Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27710 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27710 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Pistoia il 22/08/1965; COGNOME NOME nato a Pistoia il 28/12/1953; COGNOME NOME nata a Pistoia il 16/01/1959; COGNOME NOME nata a Pistoia il 07/02/1980; COGNOME NOME nato a Prato il 07/04/1971; COGNOME NOME nato a Pistoia il 20/(08/1986; nel procedimento a carico dei medesimi; avverso la sentenza del 30/05/2024 della Corte di appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite. le conclusioni del Pubblico Ministero, dr. NOME COGNOME che ha chie dichiarazione di inammissibilità del ricorso; udite le conclusioni del difensore dell’imputata, avv.to NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Firenze riform parzialmente la sentenza del tribunale di Pistoia del 4.7.2022, appellata, t altri, dagli attuali ricorrenti, dichiarando non doversi procedere in ordine a di cui al capo 10) (artt. 110 c.p. e 11 Dlgs. 74/2000) perchè estint intervenuta prescrizione, rideterminando la pena applicata nei confronti
NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME oltre che per COGNOME NOME e COGNOME NOME, revocando la confisca per equivalente per il capo 10) e confermando nel resto la sentenza impugnata, di condanna in ordine al reato ex artt. 110 c.p. e 11 del Dlgs. 74/2000 ( capo 14).
GLYPH Avverso la suindicata sentenza COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME tramite i rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione.
, 3. GLYPH COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME deducono, con il primo motivo, vizi di violazione di legge riguardo all’art. 11 del Dlgs. 74/2000, sostenendo che le somme relative a ritenute operate su reddito da lavoro dipendente con le relative sanzioni ed interessi non potrebbero rientrare nelle “imposte sui redditi” e tra gli interessi o le sanzioni amministrative relative a dette imposte, di cui al comma 1 del citato art. 11. Nella predetta nozione possono rientrare, si osserva, solo le “imposte dirette” riguardanti il reddito prodotto direttamente dal contribuente interessato dalla fattispecie, e non forme di prelievo fiscale riferite a redditi diversi da quello prodotto dal contribuente quali quelle prima citate e contestate. Rilevando, in tal caso, in maniera scriminante, il diverso ruolo di sostituto di imposta che si prospetti riguardo a redditi di terzi. Quindi, le ritenute alla fonte operate sulle retribuzioni d dipendenti non sono riferibili ad imposte dirette, e la stessa ratio dell’art. 1 citato farebbe riferimento solo alla necessità di salvaguardare il reddito prodotto dal contribuente. Non potendosi considerare le somme predette, non connesse a quelle indicate dalla norma, ai fini del calcolo della soglia di cui all’art. 11 cita la stessa non risulterebbe raggiunta. Conseguentemente si deduce anche il vizio di motivazione per violazione di legge e l’erronea valutazione degli estratti di ruolo allegati a CNR della Guardia di Finanza, in funzione della configurabilità della fattispecie in contestazione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
GLYPH COGNOME NOME, con il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge e di motivazione. La Corte non avrebbe considerato il dato per cui la ricorrente non sarebbe mai stata dipendente della società fallita, essendo stata nominata amministratore della RAGIONE_SOCIALE in data 3 agosto 2015, poco prima della dichiarazione di fallimento. In tale quadro, il contestato debito erariale era già maturato, e nessuna condotta di distrazione o aggravamento potrebbe addebitarsi alla ricorrente, che sarebbe risultata inconsapevole delle vicende societarie, alla luce di dati documentali e dichiarativi citati in ricorso, pe stralcio. A nulla, poi, rileverebbe la natura permanente del reato ex art. 11 del Dlgs. 74/2000, dovendosi piuttosto rilevare che se il giudice avesse valutato la
