Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 834 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 834 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
RAGIONE_SOCIALE in LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE RAGIONE_SOCIALE in LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE
avverso l’ordinanza del 03/06/2024 del Tribunale di Mantova visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio in accoglimento del terzo motivo di ricorso ed il rigetto nel resto; letta la memoria di replica presentata dall’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di
RAGIONE_SOCIALE che ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza pronunciata il 3 giugno 2024 (depositata il 17 giugno 2024) il Tribunale di Mantova, per quanto di interesse, rigettava le istanze di riesame presentate, tra gli altri, da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione giudiziale e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione giudiziale, avverso il decreto del 24 aprile 2024 con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Mantova aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, ai sensi degli artt. 321 cod. proc. pen. e 12-bis d.lgs n. 74 del 2000, dei beni intestati o riconducibili alla società
RAGIONE_SOCIALE (precisamente un ramo d’azienda conferito dalla RAGIONE_SOCIALE il 30 dicembre 2019, concernente l’attività di commercializzazione dei prodotti di calze, collante ed accessori di abbigliamento e relativi beni, del valore di euro 4.800.000) ed alla società RAGIONE_SOCIALE (precisamente di due rami d’azienda conferiti rispettivamente il 29 ed il 30 dicembre 2020 dalla RAGIONE_SOCIALE, di cui uno concernente la linea tessitura e cuciture di calze, collant ed accessori di abbigliamento, nonché relativi beni, del valore di euro 2.250.000, e l’altro, concernente l’attività di tintori e confezionamento di calze, collante ed accessori di abbigliamento e relativi beni, del valore di euro 125.000), quale profitto del reato di sottrazione fraudolenta (art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 contestato al capo B dell’imputazione provvisoria) realizzato in riferimento ad un debito tributario per ritenute di acconto non versate dalla RAGIONE_SOCIALE al fine di sottrarsi al pagamento dell’I.R.P.E.F. dovuta da quest’ultima, di ammontare complessivo di euro 1.668.202,08; in via subordinata, in caso di mancato o insufficiente rinvenimento di tali beni, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente sino alla concorrenza o al residuo ammontare del profitto di tutti i beni intestati o nella disponibilità degli indagati tra cui, per quanto di interesse, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME tutti amministratori di diritto o di fatto della RAGIONE_SOCIALE, sino nella concorrenza di euro 7.175.000, e NOME COGNOME nella qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE sino alla concorrenza della somma di euro 4.800.000,00.
Avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di riesame reale hanno proposto due distinti ricorsi i difensori di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione giudiziale e di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione giudiziale, affidandosi, rispettivamente, a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, l’avv.to NOME COGNOME difensore di RAGIONE_SOCIALE, lamenta vizio di violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’art. 11 d. Igs n. 74 del 2000, con riferimento alla nozione di atti fraudolenti.
Si assume, in particolare, che l’operazione compiuta dalla RAGIONE_SOCIALE, che possedeva (e possiede) tuttora il 100% delle quote della RAGIONE_SOCIALE, non ha depauperato il patrimonio della stessa, che è rimasto inalterato, posto che l’azienda ceduta è andata a costituire il patrimonio della neonata società, a sua volta interamente posseduta da RAGIONE_SOCIALE Vi è stata solo una modifica della struttura organizzativa e già solo questo, oltre al fatto che la cessione di azienda non ha inciso sulla consistenza patrimoniale, porta ad escludere che ci si trovi di fronte ad un atto fraudolento.
Ciò, per altro, è confermato dalla stessa giurisprudenza della Corte, non rinvenendosi alcuna pronuncia che configura come “atto fraudolento” rilevante ai
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sensi dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 la mera cessione di un’azienda ad una società interamente partecipata dal cedente, posto che l’unica pronuncia richiamata nei provvedimenti sindacati è Sez. 3, n. 4451 del 06/06/2017, che tuttavia si riferisce ad una fattispecie differente, ossia al caso in cui alla costituzione di una azienda interamente partecipata faceva seguito una ulteriore cessione della stessa, questa volta a terzi estranei.
Questi rilievi e, nello specifico, la linearità e la trasparenza, oltre alla “neutralità” della operazione di cessione realizzata e all’impossibilità a chè la stessa possa impedire la riscossione dei tributi avevano già costituito oggetto dei motivi di riesame e sono stati obliterati dal Tribunale del riesame che, entrando in contraddizione, prima riconosce la correttezza della costruzione proposta dalla difesa e poi se ne discosta.
