Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33539 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6   Num. 33539  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato il DATA_NASCITA a Montalbano Elicona;
COGNOME NOME, nata il DATA_NASCITA a Montalbano Elicona;
avverso la sentenza del 21/03/2025 dalla Corte di appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto AVV_NOTAIO
NOME COGNOME che chiede che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Messina confermava la condanna di NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati di sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro (art. 334 cod. pen.) e violazione di sigilli (art. 349 cod. pen.), perché il primo, in qualità di custode, e la second quale proprietario del veicolo, dopo che quest’ultimo era stato sottoposto a vincolo reale (con contestuale nomina di NOME quale custode), violavano il sigillo, apposto al fine di assicurare la conservazione o l’identità della cosa, e sottraevano la stessa al sequestro.
 Avverso tale sentenza ha presentato ricorso NOME COGNOME, deducendo i seguenti motivi.
2.1. Errata applicazione dell’art. 334 cod. pen. in relazione all’art. 213, comma 4, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (CdS), e correlato vizio di motivazione.
Rilevata l’imprecisione del capo d’imputazione, che non consente di discernere quali siano le azioni delittuose concretamente ascritte agli imputati, sembra che ad essi sia stata contestata la sottrazione del bene e che, in particolare, NOME sia stato sorpreso alla guida del veicolo in data 20 febbraio 2017.
Alla luce di Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, COGNOME COGNOME, Rv. 248722 (per cui, in caso di concorso tra disposizione penale incriminatrice e disposizione amministrativa sanzionatoria in riferimento allo stesso fatto, deve trovare applicazione esclusivamente la disposizione che risulti speciale rispetto all’altra all’esito del confronto tra le rispettive fattispecie astratte), si era de la configurabilità del solo illecito amministrativo, speciale rispetto al reato.
I Giudici hanno replicato che la condotta non si risolveva esclusivamente in quella prevista dal Codice della strada, sicché non si poneva un problema di concorso apparente di norme, ma sono caduti in contraddizione là dove hanno affermato, dapprima, che le condotte tipiche ex art. 334 cod. pen. poste in essere da NOME sarebbero più di una – comprendendovi una non meglio specificata “compromissione del bene” – e, subito dopo, che la sottrazione sarebbe stata integrata dall’aver circolato con un veicolo reimmatricolato.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata retrodatazione della commissione dei reati.
In appello la difesa aveva chiesto la retrodatazione di entrambi i reati a un tempo antecedente e prossimo al 27 luglio 2016, quando il veicolo sequestrato risultava reimmatricolato con nuova targa italiana.
La Corte d’appello, nel respingere la doglianza facendo leva sulla reiterazione dell’illecito, ha motivato con riguardo soltanto all’art. 349 cod. pen., e non anche all’art. 334 cod. pen.
Eppure, tale disposizione prevede un reato di natura istantanea che si perfeziona con il solo fatto della rimozione o sottrazione della cosa dolosa, sicché, logicamente ed anche in ragione del favor rei, tale sottrazione deve essere stata realizzata prima della reimmatricolazione del veicolo.
Di conseguenza, il reato si è prescritto prima del giudizio di appello.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata dichiarazione di prescrizione del reato.
Anche a prescindere da quanto osservato sulla necessaria retrodatazione del fatto, all’udienza del 20 dicembre 2024, la difesa di NOME NOME NOME, trentasei ore prima, l’imputato era stato arrestato per altra causa e ristretto ne carcere di Messina, sicché non fu possibile avvertire la Corte d’appello la quale, d’altronde, non avrebbe potuto disporre l’ordine di traduzione.
La Corte d’appello avrebbe dovuto pertanto attribuire preminenza a questo legittimo impedimento, piuttosto che a quello della coimputata COGNOME (stato febbrile) e non avrebbe dovuto disporre la sospensione del termine di prescrizione.
In tal caso, la prescrizione del reato sarebbe maturata in data 24 dicembre 2024.
Comunque, pur aderendo alla sua impostazione, la Corte d’appello ha errato nel ritenere la sospensione della prescrizione per tutta la durata del rinvio (dall’udienza del 20 dicembre 2024 al 21 marzo 2025), violando l’art. 159, comma 1, n. 3, cod. pen., che impone di guardare al tempo dell’impedimento, aumentato di 60 giorni. La prescrizione sarebbe quindi maturata il 23 febbraio 2025.