idoneità delle condotte dell’imputata in ordine alla lesione del bene giur tutelato dalla norma, avrebbe dovuto assolverla, mancando nella condotta dell ricorrente, a fronte di un reato di pericolo concreto, ogni idoneità a r inefficace la procedura di riscossione coattiva, avendo ella solo sottoscritto affitto privi di idoneità nel senso prima citato. Si deduce anche la mancanz motivazione e il vizio di violazione di legge in punto di dolo del r sostenendosi che la ricorrente non avrebbe mai percepito che il quantum non pagato avesse superato la soglia di punibilità. Inoltre, quale mera testa di ella non aveva la volontà di realizzare atti di cui ignorava l’esistenza né consapevolezza del quantum del debito tributario, ignorando ella l’evasione e il superamento della soglia di punibilità ad essa correlato. Gli stessi avvisi not dall’agente della riscossione venivano gestiti solo dai COGNOME. Le sud circostanze emergerebbero dalla relazione della curatela, e da sommari informazioni testimoniali. Si rappresenta, altresì, la non configurabili concorso tra il reato ex art. 11 del Dlgs,. 74/2000 e quello di cui all’a L.F., con violazione del principio di cui al brocardo ne bis in idem. Vi sarebbe al più una strategia distrattiva complessiva, che ha portato alla dichiarazio fallimento e al reato ex art. 216 L.F., per cui la distrazione in danno del dovrebbe ricondursi nel paradigma distrattivo di quest’ultimo reato. C configurazione solo dello stesso, in ragione del principio di specialità, quale più grave. La diversa tesi di cui in sentenza implicherebbe la violazione del 15 c.p., a fronte della identità della condotta e della finalità perseguita.
Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 530 comma 2 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione sulla prova della sussistenz commissione del fatto. Vi sarebbe il ragionevole dubbio, in proposito.
Si deduce infine, con il terzo motivo, la violazione dell’art. 133 per mancata applicazione dei relativi criteri in sede di dosimetria della Così da doversi ridurre la pena al minimo edittale, con concessione de attenuanti generiche.
COGNOME NOME, con il primo motivo rappresenta il vizio di violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza del reato ex art. citato e di cui al capo 10 di imputazione. Si osserva che in base al mate istruttorio, gli importi del debito tributario, alla luce dei codici identifi vari debiti, corrisponderebbero in gran parte a ritenute alla fonte non ve con relative sanzioni e interessi e per il resto ad Iva non versata, pari a p di 28.000 euro, comprensivi di sanzioni ed interessi. E tanto risulta confer dai giudici di merito. Si aggiunge che ai fini in esame le uniche impost
considerare sarebbero VIVA e le imposte dirette (Ires), siccome direttamente gravanti sul soggetto ‘contribuente, con esclusione di importi dovuti quale sostituto di imposta, pari nel caso di specie a 760.000 euro. Nel senso suddetto deporrebbe la giurisprudenza di legittimità, con una sua sentenza citata in ricorso. Quindi, si imporrebbe l’annullamento della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste rispetto al capo 10), per il quale è invece stata dichiarata l’intervenuta prescrizione.
GLYPH Con il secondo motivo rappresenta vizi di motivazione. La Corte avrebbe omesso ogni motivazione rispetto ad una censura difensiva riguardante la confisca diretta di beni del ricorrente, con cui si era chiesto alla Corte d appello, a fronte di una intervenuta confisca diretta di denaro presente su conti correnti bancari e postali, di valutare la natura della delega vantata al riguardo dal ricorrente per la gestione delle somme, con particolare riguardo alla disponibilità e libera utilizzabilità di somme da parte del delegato. La corte avrebbe omesso ogni motivazione a sostegno della confisca diretta con riguardo alla disponibilità, da parte dell’imputato, delle somme confiscate, e presenti su conti correnti della moglie, per quasi 9000 euro complessivi.
Chiti 3acopo, con il primo motivo ha dedotto vizi di violazione di legge e di motivazione, con riguardo alla parte inerente il capo 14) per cui è intervenuta condanna. Si rappresenta che sarebbero la lettera del capo 14) e la relativa descrizione del fatto a far propendere per la soluzione difensiva volta a escludere il concorso tra il reato ex art. 11 del Dlgs. 74/200 e quello ex art. 216 L.F. e la corte avrebbe omesso ogni motivazione a sostegno delle conclusioni raggiunte in favore del ritenuto concorso.