Si contesta, quindi, che questo tipo di operazione possa escludere ogni danno o pericolo per le ragioni creditorie, come affermato nel provvedimento impugnato; né rileva il dato che la RAGIONE_SOCIALE avesse reiteratamente omesso il versamento delle ritenute, o ancora, che tutte le società siano di fatto gestite dai sig. COGNOME: sono tutte circostanze ritenute dalla difesa inconferenti, posto che per integrare gli atti fraudolenti rilevanti ai sensi dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 occorre non tanto e non solo una diminuzione del patrimonio, ma una vera e propria trasformazione della realtà.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce la violazione del vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen. in relazione al delitto di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 ed in particolare alla individuazione del soggetto attivo del reato e della natura del debito che viene in considerazione.
E’ pacifico, infatti, che il delitto in esame possa essere commesso solo dal “contribuente” che si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche e tale nozione va intesa in senso stretto, riferito solo a colui che abbia realizzato il presupposto d’imposta, sicchè il delitto in questione non può essere commesso dal sostituto d’imposta, qual è il caso di specie in cui viene in rilievo un debito per ritenute fiscali asseritamente operate e non versate, il cui autore è il sostituto d’imposta, giammai il contribuente.
E’, questo, un motivo che era stato oggetto di specifico rilievo innanzi al Tribunale del riesame, e si contesta la conclusione cui il Tribunale è giunto che, richiamando il vecchio disposto normativo dell’art. 97 d.P.R. n. 602 del 1973, fa leva sulla mancata indicazione, nella nuova disposizione normativa, del “contribuente”, con conseguente estensione della fattispecie a figure diverse ed ulteriori rispetto a questi, mentre la giurisprudenza in materia riferisce la maggior parte dei reati tributari ai contribuenti e non ai sostituti di imposta e che il
legislatore, laddove abbia ritenuto di estendere le sanzioni penal-tributarie al sostituto d’imposta, lo ha sempre fatto espressamente.
2.3 Con il terzo motivo, si lamenta vizio di violazione di legge, rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione alla determinazione del profitto del reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000.
Si contesta quanto affermato dal Tribunale del riesame nella parte in cui ha ritenuto che il profitto “consiste nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase”.
Si afferma che, eludendo quanto già richiesto nel terzo motivo del riesame, il Tribunale non si è confrontato con l’orientamento in base al quale il profitto non è dato dalla sommatoria delle imposte, ma dal valore dei beni sottratti ad esecuzione forzata, che devono tuttavia tener conto dell’entità del debito tributario.
In ragione di ciò, ferma l’impossibilità che il profitto superi il valore dei beni sottratti, è necessario che esso sia contenuto entro il limite del valore del credito dell’amministrazione finanziaria.
Nel caso di specie possono essere prese in considerazione solo le ritenute relative agli anni antecedenti alla condotta oggetto dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, ossia solo i debiti tributari maturati prima della cessione del ramo di azienda che risale al 30 dicembre 2019, e dunque le ritenute relative al 2018 (pari ad euro 572.621,19) e al 2019 (pari ad euro 661.331,13) per un valore complessivo non già di euro 1.668.202,08, bensì di euro 1.233.952,32.
In ragione di quanto esposto, si chiede, in via subordinata, l’annullamento dell’ordinanza impugnata per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 11 e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, sotto il profilo della quantificazione del profitto, da limitare a beni del valore pari ad euro 1.233.952,32.
3 II ricorso proposto dall’Avv.to NOME COGNOME difensore di RAGIONE_SOCIALE è anch’esso affidato a tre motivi, che si pongono sulla stessa linea di quelli proposti dalla RAGIONE_SOCIALE
3.1 Con il primo motivo, lamenta inosservanza o erronea applicazione dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. sotto il profilo del concetto di atti fraudolenti.
Si evidenzia che nel riesame si era sottolineato che con l’operazione compiuta RAGIONE_SOCIALE possedeva (e possiede) tuttora il 100% delle quote della RAGIONE_SOCIALE circostanza, questa, che a dire della difesa non ha in alcun modo inciso sulla consistenza patrimoniale della prima società e quindi sulla garanzia ex art. 2740 cod. civ. per l’erario.
