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Sottrazione fraudolenta: l’uso di società e conti

Un avvocato, a fronte di un ingente debito tributario, ha costituito una società e utilizzato conti esteri per incassare i propri compensi professionali, ostacolando la riscossione da parte dell’Erario. La Corte di Cassazione ha confermato il sequestro preventivo dei suoi beni, qualificando tali atti come reato di sottrazione fraudolenta, poiché l’uso strumentale di mezzi leciti per rendere inefficace la riscossione integra la fattispecie criminosa.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sottrazione Fraudolenta: Quando la Società Diventa uno Schermo contro il Fisco

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 14438 del 2025, affronta un caso emblematico di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. La pronuncia chiarisce come l’utilizzo di strumenti giuridici di per sé leciti, come la costituzione di una società o l’apertura di conti esteri, possa configurare un reato quando lo scopo principale è quello di rendere inefficace la riscossione dei crediti da parte dell’Erario. Questo caso offre spunti cruciali per professionisti e imprenditori sui limiti tra pianificazione lecita e condotta penalmente rilevante.

I Fatti del Caso: Una Complessa Rete per Evadere le Imposte

Un avvocato, gravato da un debito tributario di oltre 600.000 euro per IRPEF, IVA e altre sanzioni, ha posto in essere una serie di azioni per ostacolare il Fisco. In primo luogo, ha costituito una società in accomandita semplice, di cui era socio accomandatario e legale rappresentante, comunicando al Ministero della Giustizia che i crediti per le prestazioni professionali (relative al patrocinio a spese dello Stato) dovevano essere pagati direttamente a tale società.

Secondo l’accusa, questa società fungeva da mero ‘schermo’ per rendere più difficoltoso il recupero delle somme dovute. La tesi era rafforzata dal fatto che, quando la moglie del professionista aveva tentato di pignorare i crediti della società per questioni alimentari, questa si era opposta sostenendo di essere un soggetto terzo.

Inoltre, dalle indagini è emerso che l’avvocato era solito chiedere ai propri clienti di effettuare i pagamenti su conti correnti esteri non dichiarati in Italia, per i quali non versava la relativa imposta (IVAFE). Di fronte a questo quadro, il G.i.p. del Tribunale di Livorno aveva disposto un decreto di sequestro preventivo, confermato poi dal Tribunale del riesame.

La Difesa del Professionista e la Sottrazione Fraudolenta

L’avvocato ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che le sue azioni fossero pienamente legittime. A suo dire, la cessione dei crediti a una società o il conferimento di un mandato a incassare non incidevano sul debitore principale, il Ministero della Giustizia. Allo stesso modo, l’utilizzo di conti correnti esteri, noti all’Erario, non poteva considerarsi un atto fraudolento.

Il ricorrente non contestava la ricostruzione dei fatti, ma la loro interpretazione giuridica, sostenendo che i mezzi utilizzati (la società e i conti esteri) fossero leciti e non ostacolassero la riscossione del Fisco.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Il fulcro della decisione non risiede nella liceità o meno dei singoli atti compiuti dal professionista, bensì nel loro uso strumentale finalizzato a danneggiare l’Erario.

Le Motivazioni

La Corte ha chiarito che il reato di sottrazione fraudolenta, previsto dall’art. 11 del D.Lgs. 74/2000, punisce chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte per un ammontare superiore a 50.000 euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri beni per rendere inefficace la procedura di riscossione. Il punto chiave, secondo i giudici, è l’idoneità dell’atto a ingannare il Fisco e a pregiudicare la riscossione. Nel caso specifico, la creazione della società è stata vista non come una normale operazione commerciale, ma come la costituzione di uno schermo giuridico per interporre un soggetto terzo tra il professionista e i suoi crediti. Allo stesso modo, la canalizzazione dei pagamenti su conti esteri non dichiarati è stata interpretata come una manovra per occultare liquidità al Fisco. Pertanto, sebbene la costituzione di una società e l’apertura di un conto estero siano atti leciti, il loro impiego coordinato in un disegno volto a eludere le pretese erariali li trasforma in ‘atti fraudolenti’ penalmente rilevanti. La Cassazione ha quindi confermato la sussistenza sia del fumus commissi delicti (la probabilità che il reato sia stato commesso) sia del periculum in mora (il rischio che il tempo possa pregiudicare il recupero del credito), giustificando pienamente il mantenimento del sequestro preventivo.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di reati tributari: la forma giuridica non può mascherare la sostanza fraudolenta di un’operazione. La decisione serve da monito per tutti i contribuenti, in particolare professionisti e imprenditori, sottolineando che qualsiasi atto, anche se apparentemente legale, può integrare il reato di sottrazione fraudolenta se viene utilizzato con l’intento specifico di rendere inefficace l’azione di recupero del Fisco. La lotta all’evasione fiscale si combatte anche valutando la finalità delle operazioni economiche e non solo la loro veste formale.

Costituire una società per incassare i propri crediti è illegale se si hanno debiti con il Fisco?
Non è illegale di per sé, ma lo diventa se la sua costituzione è un atto fraudolento finalizzato a rendere inefficace la riscossione dei tributi. La Corte ha stabilito che l’uso strumentale della società come ‘schermo’ per sottrarre i beni alla garanzia del Fisco integra il reato di sottrazione fraudolenta.

Utilizzare conti correnti esteri per ricevere pagamenti è considerato un atto fraudolento?
L’uso di conti esteri di per sé non è illecito. Tuttavia, nel contesto di un ingente debito tributario, chiedere ai clienti di pagare su conti esteri non dichiarati in Italia è stato considerato parte di un disegno fraudolento volto a occultare la liquidità e sottrarsi al pagamento delle imposte.

Cosa è necessario per configurare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte?
È necessario un debito tributario (per imposte sui redditi o IVA) superiore a 50.000 euro e il compimento di atti fraudolenti sui propri o altrui beni che siano oggettivamente idonei a rendere, in tutto o in parte, inefficace la procedura di riscossione coattiva da parte dell’Erario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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