Con il secondo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione, e si sostiene che ai fini della ricostruzione del reato deve farsi riferimento solo alle imposte dirette, con esclusione di somme dovute per ritenute alla fonte su redditi da lavoro dipendente nonchè per correlate sanzioni ed interessi. Così da doversi stabilire un ammontare di somme dovute e rilevanti inferiore alla soglia di punibilità prevista. La diversa tesi sostenuta dalla cor non sarebbe adeguatamente motivata e sarebbe in contrasto con un orientamento di legittimità condiviso e citato dalla difesa.
Con il terzo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione, evidenziando che sarebbe emersa da prove dichiarative la estraneità del ricorrente rispetto alle vicende societarie, di cui non aveva consapevolezza. Tantomeno delle attività illecite. Né alcuna condotta distrattiva
risulterebbe contestata al ricorrente, estraneo ai fatti di cui ai capi 11) e 12), che non lo avrebbero riguardato. E si esclude la commissione di condotte di bancarotta distrattiva a carico del ricorrente, non contestategli. Quanto all’elemento soggettivo, si rappresenta che la data di notifica delle cartelle esattoriali sarebbe successiva alla condotta contestata all’imputato con il capo 13). Le argomentazioni della Corte in tale contesto non risponderebbero adeguatamente alle doglianze proposte in appello, laddove nulla si direbbe circa le dichiarazioni del teste COGNOME e l’informativa della GDF del 29.4.2019, citate con atto di gravame dalla difesa. E si sarebbe travisata la prova di cui alle sit del COGNOME e ad una tabella di cui a pagina 39 della prima sentenza.
COGNOME Con il quarto motivo deduce il vizio di violazione di legge e di motivazione in ordine alla mancata applicazione delle attenuanti generiche. La corte non avrebbe valutato gli elementi dedotti a sostegno della richiesta di applicare le predette attenuanti, quali le dichiarazioni di due testi. La corte avrebbe considerato solo le dichiarazioni del teste COGNOME e non si sarebbe confrontata con le deduzioni difensive.
Con il quinto motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione, in ordine alla mancata applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, nonostante il rappresentato ruolo marginale assunto e la condotta contestata che si collocherebbe in un ridotto contesto temporale. Né si comprenderebbe la valorizzazione in prospettiva negativa di condotte distrattive, che neppure sarebbero state contestate al ricorrente.
Con il sesto motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione in ordine alla ritenuta esclusione di una evidenza probatoria di non colpevolezza in ordine al capo 10). Piuttosto a tali fini rileverebbero le censure di cui al secondo motivo, posto il mancato superamento della soglia di punibilità.
E’ stata altresì presentata memoria difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH E’ necessario esaminare congiuntamente taluni motivi proposti da ricorrenti differenti, siccome relativi alle medesime questioni.
GLYPH Innanzitutto, occorre valutare la censura con la quale si contesta la configurabilità del reato ex art. 11 del Dlgs. 74/2000, in presenza di un debito afferente il mancato versamento della ritenuta di acconto su redditi di lavoro. Si
fa riferimento al primo motivo proposto da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME nonché al primo motivo dedotto da COGNOME NOME ed al secondo motivo del ricorso di COGNOME 3acopo. La tesi ivi sostenuta e in precedenza sintetizzata nella illustrazione dei motivi, posta in contrapposizione a quella opposta elaborata dai giudici di merito, è manifestamente infondata. Innanzitutto soccorre, a supporto di quest’ultima, la lettera del primo comma della norma incriminatrice, secondo la quale “è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tut o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”. Emerge un chiaro riferimento al dovuto pagamento di “imposte sui redditi o sul valore aggiunto”, quale nozione che appare idonea a comprendere non solo debiti inerenti l’IVA bensì tutti quei debiti inerenti imposte relative ai redditi, senza alcuna ulteriore specificazione. Così che non si rinviene alcuna richiesta correlazione diretta tra il soggetto debitore e il reddito cui inerisce l’imposta da pagare, che invero appare condizione letterale essenziale (e non esistente) per supportare la tesi difensiva secondo la quale il debito contemplato dall’art. li citato riguarderebbe l’imposta relativa al reddito proprio e immediato del contribuente debitore. Né, del resto, tale requisito è evincibile dalla ratio puniendi, che mira semplicemente a tutelare l’esazione fiscale coattiva che possa avere riguardo ad imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Piuttosto, sia la lettera della norma che la relativa esigenza di tutela depongono nel senso per cui la fattispecie incriminatrice fa riferimento a qualsiasi debito di imposta afferente il valore aggiunto o i redditi, senza altra specificazione o condizione. Tanto meno in ordine alla qualità soggettiva dell’autore del reato, sub specie di titolare diretto e immediato del reddito su cui debba calcolarsi l’imposta, come invece sostiene la difesa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Consegue la piena configurabilità del reato in esame anche rispetto a debiti, come emergenti nel caso in esame almeno in parte, inerenti il pagamento della ritenuta di acconto su debiti di lavoro.