Non si ravvisa, dunque, alcun atto fraudolento e ciò, per altro, è confermato dalla stessa giurisprudenza della Corte (si richiama anche in questo ricorso Sez.
3, n. 4451 del 06/06/2017 e la non decisività della decisione rispetto al caso in esame, che si palesa differente).
La cessione dei due rami di azienda ad una propria società preesistente (a suo tempo costituita il 28 marzo 2017) nella quale la RAGIONE_SOCIALE ha sempre ed ininterrottamente mantenuto la partecipazione totalitaria, senza alcuna diminuzione del patrimonio della stessa aveva già costituito oggetto dei motivi di riesame e non è stata valutata dal Tribunale del riesame che, entrando in contraddizione, prima riconosce la correttezza della costruzione proposta dalla difesa e poi se ne discosta.
Si contesta, quindi, che questo tipo di operazione possa determinare un danno o pericolo per le ragioni creditorie, come affermato nel provvedimento impugnato; né rileva il dato che la RAGIONE_SOCIALE avesse reiteratamente omesso il versamento delle ritenute, o ancora, che tutte le società siano di fatto gestite dai sig. COGNOME. Come affermato nel ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, si afferma che tutte le circostanze indicate sono inconferenti, posto che per integrare gli atti fraudolenti rilevanti ai sensi dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 occorre non tanto e non solo una diminuzione del patrimonio, ma una vera e propria trasformazione della realtà.
3.2. Con il secondo motivo, si deduce l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen., sotto il profilo della individuazione del soggetto attivo del reato e della natura del debito che viene in considerazione.
Il motivo ricalca il secondo motivo della RAGIONE_SOCIALE cui pertanto si rinvia, anche nella parte in cui vengono richiamate la pronuncia Sez. 3, n. 37389 del 16/05/013, la cui motivazione sembra escludere dai soggetti attivi del reato il sostituto d’imposta, e la relazione illustrativa di accompagnamento al d.lgs n. 74 del 2000.
3.3 Con il terzo motivo, si lamenta inosservanza o erronea applicazione degli artt. 11 e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., sotto il profilo della determinazione del profitto del reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000.
Si contesta la decisione del Tribunale che ha rigettato la richiesta, formulata in via subordinata, di ridurre il sequestro: in tal modo il Tribunale non si è confrontato con l’orientamento (si cita anche qui Sez. 6, n. 12084 del 26/01/2023) in base al quale il profitto non è dato dalla sommatoria delle imposte, ma dal valore dei beni sottratti ad esecuzione forzata, che devono tuttavia tener conto dell’entità del debito tributario.
In ragione di ciò, ferma l’impossibilità che il profitto superi il valore dei beni sottratti, è necessario che esso sia contenuto entro il limite del valore del credito dell’amministrazione finanziaria.
Nel caso di specie il decreto di sequestro ha disposto la confisca nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per il valore di euro 2.375.000,00 a fronte di un credito che nello stesso decreto di sequestro viene quantificato nella minor somma complessiva di euro 1.668.202,08.
In ragione di quanto esposto, si chiede, in via subordinata, l’annullamento dell’ordinanza impugnata per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 11 e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, sotto il profilo della quantificazione del profitto, da limitare a beni del valore pari ad euro 1.668.202,08.
Con requisitoria scritta il Sost. Procuratore generale con riferimento al primo motivo di censura ha rilevato che il Tribunale del riesame ha motivato sulla sussistenza del fumus circa il carattere fraudolento relativo all’operazione di trasferimento (pagg. 18-19) così compiendo una operazione di ricostruzione fattuale, niente affatto illogica, che i ricorsi si limitano a contestare genericamente deducendo quindi un vizio di motivazione non ammissibile; in relazione al secondo motivo di censura ha rilevato che il venir meno del riferimento alla figura del “contribuente” deve ritenersi che abbia comportato un ampliamento della portata applicativa della fattispecie volta a colpire “chiunque” ponga in essere le condotte ivi contemplate; quanto al terzo motivo ne ha chiesto l’accoglimento richiamando Sez. 3, n. 28725 del 14/06/2024, in cui la Corte ha chiarito che il profitto, confiscabile, anche per equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è individuabile nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase. Di conseguenza, in accoglimento del terzo motivo, ha chiesto di annullare con rinvio l’ordinanza impugnata, rigettando nel resto il ricorso proposto. 5. Con memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale, il difensore della RAGIONE_SOCIALE ha insistito nell’accoglimento del ricorso proposto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti sono fondati quanto al terzo motivo, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
1.1. Va premesso che il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, contestato al capo B, in funzione del quale è stato disposto il sequestro preventivo ai fini di confisca delle due società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, è stato, nella specie, ipotizzato con riferimento ad un debito tributario relativo a ritenute di acconto gravanti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti (f questo di cui all’art. 81 cpv., 110 cod. pen., 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000, contestato
al capo A, per avere gli amministratori di diritto e di fatto della RAGIONE_SOCIALE omesso di versare, entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta Mod. 770, le ritenute alla fonte relative ad emolumenti erogati ai lavoratori dipendenti negli anni 2018, 2019, 2020, per un ammontare complessivo di 1.668.202,08).
