 2009, di contrasto ai “paradisi fiscali”, che è – appunto – la disposizione che prevede che
gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territo regime fiscale privilegiato in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui a
commi 1, 2 e 3 dell’art. 4 del d.l. 28 giugno 1990, n. 167, convertito dalla legge 4
agosto 1990, n. 227, ai soli fini fiscali si presumono costituite, salva la prov contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. Infatti, ai fini della configurabi
del reato di cui al richiamato art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, non è sufficiente l potenziale esistenza di un’evasione dell’imposta sui redditi, perché tale evasione
deve essere determinabile nel suo concreto ammontare, come confermato dalla presenza, nella disposizione, della soglia di punibilità di euro 50.000,00.
1.2. Il secondo motivo, relativo alla pretesa natura fraudolenta dei trasferimenti effettuati dai genitori nei confronti del figlio, deve ritenersi assorb dalle considerazioni appena svolte circa la non configurabilità del reato di cui all’art. 11 richiamato, in relazione alle sole sanzioni per la mancata compilazione del quadro RW. Trattasi, in ogni caso, di una critica di natura fattuale, inammissibile in sede di legittimità, in ragione del disposto dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. che, permettendo il sindacato da parte della Corte di Cassazione solamente per violazione di legge, impedisce di rilevare il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione.
Da quanto precede consegue il rigetto del ricorso del pubblico ministero.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 05/02/2023.