Ed invero, non può trascurarsi, in proposito, che tale ultimo istituto, della ritenuta di acconto, si connota per quelle caratteristiche (sopra sintetizzate) cui l’art. 11 citato fa riferimento nel rappresentare i pagamenti esposti al rischio di mancata riscossione coattiva, che caratterizza la fattispecie quale reato di pericolo concreto. In proposito, al fine di riannodare le fila del ragionamento sinora formulato, si rammenta, da una parte, che secondo la consolidata giurisprudenza il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è
Quanto sinora sostenuto ha trovato conferma di recente in una sentenza di questa Corte ( cfr. Cass. Pen. sez. 3 n. 834 del 2025, non massimata) secondo la quale nel novellato art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 è venuto meno il riferimento alla figura soggettiva del “contribuente” per cui nell’attuale disposizione normativa il riferimento, in punto di autore della condotta, a “chiunque”, porta a ritenere che il delitto non sia limitato a una categoria ristretta di autori, con conseguente esclusione dal novero degli stessi dei sostituti di imposta, per includervi solo i contribuenti, previsti dalla originaria disposizione abrogata, ma sia riferibile tanto agli uni quanto agli altri. Né ha rilievo, si è osservato altresì, la circostanza che l norma di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 si riferisse, all’atto della sua entr in vigore, ai contribuenti, in continuità con precedente disposizione normativa, e non potesse estendersi anche ai sostituti di imposta, in ragione del fatto che reato di pericolo, che punisce colui che, per sottrarsi alle imposte, aliena simulatamente o compie atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, senza che sia necessaria la fondatezza della pretesa erariale (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 19989 del 10/01/2020, COGNOME,,Rv. 279290) ed ancora, che il delitto in questione è integrato dall’uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui be idonei a pregiudicare – secondo un giudizio “ex ante” – l’attività recuperatoria della amministrazione finanziaria; Sez. 3, n. 35853 del 11/05/2016, Rv. 267648, nello stesso senso, Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Rv. 266771). Dall’altra, che l’istituto della ritenuta d’acconto rientra nel più generale fenomeno della “sostituzione d’imposta”, di cui si rinvengono riferimenti innanzitutto nell’art. del Dlgs. 24.3.2025 secondo il quale, ” Le imposte sono riscosse mediante: a) versamenti diretti del contribuente, del sostituto d’imposta e del responsabile d’imposta; b) ritenuta diretta”; a conferma di come la ritenuta di acconto sia solo una modalità di riscossione di imposte, come tale perfettamente compatibile con il dettato dell’art. 11 in esame. Nonché si rinvengono riferimenti anche nel successivo art. 2 secondo cui “chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili anche a titolo di acconto, deve esercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso. Il sostituito ha facoltà di intervenire nel procedimento di accertamento dell’imposta. Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi, ha diritto di rivalsa”. Il meccanismo coinvolge, come sostituto, il soggetto che eroga un reddito al sostituito e la ritenuta d’acconto si identifica semplicemente, senza perciò ostare alla applicabilità dell’art. 11 in parola, nella somma che – nei casi previsti dalla legge – chi eroga un compenso trattiene sull’importo totale dovuto al proprio creditore (spesso quale lavoratore autonomo o subordinato), per versarla direttamente all’erario. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
l’art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000, ossia la disposizione legislativa che disciplin la fattispecie dell’omesso versamento di ritenute dovute o certificate (contestata al capo A dell’imputazione provvisoria e costituente il debito tributario gravante sulla RAGIONE_SOCIALE) è stata introdotta solo successivamente: si tratterebbe di una tesi che prova troppo e non tiene conto della normale evoluzione dei testi normativi, le cui disposizioni mutano nel tempo, con modificazioni, sostituzioni, interpolazioni che implementano il testo, adeguandolo, se non adattandolo alle realtà che cambiano, ragion per cui, laddove venga inserita una nuova fattispecie, prima non prevista, essa deve applicarsi e, prim’ancora, interpretarsi, in linea con tutte le altre disposizioni normative, preesistenti ma anche successive, senza esclusioni o limitazioni di sorta, sol perché inserita in un secondo momento.