Il delitto di cui al capo B, dunque, sarebbe stato realizzato, secondo l’imputazione provvisoria, confermata dal Tribunale in sede di riesame, al fine di sottrarsi al pagamento dell’IRPEF, dovuta dalla società RAGIONE_SOCIALE per un ammontare complessivo di euro 1.688.202,08, compiendo atti fraudolenti a danno della RAGIONE_SOCIALE, ossia alienando beni (materiali e immateriali, mobili registrati, crediti commerciali e marchi) costituenti rami di azienda, patrimonio della società, a favore delle neocostituite RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (cui è stato ceduto, in data 30 dicembre 2019, un ramo di azienda, contestualmente alla costituzione della società, per un valore di euro 4.800.000,00) e RAGIONE_SOCIALEgià costituita in data 28 marzo 2017, ed alla quale sono stati ceduti due rami di azienda, rispettivamente il 29 ed il 30 dicembre 2020, di valore pari ad euro 2.250.000,00 ed euro 125.000,00) per un valore complessivo di euro 7.175.000,00, così da rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione tributaria nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
In ragione di ciò, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, e la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, sono destinatarie del provvedimento di sequestro diretto del profitto, in quanto società che, nel costrutto accusatorio, confermato nell’ordinanza impugnata, hanno tratto un vantaggio economico dalle operazioni di cessione dei rami di azienda in loro favore, il cui valore complessivo (pari ad euro 7.175.000,00) costituisce il profitto del reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, contestato al capo B.
Avverso l’ordinanza che ha confermato il decreto di sequestro e rigettato il riesame hanno proposto due separati ricorsi i difensori delle due società, deducendo gli stessi motivi di doglianza che possono essere trattati congiuntamente.
2.1 II primo motivo di doglianza nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione – che corrisponde al primo motivo di doglianza della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione – è incentrato sulla nozione di atto fraudolento, contestandosi che l’operazione di cessione di rami di azienda rientri e possa rientrare in questo ambito.
Si assume infatti che la cessione di azienda non è un atto fraudolento, perché le due società alle quali la RAGIONE_SOCIALE ha ceduto i rami della propria azienda sono e restano interamente partecipate dalla stessa. Tutta l’operazione sarebbe quindi
lineare, lecita, neutrale, non avrebbe determinato alcuna riduzione del patrimonio del cedente, e non ha il contenuto di un artificio, inganno o menzogna.
2.2 Sul punto va premesso che in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, costituisce presupposto per la configurabilità del reato la suscettibilità di apprensione, da parte dell’Erario, dei beni costituenti oggetto degli atti simulati o fraudolenti idonei a rendere, in tutto o in parte, inefficace la procedura di riscossione coattiva (Sez. 3, n. 45163 del 10/10/2023, Ferlanda, Rv. 285345-01) e che hanno natura fraudolenta anche gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato che, diversamente da quelli simulati, determinino il trasferimento effettivo del bene, nel caso in cui risultino connotati da elementi di inganno o di artificio e, quindi, da stratagemmi finalizzati a sottrarre all’esecuzione le garanzie patrimoniali. (Sez. 3, n. 33988 del 16/06/2023, COGNOME, Rv. 285206-02).
