Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1808 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1808 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DEL TUFO NOME NOME NOME RACALE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/11/2022 della CORTE APPELLO di TRIESTE
udito il Sostituto Procuratore generale, dottAVV_NOTAIO, che ha concluso visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
udito l’AVV_NOTAIO che si riporta ai motivi del ricorso e ne chiede l’accoglimento.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 8 novembre 2022 la Corte d’appello di Trieste ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condanNOME alla pena di giustizia NOME COGNOME, all’epoca dei fatti comandante della stazione RAGIONE_SOCIALE di Guardiella: A) per il delitto di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 234 r.d. 20 febbraio 1941, n. 303 (truffa militare), realizzato con artifici e raggiri consistiti nell’indicare falsamente nei memoriali di servizio giornalieri la propria presenza in ufficio; B) per il delitto di cui agli artt. secondo comma, e 479, in relazione all’art. 476, secondo comma, cod. pen., con riguardo alle suddette false attestazioni aventi ad oggetto la propria presenza in servizio; C) per il delitto di cui agli artt. 81, secondo comma, e 490, in relazione all’art. 476 cod. pen., in relazione all’occultamento del fascicolo relativo al procedimento n. 5416/2006 r.g.n.r. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trieste, degli atti in esso contenuti nonché di atti e reperti vari in sequestro; D) per il delitto di cui agli artt. 110 e 334, terzo comma, cod. pen., per avere distrutto, deteriorato o comunque concorso nella distruzione o deterioramento di un telefono in sequestro, resettandone il contenuto con un’azione posta in essere da remoto attraverso un’applicazione informatica.
Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. at cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali con riferimento all’affermazione di responsabilità per i capi A) e B), rilevando che l’analisi del memoriale di servizio in relazione ai giorni 10 giugno 2016 e 10 aprile 2017 rilevava un travisamento del dato probatorio caratterizzato dalla confusione tra il disbrigo di pratiche d’ufficio e il disbrigo di pratiche in ufficio. Inoltre, i pochi ca nei quali le violazioni contestate avevano riguardato quanto lo stesso COGNOME aveva definitivo “pratiche in ufficio” potevano essere ascritte ad un mero errore di compilazione. Si aggiunge che per il 7 giugno 2016 e per 20 e 21 aprile 2017 non era emersa dalle indagini alcuna incongruenza nei confronti dell’imputato.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo C), in relazione al mancato riconoscimento della fattispecie tentata. In ogni caso, si osserva che la condanna riposa su basi meramente congetturali.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale, in relazione al reato di cui al capo D), sottolineando come non si erano realizzati alcuna distruzione o alcun deterioramento del telefono; d’altra parte i dati
presenti nell’apparecchio costituiscono beni immateriali non equiparabili ai beni mobili.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta erronea applicazione dell’art. 33 r.d. n. 303 del 1941, per non avere la Corte territoriale inteso che l’oggetto della doglianza formulata con l’atto di appello quanto alla pena accessoria della rimozione riguardava la richiesta di annullamento della stessa in dipendenza della disposta sospensione condizionale della pena principale inflitta per il delitto di cui all’art. 476 cod. pen.
All’udienza del 23 novembre 2023 si è svolta la discussione orale, dopo che la Corte, con ordinanza dettata a verbale, ha disatteso una richiesta di rinvio trasmessa dal difensore per ragioni di salute.
Considerato in diritto
Va preliminarmente ribadito che la richiesta di rinvio per ragioni di salute è stata respinta, in quanto il certificato trasmesso si limita ad indicare la necessità di riposo e terapie domiciliari per sette giorni, senza indicare né la sussistenza di un impedimento assoluto né l’obiettivo fondamento della certificazione.
Questa Corte ha, al riguardo, affermato che l’impedimento del difensore a comparire in udienza dovuto a serie, imprevedibili e attuali ragioni di salute, debitamente documentate e tempestivamente comunicate’ non comporta l’obbligo di nominare un sostituto processuale o di indicare le ragioni della mancata nomina (Sez. U, n. 41432 del 21/07/2016, NOME COGNOME, Rv. 267747 – 01). Quest’ultima sentenza ha, però, chiarito che, a sostegno dell’istanza di rinvio per legittimo impedimento, dovuto a malattia, o altro evento imprevedibile, il difensore deve provare con idonea documentazione la sussistenza dell’impedimento, indicandone la patologia ed i profili ostativi alla personale comparizione. L’impedimento deve essere giustificato da circostanze improvvise e assolutamente imprevedibili, tali da impedire anche la tempestiva nomina di un sostituto che possa essere sufficientemente edotto circa la vicenda in questione.