3. GLYPH Altra censura che risulta comune a più ricorsi, è quella che prospetta l’esclusione del concorso tra i reati ex art. 11 citato e 216 L.F. Si fa riferimento all’ultima parte del secondo motivo di COGNOME NOME, ed al primo motivo di COGNOME NOME. Sono entrambi manifestamente infondati. Sulla questione si registra un contrasto, essendosi sostenuto, per un verso, che è configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, atteso che le relative norme incriminatrici non regolano la “stessa materia” (art. 15 cod. pen.), attesa la diversità del bene giuridico tutelato (interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, da un lato, ed interesse della massa dei creditori al soddisfacimento dei propri diritti, dall’altro), della natura delle fattispecie astra (di pericolo quella fiscale, di danno quella fallimentare) e dell’elemento soggettivo (dolo specifico quanto alla prima, generico quanto alla seconda) (cfr., in tal senso, Sez. 5, n. 22143 del 14/3/2022, COGNOME, Rv. 283257; Sez. 5, n. 35591 del 20/06/2017, COGNOME, Rv. 270810; Sez. 3, n. 3539 del 20/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266133, Sez. 2, n. 25363 del 15/05/2015, COGNOME, Rv. 265045); si è affermato, per altro verso, che la fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte integra una condotta che può ben inserirsi in una complessiva strategia distrattiva, intesa consapevolmente a danneggiare colui che sui beni sottratti ha titolo per soddisfarsi; ne deriva che ove tale condotta sia finalizzata al fallimento, ovvero posta in essere in vista di esso, o da questo seguita, la distrazione operata in danno del fisco non assume connotazione autonoma ma è riconducibile al paradigma punitivo dell’art. 216 I. fall., le cui condotte di distrazione, occultamento, distruzione, dissipazione sono comprensive delle condotte di simulazione o integranti atti fraudolenti di cui all’art. 11 D.Lgs. n. 74 del 2000, di guisa che, in tal caso, viene in rilievo principio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen., in virtù del quale è integra Corte di Cassazione – copia non ufficiale
solo reato di bancarotta fraudolenta – trattandosi di più grave reato – ed e il concorso tra i due delitti in relazione allo stesso fatto (cfr., Sez. 5, 10/11/2011, COGNOME, Rv. 253479; Sez. 5, n. 42156 del 16/11/2011, COGNOME, Rv. 251698). Appare tuttavia condivisibile il primo e più recente orientamen (sul punto cfr. di recente Sez. 2, n. 1810 del 05/12/2024, dep. 2025, 287487 – 01), siccome persuasivo, a fronte del rilievo per cui le no incriminatrici in questione sono entrambe speciali, dando luogo ad un’ipotes c.d. “specialità bilaterale” e non regolano affatto la “stessa materia”, mentre quella fiscale è preposta a sanzionare condotte che pregiudichi l’interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, quella falli tutela invece l’interesse del ceto creditorio di massa al soddisfacimento dei singoli diritti; altresì rileva la già segnalata diversità strutturale fattispecie, particolarmente quanto alla natura giuridica, di pericolo quella f di danno quella fallimentare, ed all’elemento soggettivo, dolo specifico la pr dolo generico la seconda, dovendosi in ogni caso a tali elementi fare riferim per identificare la “stessa materia” (cfr. Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, 2011, Rv. 248865).