Sotto questo profilo, e con specifico riferimento ad un caso di cessione, da parte dell’imputato, della propria azienda per un prezzo irrisorio in favore di una società non operativa, creata “ad hoc” al solo scopo di effettuare l’acquisto e apparentemente amministrata dalla suocera, si è affermato che, ai sensi dell’art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta allorquando siano connotati da elementi di artificio, inganno o menzogna tali da rappresentare ai terzi una riduzione del patrimonio non corrispondente al vero, così mettendo a repentaglio o, comunque, rendendo più difficoltosa la procedura di riscossione coattiva.
2.3 Tanto premesso, ritiene questa Corte che nessuna censura può essere mossa sul punto all’ordinanza impugnata che ha ritenuto l’operazione realizzata integrante il fumus del delitto di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, valorizzando una serie di elementi indicativi della fraudolenza e facendo corretta applicazione dei principi di diritto in tema, posto che, in generale ed in astratto, le operazioni di cessione di rami di azienda, in quanto operazioni di scissione straordinarie sono in sè lecite, divenendo fraudolente laddove siano connotati da elementi di artificio tali da mettere a repentaglio o rendere comunque più difficoltosa la procedura di riscossione.
Diversamente da quanto dedotto nel primo motivo di entrambi i ricorsi, il Tribunale di Mantova, in sede di riesame, ha evidenziato che tutta l’operazione di scissione compiuta dalla RAGIONE_SOCIALE assume, nel caso di specie, le connotazioni di atto fraudolento: nel premettere l’esistenza di un debito derivante dal mancato versamento da parte della RAGIONE_SOCIALE delle ritenute dovute e risultanti dalle certificazioni uniche rilasciate ai lavoratori e mai corrisposte, l’ordinanza impugnata, con motivazione logica e puntuale, valorizza la circostanza che la situazione debitoria era a conoscenza degli amministratori di diritto e di fatto della
società RAGIONE_SOCIALE e che gli stessi hanno realizzato tutta l’operazione successivamente alla data del 3 luglio 2019, quando, cioè, era stata notificata alla RAGIONE_SOCIALE la comunicazione di irregolarità con la quale l’Agenzia delle Entrate segnalava anomali relativi ai versamenti dell’IVA per il quarto trimetre dell’anno 2018, circostanza, questa, obliterata in entrambi i ricorsi, nonostante sia significativa non solo della consapevolezza ma che della finalità per la quale si è poi proceduto alla cessione.
Pertanto, osserva puntualmente il Tribunale nel provvedimento impugnato, la società era consapevole della propria situazione di irregolarità tributaria e del fatto che l’Agenzia delle Entrate stava effettuando accertamenti fiscali; ed infatti, di lì a poco (la prima cessione risale al dicembre 2019 ed è a favore della neocostituita RAGIONE_SOCIALE; le due successive vengono poste in essere un anno dopo) la RAGIONE_SOCIALE a fine di sottrarsi al pagamento dell’I.R.P.E.F. dovuta dalla stessa di ammontare complessivo – determinato – di euro 1.668.202.08, procede alla cessione dei rami di azienda, lasciando come debito esclusivo della società RAGIONE_SOCIALE il menzionato debito tributario, che si è andato incrementando negli anni, e che non è stato mai trasferito e neppure valutato nelle operazioni straordinarie compiute con le due società controllate, altro elemento, questo, significativo della fraudolenza e puntualmente valorizzato dal Tribunale, sul quale i due ricorsi non si pronunciano.
Conclude quindi il Tribunale affermando, con motivazione congrua, che se è pur vero che non possono considerarsi fraudolente le cessioni di rami di azienda, in sé, a renderle fraudolente sono i dati concreti emersi ed in particolare che la LVT sia spogliata quasi del tutto di tutti i beni che caratterizzavano il ramo produttivo (la cessione dei rami di azienda ha infatti riguardato la linea tessitura e cuciture di calze, collant ed accessori di abbigliamento, nonché l’attività di tintoria e confezionamento di calze, collante ed accessori di abbigliamento e relativi beni ed esse sono state realizzate subito dopo aver avuto la prima comunicazione di irregolarità da parte dell’Agenzia delle Entrate) così trasformandola in una società di gestione, in contrasto con l’oggetto sociale che la caratterizza; che il conferimento dei rami di azienda non ha riguardato il debito tributario, che è rimasto “esclusivo” della RAGIONE_SOCIALE che a sua volta la RAGIONE_SOCIALE ha poi concesso in affitto il ramo di azienda a società riconducibili agli amministratori di fatto, che fanno capo tutti alla stessa “famiglia COGNOME“.