Il primo motivo è inammissibile, in quanto introduce questioni, implicanti accertamenti fattuali, che non sono state dedotte – nei termini in cui sono articolate in ricorso – con l’atto di appello (per un’applicazione del principio, v., ad es., Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316 – 0), con il quale,
del tutto genericamente si affermava come, in quadro «certamente connotato da superficialità», potevano essere state indicate tipologie di servizio diverse da quelle svolte.
3. Il secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
Come reiteratamente chiarito da questa Corte (v., ad es., Sez. 5, n. 25269 del 11/04/2012, COGNOME Zoccoli, Rv. 253309 – 0, in motivazione), il delitto di cui all’art. 490 cod. pen. è integrato dalla condotta, qualificabile come occultamento, di chi tenga nascosto il documento in modo da renderne impossibile l’utilizzazione, pur senza attentare alla genuinità e veridicità dello stesso: in altri termini è penalmente rilevante ogni condotta illecita, diretta ad impedire che il documento adempia alla funzione per cui è predisposto, evenienza che si verifica quando questo venga temporaneamente celato o altrimenti reso irreperibile nella sua materialità.
Ora, irrilevante essendo l’interesse perseguito dall’imputato, risulta decisiva la ricostruzione operata, in termini razionali dai giudici di merito, che hanno osservato come l’aver collocato i documenti all’interno di un box per autorimessa, pur costituente parte dell’alloggio di servizio del Del COGNOME, sotto una pila di altre masserizie (una parte dei documenti, peraltro, era in un sacco di plastica di colore nero), riveli una evidente volontà di occultamento, resa palese dalla inidoneità della collocazione stessa a consentire il reperimento istituzionale della documentazione.
E la conclusione risulta assolutamente logica anche quanto alla componente psicologica del delitto, alla luce del principio per il quale il dolo può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato (Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, COGNOME, Rv. 279908 – 01, in materia di truffa, ma con considerazioni di rilievo generale).
4. Il terzo motivo è inammissibile per manifesta infondate2:za, dal momento che, secondo quanto di recente puntualizzato da questa Corte, integra il delitto di cui all’art. 334 cod. pen. la condotta del proprietario di uno smartphone sottoposto a sequestro probatorio che, accedendo da remoto al dispositivo, cancelli tutti i dati informatici in esso presenti, trattandosi di reato a forma libera suscettibile di essere commesso anche con modalità telematiche (Sez. 5, 4343 del 21/10/2022, dep. 2023, Z., Rv. 283963 – 01).
In quella sede si è ribadito: a) che la fattispecie incriminatrice tutela l’interesse della pubblica amministrazione al rispetto del vincolo cautelare imposto (Sez. 6, n. 6238 del 21/01/1976, Casagrande, Rv. 133602 – 01), che nel caso di sequestro penale di tipo probatorio è quello della conservazione del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, necessari al prosieguo delle indagini e all’accertamento del reato; b) che, come si desume sistematicamente dall’art. 635-bis cod. pen, è ben possibile che i dati informatici siano comunque suscettibili di condotte di danneggiamento, quali la distruzione o anche la cancellazione; c) che anche il singolo dato informatico ha, infatti, una sua identità fisica, essendo modificabile, misurabile e anche cancellabile, facendo parte del sequestro a tutti gli effetti, quale contenuto del contenitore sequestrato; d) che, ai sensi del citato art. 334 cod. pen., la condotta è a forma libera e può essere attiva o emissiva mentre la fattispecie incriminatrice non contiene alcuna descrizione tassativa della stessa, venendo descritto solo l’evento dannoso, appunto la sottrazione o il danneggiamento.
Il quarto motivo è inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificità, dal momento che la Corte territoriale ha esattamente ricostruito la portata della sentenza di primo grado, nel senso che la sospensione condizionale disposta dal primo giudice riguarda anche la pena accessoria, ai sensi dell’art. 166, primo comma, cod. pen. Il passaggio motivazionale che al ricorrente è parso poco chiaro è, invece, di significato univoco: l’efficacia giuridica della sospensione condizionale discende dalla legge (appunto, l’art. 166, primo comma, cod. pen.) e non è condizionata dal fatto che la relativa decisione sia topograficamente collocata nel dispositivo prima dell’inflizione della pena accessoria.
Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000 ;00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 23/11/2023