4. GLYPH Superata l’analisi dei motivi comuni, occorre tornare ai singo ricorsi. Quanto a COGNOME NOME ed alla prima parte del primo motivo relativo sintesi, al ruolo concretamente svolto, alla qualità di amministratore as poco prima della dichiarazione di fallimento alla assenza di ogni condott distrazione o aggravamento addebitabile alla ricorrente che sarebbe risul inconsapevole delle vicende societarie, alla inidoneità delle cond dell’imputata in ordine alla lesione del bene giuridico tutelato dalla norm carenza di motivazione in punto di dolo e alla assenza in capo alla ricorr della volontà di realizzare atti di cui ignorava l’esistenza come anche consapevolezza del quantum del debito tributario ignorando ella l’evasione superamento della soglia di punibilità ad essa correlato, esso è manifestam infondato. Si tratta di una censura meramente rivalutativa del merito, a fron un doppia sentenza conforme che dà conto del ruolo assunto dalla ricorrent anche alla luce di quanto riferito dalla curatela (“dimostra di aver svolto sebbene in modo limitato l’incarico assegnato” pag. 34), nella complessiva vicenda finalizzata a distrarre i beni a vario titolo nella disponibilità della famiglia (cfr. tra le altre pagg. 40 e 41 e 42 della prima sentenza), prima come (pag. 34 della prima sentenza) poi come amministratrice della RAGIONE_SOCIALE in luogo del Chiti, dal 3 agosto 2015, con successiva sottoscrizione d rilevante quanto critico contratto di affitto di azienda e altro atto nego rilievo, ed emersione di un disavanzo sulle imposte sui redditi, sanzi interessi per la RAGIONE_SOCIALE e di distrazioni di rimanenze e pre
ingiustificati (pag. 42); circostanze tutte ritenute dai giudici coerent ascrivibili alle condotte degli amministratori sia di fatto che di diritto, COGNOME, emerse dall’attività istruttoria ( cfr. pag. 39 della prima senten tale quadro, appare coerente il rilievo già formulato dai giudici di appello connotazione valutativa del gravame diretto a contestare l’attribuzione del r solo perché nominata amministratrice nell’agosto del 2015, nonostant un’attività fraudolenta e rilevante protrattasi secondo i giudici anche olt data, e sino a sentenza dichiarativa di fallimento del 2017, nel quadro d congrua valorizzazione anche dell’ intervenuto ostacolo alla ricostruzi dell’attivo e di una ribadita rilevanza del ruolo formale ricoperto, da aggiu alla circostanza della precedente qualità di dipendente della società (cfr. p della sentenza impugnata). In tal modo, coerente è anche la tesi espress sentenza di secondo grado della assertività della assenza di dolo, che per emerge dalla complessiva ricostruzione del ruolo svolto, come strumentale ne contesto delle finalità distrattive unitariamente perseguite dai soggetti coi nella intera vicenda, che appare riproporsi, con il ricorso, in t connotazione valutativa.
GLYPH Le considerazioni di cui sopra spiegano la manifesta infondatezza anche del secondo motivo.