A fronte di questi elementi, alcuni dei quali obliterati nei ricorsi proposti, i difensori delle due società controllate insistono nel sostenere la liceità dell’operazione realizzata, senza tuttavia raffrontarsi con il percorso motivazionale, logico e coerente, seguito dal Tribunale di Mantova che ha ritenuto sussistente il fumus del delitto di atti fraudolenti.
Nessuna censura può altresì essere mossa al provvedimento impugnato nella parte in cui ritiene il fumus del delitto di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 con riferimento all’individuazione del soggetto attivo del reato e della natura del debito, che nel secondo motivo di entrambi i ricorsi si assume che possa essere commesso solo dal “contribuente” che si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche.
3.1 II Tribunale, nel confutare i rilievi difensivi, ha richiamato il disposto normativo dell’abrogato art. 97, comma sesto, d.P.R. n. 601 del 1973 e la circostanza che con il nuovo art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, che lo ha sostituto, è venuto meno il riferimento alla figura soggettiva del “contribuente”.
E’ questo un rilievo che non si presta a censure: nell’attuale disposizione normativa il riferimento, in punto di autore della condotta, a “chiunque”, porta a ritenere che il delitto non sia limitato a una categoria ristretta di autori, con conseguente esclusione dal novero degli stessi dei sostituti di imposta, per includervi solo i contribuenti, previsti dalla disposizione abrogata, ma sia riferibile tanto agli uni quanto agli altri.
Né ha rilievo la circostanza – dedotta dalla difesa – che la norma di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 si riferisse, all’atto della sua entrata in vigore, ai contribuenti, in continuità con la precedente disposizione normativa, e non potesse estendersi anche ai sostituti di imposta, in ragione del fatto che l’art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000, ossia la disposizione legislativa che disciplina la fattispecie dell’omesso versamento di ritenute dovute o certificate (contestata al capo A dell’imputazione provvisoria e costituente il debito tributario gravante sulla RAGIONE_SOCIALE) è stata introdotta solo successivamente: è questa una tesi che prova troppo e non tiene conto della normale evoluzione dei testi normativi, le cui disposizioni mutano nel tempo, con modificazioni, sostituzioni, interpolazioni che implementano il testo, adeguandolo, se non adattandolo alle realtà che cambiano, ragion per cui, laddove venga inserita una nuova fattispecie, prima non prevista, essa andrà applicata e, prim’ancora, interpretata in linea con tutte le altre disposizioni normative, preesistenti ma anche successive, senza esclusioni o limitazioni di sorta, sol perché inserita in un secondo momento.
E’ fondato, ma nei termini di cui in motivazione, il terzo motivo di ricorso, comune ad entrambi i ricorrenti.
4.1. Il debito tributario dovuto dalla società RAGIONE_SOCIALE è, come visto, già determinato nel suo ammontare ed è pari, complessivamente, ad euro 1.688.202,08; a fronte di tale debito, il sequestro ha ad oggetto il ramo di azienda conferito alla società RAGIONE_SOCIALE del valore di euro 4.800.000,00, nonché i due rami di azienda conferiti alla RAGIONE_SOCIALE del valore rispettivamente di euro
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2.250.000,00 e di euro 125.000,00, per un valore complessivo di euro 7.175.000,00.
4.2 Ritiene sul punto questa Corte che in un caso, come quello di specie, nel quale l’importo del debito tributario è ben individuato nel suo ammontare, va data continuità al principio espresso da Sez. 3, n. 28725 del 14/06/2024, PMT c/ COGNOME, Rv. 286833 – 01 secondo cui il profitto del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, confiscabile anche per equivalente, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, il cui importo è quantificabile secondo le disposizioni sulla riscossione coattiva dei tributi, venendo in rilievo, quanto ai beni immobili, i parametri di cui all’art. 77, comma 1, d.lgs. 29 settembre 1973, n. 602, e, quanto ai beni mobili, quelli dell’art. 517, comma 1, cod. proc. civ., applicabile in virtù del richiamo operato dall’art. 49, comma 2, d.P.R. cit.