Infine, si rappresenta che, esclusa la c.d. sospensione Covid, non fu disposto alcun’altra sospensione dei termini prescrizionali (negli unici due casi di rinvio per legittimo impedimento dell’imputato NOME per detenzione per altra causa, avvenuto alle udienze del 4 ottobre 2018 e del 18 maggio 2021, il Giudice nulla disse riguardo alla sospensione nei termini prescrizionali).
Di conseguenza, la sospensione ammonta complessivamente a 64 giorni.
Pure a ritenere corretta la sospensione per tutto il tempo del rinvio tra le due udienze d’appello, essa sarebbe, quindi, pari a 155 giorni.
Essendo la data di consumazione il 22 febbraio 2017, i reati si sarebbero quindi prescritti il 24 gennaio 2025.
Il ricorso di RAGIONE_SOCIALE si articola in due motivi.
3.1. Errata applicazione dell’art. 334 cod. pen., in relazione all’art. 213, comma 4, d.lgs. n. 285 del 1992 cit. e correlato vizio di motivazione.
Essendo il motivo sovrapponibile a quello articolato nel ricorso del coimputato, si rinvia alla relativa esposizione.
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata dichiarazione della prescrizione.
La difesa aveva chiesto la retrodatazione della commissione del reato, ma la risposta della Corte d’appello risulta, sul punto, inadeguata.
Inoltre, i Giudici di merito hanno errato a ritenere la sospensione per tutta la durata del rinvio, e cioè dal 20 dicembre 2024 al 21 marzo 2025, in violazione del citato art. 159, comma 1, n. 3, cod. pen., applicando il quale il reato si sarebbe prescritto il 22 febbraio 2025 (premesso che il reato risulta commesso il 22 febbraio 2017, senza sospensioni, si sarebbe prescritto il 22 agosto 2024; computando 184 giorni di sospensione, il 22 febbraio 2025).
I ricorrenti hanno presentato una memoria di replica alle osservazioni contenute nella requisitoria del AVV_NOTAIO Generale, in cui insistono sul fatto che l’art. 334 cod. pen. è reato a consumazione istantanea e che, nel caso di specie, la presunzione secondo cui il momento consumativo della sottrazione di cose sottoposte a sequestro coincide con la data del suo accertamento da parte dell’autorità vale solo in mancanza di prova contraria. Pertanto, essa è incontrovertibilmente superata nel caso in oggetto, essendo stato il veicolo reimmatricolato con targa italiana in data 27.07.2016, cioè circa un mese dopo il sequestro (il 12.06.2016), con la conseguenza che il reato ascritto agli imputati doveva essere necessariamente già consumato in quella data.
Aggiungono inoltre che le medesime considerazioni valgono anche ai fini della retrodatazione del reato di violazione di sigilli ex art. 349 cod. pen., ribadendo, infine, le ragioni esposte nel ricorso a sostegno della ritenuta prescrizione dei reati prima della sentenza di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ai fini di una più agevole e sintetica esposizione delle ragioni per cui i ricors devono ritenersi inammissibili, è opportuno svolgere alcune premesse.
1.1. Dalle sentenze di merito – le cui motivazioni, formando esse una c.d. “doppia conforme”, si integrano vicendevolmente (ex multis, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218) – si evince la seguente ricostruzione dei fatti e la relativa cronologia.
Il 12 giugno 2016 erano redatti i verbali di contravvenzione e di sequestro amministrativo dell’auto (che circolava con targa di importazione tedesca con
validità scaduta e non era coperta da assicurazione). NOME veniva nominato custode dell’auto sequestrata.
Il 27 luglio 2016, l’auto era re-immatricolata in Italia.
Il 22 Febbraio 2017, a seguito di controllo sull’auto, NOME ne risultava alla guida nonostante il sequestro del 12 giugno 2016.
Il 18 maggio 2017 erano redatti nuovi verbali di contravvenzione e di sequestro amministrativo dell’auto (in quanto il veicolo era sottoposto a sequestro e quindi non poteva circolare).
1.2. Vero è, allora, che l’art. 213, comma 4, d.lgs. n. 285 del 1992 cit., nel testo vigente al tempo dei fatti, puniva come illecito amministrativo la circolazione abusiva con il veicolo sottoposto a sequestro e che, come dedotto dal ricorrente, Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, COGNOME, cit., nel definire l’ambito di operatività del principio di specialità di cui all’art. 9, comma 1, I. 24 novembr 1981, n. 689 (a mente del quale, quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale), hanno escluso i casi di c.d. specialità reciproca e precisato che l’unico ambito in cui può verificarsi sovrapposizione tra le condotte descritte nell’art. 334 cod. pen. e quelle della citata disposizione del Codice della strada è la sottrazione del veicolo.