Generico risulta infine il terzo motivo, privo di puntuali specificaz critiche sul tema proposto e a fronte d una motivazione che spiega adeguatezza della pena in ragione del ruolo svolto seppure in posizio secondaria rispetto ad altri imputati. Peraltro si tratta di pena vicina al edittale per cui rileva il principio per cui la determinazione della pena minimo ed il massimo edittale, rientra tra i poteri discrezionali del giud merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura med ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso – diverso da quello di spec il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen (cfr n. 21294 del 20/03/2013 Ud. (dep. 17/05/2013 ) Rv. 256197 – 01). Consegue la manifesta infondatezza del motivo
Riguardo a COGNOME NOME e al secondo motivo proposto, preliminarmente si rammenta che con esso la difesa rappresenta vizi motivazione rispetto ad una censura difensiva riguardante la confisca dirett beni del ricorrente, con cui si era chiesto alla Corte di appello, a front intervenuta confisca diretta” di denaro presente su conti correnti banc postali, di valutare la natura della delega vantata al riguardo dal ricorrent
gestione delle somme, con particolare riguardo alla tematica della disponibilità e libera utilizzabilità di somme da parte del delegato. La corte avrebbe omesso ogni motivazione a sostegno della confisca diretta, con riguardo alla disponibilità, da parte dell’imputato, delle so,mme confiscate e presenti su conti correnti della moglie per quasi 9000 euro complessivi. Il motivo è inammissibile. Invero, dal riepilogo dei motivi di impugnazione riportato per ciascun appellante non risulta che l’attuale ricorrente abbia proposto la censura che viene qui in esame, essendosi citata in sentenza solo la contestazione del reato ex art. 11 suindicato perché insussistente, la non assoggettabilità della società ad IVA ed Irpef e quindi la proposizione solo di motivi in punto di pena e sulla prescrizione del reato. Al riguardo deve allora ribadirsi che sussiste un onere di specifica contestazione del riepilogo delle censure proposte, così come dei motivi di appello, contenuto nella sentenza impugnata, allorquando si ritenga che non sia stata menzionata la medesima questione come già proposta in sede di gravame; in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve pertanto ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo (cfr. in tal senso, con riferimento alla omessa contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017 Ud. (dep. 28/06/2017) Rv. 270627 – 01 COGNOME). Ad ogni modo, la censura è in sé inammissibile per i seguenti motivi: sia nella misura in cui si deduce la appartenenza a terzi delle somme confiscate, non sussiste l’interesse del ricorrente a criticare la misura disposta, essendo piuttosto onere di chi ritiene di essere stato ingiustamente pregiudicato, quale terzo estraneo titolare delle somme, attivarsi per ottenere il recupero. Sia nella misura altresì in cui ci si limita a prospettare la necessità di approfondimenti nel quadro della prospettata appartenenza a terzi delle somme, senza tuttavia dedurre le specifiche ragioni idonee a ricondurre le somme in capo a terzi, così formulandosi una censura sul punto generica. Al riguardo, quale utile parametro di riferimento per la questione qui in esame, si rappresenta che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ex art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, la delega ad operare rilasciata all’indagato dal titolare di un conto corrente, pur se non seguita da atti del delegato di concreta disposizione delle somme su di esso depositate, può ritenersi elemento idoneo a ricondurre a quest’ultimo la disponibilità delle stesse, ove non trovi causa in un sottostante rapporto implicante il conferimento di poteri gestori da parte del delegante, posto che solo tale rapporto qualifica la delega, rendendola espressione di funzioni amministrative per conto terzi. (Sez. 3, n. 49237 del 22/11/2022, Rv. 283912 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto a COGNOME NOME, con il terzo motivo si rappresenta la emersione, da prove dichiarative, della estraneità del ricorrente rispetto alle vicende
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societarie, di cui non avrebbe avuto consapevolezza. Tantomeno delle attività illecite. Né, si sostiene, alcuna condotta distrattiva risulterebbe contestata al ricorrente, estraneo ai fatti di cui ai capi 11) e 12) che non lo avrebbero riguardato. E si esclude la commissione di condotte di bancarotta distrattiva a carico del ricorrente, non contestategli. Quanto all’elemento soggettivo si rappresenta che la data di notifica delle cartelle esattoriali sarebbe successiva alla condotta contestata all’imputato con il capo 13). Da parte della Corte nulla si direbbe circa le dichiarazioni del teste COGNOME e l’informativa della GDF del 29.4.2019, citate con atto di gravame dalla difesa. E si sarebbe travisata la prova di cui alle sit del Pecchioli e ad una tabella a pagina 39 della prima sentenza. Il motivo è inammissibile. Si premette che la condanna è intervenuta per il