Tale principio è sicuramente applicabile al caso in esame in cui il debito tributario gravante sulla RAGIONE_SOCIALE non solo era noto alle parti interessate, ma era ben individuato nel suo ammontare, avendo la società cedente omesso di versare, entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta Mod. 770, le ritenute alla fonte relative ad emolumenti erogati ai lavoratori dipendenti negli anni 2018 (pari ad euro 572.612,19), 2019 (pari ad euro 661.331,13), 2020 (pari ad euro 311.064,81) e 2021 (pari ad euro 123.184,95) per un totale complessivo di 1.668.202.08.
A fronte di tale debito, l’operazione fraudolenta realizzata ha portato al sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, di beni per un valore di gran lunga superiore rispetto all’ammontare del debito tributario individuato, sia con riferimento alla RAGIONE_SOCIALE, che in relazione alla RAGIONE_SOCIALE: occorre allora interrogarsi, per valutare se tale (s)proporzione sia corretta, su quale possa e debba essere l’entità del sequestro e, quindi, sulle voci che compongono il profitto del reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 e su cosa esso vada rapportato, se al valore dei beni e/o al valore del debito tributario.
Come già sostenuto da Sez. 3, n. 28725 del 14/06/2024 cit. e ponendosi sulla scia di Sez. 6, n. 12084 del 26/01/2023, COGNOME, Rv. 284568-01, va sul punto ribadito che, in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche pe equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte ex art. 11 d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase.
E’ questo un principio affermato in più pronunce, che, in applicazione dello stesso, hanno affermato che non è possibile disporre o mantenere il sequestro
funzionale all’ablazione in caso di adempimento integrale del debito tributario (così Sez. 6, n. 12084 del 26/01/2023, cit.) o mantenere o disporre il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della Commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria (così Sez. 3, n. 8226 del 28/10/2020, dep. 2021, Soave, Rv. 281586-01, in termini conformi anche Sez. 3, n. 39187 del 02/07/2015, COGNOME, Rv. 264789-01).
Riportando – e applicando al caso in esame – quanto affermato da Sez. 3, n. 28725 del 14/06/2024 cit. e posto che secondo l’orientamento citato il profitto si identifica con il valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, diventa essenziale individuare i criteri o comunque i parametri cui fare riferimento per calcolare il valore dei beni, che, nella indicata decisione, che qui si condivide, sono stati tratti dalle disposizioni che regolano la riscossione coattiva, ed in particolare, quanto ai beni immobili, facendo riferimento «all’art. 77, primo comma, d.lgs n. 602 del 1973 (testo unico sulla riscossione delle imposte sul reddito), ai sensi del quale, decorso il termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, “il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell’importo complessivo del credito per cui si procede”; quanto ai beni mobili, viene in rilievo l’art. 517, primo comma, cod. proc. civ. (applicabile alla riscossione erariale in virtù del richiamo alle norme generali in materia di espropriazione forzata operato dall’art. 49, comma 2, d.P.R. n. 602 del 1973), ai sensi del quale “il pignoramento deve essere eseguito sulle cose che l’ufficiale giudiziario ritiene di più facile e pronta liquidazione, nel limite di un presumibile valore di realizzo pari all’importo del credito precettato aumentato della metà”». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Al fine, dunque, di evitare eccessive divaricazioni tra la misura dell’intervento cautelare reale e l’importo effettivamente assoggettabile alla definitiva ablazione, la misura del sequestro preventivo, anche per equivalente, funzionale alla confisca, va parametrata alla effettiva entità del profitto confiscabile, che deve essere individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, da calcolarsi secondo i parametri e i criteri indicati, tenendo comunque conto dell’ulteriore principio espresso da Sez. 3, n. 28047 del 20/01/2017, COGNOME, Rv. 270429-01, che, nel chiarire in motivazione che il sequestro e la confisca delle sanzioni irrogate con l’avviso di accertamento è configurabile con riferimento alla fattispecie di sottrazione fraudolenta di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, ha precisato che il profitto dell’attività distrattiva dei beni oggetto di possibil
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apprensione da parte dell’Erario deve essere calcolato con riferimento all’intero debito erariale, comprensivo delle sanzioni collegate e di tutti gli accessori esigibili.
L’ordinanza impugnata va pertanto annullata, limitatamente all’entità de sequestro, con rinvio al Tribunale di Mantova per nuovo esame, svolto uniformandosi alle indicazioni che precedono, in ordine alla determinazione dei beni da sottoporre a sequestro preventivo.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’entità del sequestro disposto con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Mantova.
Così deciso il 12/11/2024