Tuttavia, la medesima pronuncia di legittimità ha chiaritoto che «il problema del concorso apparente neppure si pone  per quanto riguarda le altre condotte previste dalla norma codicistica: soppressione, distruzione e dispersione nulla hanno a che vedere con la circolazione del veicolo».
1.3. Ebbene, che nel caso di specie si sia verificata una di queste ultime ipotesi si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, là dove si parla della «compromissione del bene sottoposto a sequestro e di violazione dei sigilli mediante la condotta di nuova immatricolazione del mezzo, condotta che non è in senso stretto ascrivibile alla sottrazione ma costituisce un’attività ulterio propedeutica alla stessa riconducibile alla dispersione del bene sequestrato».
Con parole più chiare, l’art. 334 cod. pen. è stato contestato e ritenuto in rapporto non alla mera «circolazione» dell’auto sequestrata (rispetto alla quale avrebbe dovuto trovare applicazione la disposizione allora vigente del Codice della strada, in quanto speciale) e nemmeno alla sola sua re-immatricolazione, che ancora non comporta la sottrazione del bene alla cautela amministrativa, quantomeno in un’ottica sostanziale.
Invece, i Giudici di merito hanno ritenuto l’art. 334 cod. pen. integrato per i fatto (e nel momento) in cui il veicolo sequestrato “e” reimmatricolato ha cominciato a circolare nuovamente.
Soltanto allora, secondo il ragionamento dei Giudici di merito, si è inverata l’ablazione del bene dalla cautela amministrativa, in rapporto alla quale è stata legislativamente disposta la tutela penale; soltanto allora si è configurata una delle condotte alternativamente previste dalla disposizione codicistica.
Più nel dettaglio, e in risposta alle deduzioni difensive sul vizio motivazionale, è opportuno chiarire che non rileva quale delle condotte descritte in fattispecie sia stata realizzata (se la «sottrazione», o il «deterioramento» o la «dispersione»), essendo tutte volte a sanzionare (al di là del concreto atteggiarsi del comportamento) la violazione del vincolo del sequestro.
In tal senso, merita di essere ribadito il risalente insegnamento di questa Corte, secondo cui i vari tipi di condotta ipotizzati dall’art. 334 cod. pen. no costituiscono distinti titoli di reato o modalità dello stesso titolo qualificanti effetti della gravità del fatto, bensì semplici modalità di esecuzione fra di lor equivalenti (Sez. 6, Ord. n. 384 del 12/02/1969, Iafrate, Rv. 111387): il tipo essendo integrato quando il bene risulti irrimediabilmente sottratto al vincolo della cautela reale, quale che sia la modalità attraverso cui tale sottrazione si realizza.
1.4. Trattando del momento in cui è avvenuta la consumazione dei due reati (peraltro congiuntamente contestati), in modo non manifestamente illogico, nelle due sentenze di merito si è quindi ritenuto che esso fosse collocabile «in data anteriore e prossima al 22 febbraio 2017», così come indicato nel capo di imputazione (la vaghezza della locuzione discende dall’impossibilità di stabilire in quale giorno esatto il veicolo reimnnatricolato fosse stato di nuovo immesso nella circolazione).
1.5. Sul punto è il caso di precisare, con riferimento al reato di violazione dei sigilli (art. 349 cod. pen.), che è nel giusto la Corte d’appello quando afferma che il reato si reitera ogni qualvolta si realizzi una condotta contraria al precetto, co la conseguente violazione del vincolo sempre persistente sulla res, e che la circolazione è cessata con l’accertamento in data 22 febbraio 2017.
Tale conclusione si conforma alla giurisprudenza di legittimità, in base alla quale il reato di violazione di sigilli ha natura istantanea e si perfeziona sia con materiale violazione dei sigilli, sia con ogni condotta idonea a frustrare il vincol di immodificabilità imposto sul bene per disposizione di legge o per ordine dell’autorità; di conseguenza, compiuta la prima infrazione, il reato si reitera ogni qual volta si realizza una condotta contraria al precetto, in ulteriore violazione de persistente vincolo sulla “res” (Sez. 3, n. 37398 del 07/07/2004, Priolo, Rv. 230043).