capo 14), in ordine al quale si contesta la commissione di condotte distrattive di risorse e beni della RAGIONE_SOCIALE Per tali condotte il rinvio ai 11) e 12) è operato in termini puramente descrittivi, per cui non può rilevare in sé la deduzione per cui per tali capi non vi sarebbe stata formale imputazione a carico del ricorrente. Più semplicemente, gli si imputa, in concorso, il reato ex art. 11 citato, consumato mediante condotte distrattive descritte nei capi 11) e 12) fino a un importo di circa 82.000 euro, in uno con la tenuta della contabilità in maniera tale da ostacolare la ricostruzione dell’attivo. E’ rispettò a tal contestazione che l’interessato deve confrontarsi ed al riguardo, alla luce della motivazione emergente dalle due conformi sentenze di condanna, si rappresenta che sarebbero state distratte rimanenze per circa 75.000 euro, non rinvenute al momento della apertura del fallimento, insieme a ingiustificati prelievi di somme operati prima e dopo la dichiarazione di fallimento della predetta società per complessivi euro 9.750, e sarebbero state rappresentate significative vicende sociali come un contratto di affitto stipulato e a carico di altra società, e in ta contesto il COGNOME avrebbe sempre fatto parte della compagine societaria – peraltro a gestione familiare, secondo quanto emergerebbe dagli interrogatori alla luce della specifica citazione al riguardo operata con la prima sentenza ( pag. 44) – e di cui egli stesso faceva parte, sin dal maggio 2013, prima come Presidente del Consiglio di amministrazione e poi dal 2014 quale Amministratore unico. Si specifica che quale figlio di una delle socie, COGNOME NOME, egli era addentro alle dinamiche e agli obiettivi che la famiglia COGNOME intendeva raggiungere attraverso le condotte ex art 11 contestate variamente (anche con reati prescritti) ai diversi imputati della più complessiva vicenda, e dirette, alla luc delle sentenze, alla conservazione del patrimonio aziendale nella disponibilità della famiglia. Così che il COGNOME non poteva ritenersi mera testa di legno. Rispetto a tale contesto di accusa, dunque, da una parte, come anticipato, non appare significativo il rilievo per cui non vi sarebbe stata per l’imputato la formal contestazione dei capi 11) e · 12), dall’altra, la valorizzazione difensiva di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
dichiarazioni di sit di un teste, al di là della risposta della corte alquanto circa la mera rilevanza valutativa, non contrasta il più complessivo qua motivazionale prima sintetizzato, che valorizza i ruoli di vertice rivest tempo, assieme al concreto interesse emergente anche dal far parte attivamen della famiglia che, con i suoi membri, gestiva oltre che in diritto, in f società.
GLYPH Circa il quarto motivo, proposto in ordine alla mancata applicazione delle attenuanti generiche e il quinto, proposto in ordine mancata applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pen deve ritenersi che essi sono fondati, in presenza di una motivazione del apparente che in alcun modo spiega le ragioni della mancata applicazione d benefici, laddove un effettivo ruolo gestorio, assunto, secondo i giudici, vicenda fraudolenta in questione, non è di per sé astrattamente in grad escludere le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pe necessitandosi, piuttosto, una specifica e puntuale motivazione.
Il sesto motivo, è proposto in ordine alla ritenuta esclusione di evidenza probatoria di non colpevolezza in ordine al capo 10). Laddove a tali rileverebbero, per la difesa, gli argomenti di cui al secondo motivo, prospett punto di non rilevanza, ai fini dell’art. 11 citato, dei debiti per ritenuta d da versare, appare evidente che la palese infondatezza di tali ultimi rilievi sopra illustrata, lo rende inammissibile.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertan che la sentenza impugnata debba essere annullata nei confronti di COGNOME limitatamente alle circostanze attenuanti generiche e alla sospensi condizionale della pena, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Co di appello di Firenze e dichiara inammissibile nel resto il ricorso del medes Dichiara inammissibili i ricorsi di GLYPH COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME con conseguente onere per ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere c ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Romeo, COGNOME NOME e COGNOME NOME siano stati presentati senza “versare in colpa determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti ve la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 in favore della C delle Ammende.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alle circostanze attenuanti generiche e alla sospensione condizionale della pe
con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firen dichiara inammissibile nel resto il ricorso del medesimo. Dichiara inammissibil
ricorsi di COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME Romeo, COGNOME
NOME e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali della somma di €3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso, il 15.04.2025