Mentre, per quanto riguarda il reato di sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro (art. 334 cod. pen.), è vero che – come evidenziano i ricorrenti – il reato è istantaneo e che per esso non può quindi replicarsi i
ragionamento appena svolto a proposito dell’altra fattispecie. Con la conseguenza che l’art. 334 cod. pen., alla luce della surrichiamata equivalenza delle modalità legislative di realizzazione del reato, si consuma nel momento in cui è posta in essere la prima condotta violativa della cautela reale (in tal senso, già Sez. 6, Ord. n. 384 del 12/02/1969, Iafrate, cit.).
Tuttavia, una volta escluso che la condotta penalmente rilevante coincida con la reimmatricolazione del veicolo (in sé), e ritenuto, con la Corte d’appello, che i tipo legislativo è stato integrato successivamente, diviene nuovamente pertinente il consolidato insegnamento di legittimità per cui il momento consumativo del reato previsto dall’art. 334 cod. pen. può essere ritenuto, anche sulla base di elementi indiziari, coincidente con quello dell’accertamento (Sez. 6, n. 5871 del 06/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275030; cfr. Sez. 6, n. 52566 del 30/11/2016, Calò, Rv. 268939).
Ciò in quanto, nel caso di specie, non poteva essere «rigorosamente provata l’esistenza di situazioni idonee a confutare la valutazione presuntiva e a rendere almeno dubbia l’epoca di commissione del fatto» (clausola apposta nelle massime di diritto dei citati arresti giurisprudenziali), stante la non dipanabile incertezza momento in cui il veicolo sequestrato e poi reimmatricolato fu nuovamente immesso in circolazione dai ricorrenti.
La conclusione è che anche per il reato di cui all’art. 334 cod. pen. vale la data di consumazione indicata nel capo di imputazione.
Tutto ciò premesso, il primo motivo dei ricorsi di NOME e di COGNOME e il secondo motivo del ricorso di NOME sono inammissibili, la circolazione dell’auto sequestrata (non tout court, bensì) con targa reimmatricolata integrando la tipicità del reato di cui all’art. 334 cod. pen., ed entrambi i reati (sia l’art. 334 cod. p sia l’art. 349 cod. pen.) risultando commessi «in data anteriore e prossima al 22 febbraio 2017», senza che tale termine sia “retrodatabile” anche per uno soltanto di essi.
Una volta esclusa la “retrodatazione” del tempus commissi delictorum, va poi disatteso il terzo motivo del ricorso di NOME e il secondo motivo del ricorso di COGNOME, sull’asserita prescrizione dei reati prima della sentenza di appello.
3.1. In proposito, è vero che, in caso di rinvio del processo a causa del sopravvenuto stato di detenzione per altra causa dell’imputato, sebbene si configuri un’ipotesi di legittimo impedimento a comparire del predetto, ai fini del calcolo del periodo di sospensione dei termini di prescrizione del reato, deve farsi riferimento all’art. 159, comma 1, n. 3, cod. pen., (salvo che per i casi eccezionali di detenzione all’estero), dovendosi calcolare, pertanto, il giorno dell’impedimento,
che ha determinato il rinvio dell’udienza, aumentato di sessanta giorni (Sez. 2, n. 4184 del 22/12/2021, dep. 2022, Cammarata, Rv. 282688).
Tuttavia, come precisato nella requisitoria del AVV_NOTAIO Generale, la sospensione dei termini prescrizionali vale altresì quando non sia stata dichiarata a verbale, rientrando la causa del rinvio tra le ipotesi di impedimento dell’imputato.
3.2. Ne consegue che già solo computando la sospensione dei termini di prescrizione nel giudizio di primo grado (306 giorni, quale somma di 64 giorni “sospensione Covid”; 61 giorni + 61 giorni per due impedimenti dell’imputato in stato di detenzione; 120 giorni, a seguito di richiesta di rinvio dell’Avvocato per concomitante impegno professionale), il termine “naturale” di estinzione di entrambi i reati a seguito di prescrizione (che, in mancanza di tali sospensioni, sarebbe caduto il 22 agosto 2024) risulta superato di oltre dieci mesi. E che, dunque, alla data della sentenza di appello (21 marzo 2025), i reati non erano ancora prescritti.
Né – incidentalmente – essi si sono estinti in pendenza del giudizio davanti a questa Corte, dal momento che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266).
3.3. Anche i motivi in oggetto vanno, dunque, dichiarati inammissibili.
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 settembre 2025
Il Consigliere estensore
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Il Prg’i ente