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Sottrazione beni sequestrati: appello inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto condannato per la sottrazione di beni sequestrati di cui era custode. I giudici hanno ritenuto manifestamente infondati i motivi relativi alla riqualificazione del reato e meramente ripetitivi quelli sull’entità della pena e sulle attenuanti, confermando la condanna e addebitando al ricorrente le spese processuali e una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sottrazione Beni Sequestrati: La Cassazione Dichiara l’Appello Inammissibile

L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame offre un chiaro esempio di come la giustizia affronti i casi di sottrazione beni sequestrati, delineando i confini dell’ammissibilità dei ricorsi presentati al supremo organo giurisdizionale. Il caso riguarda un custode giudiziario che, invece di preservare la merce affidatagli, ha deciso di venderla, violando i propri doveri e commettendo un reato. La Corte ha rigettato il suo ricorso, definendolo inammissibile e confermando la decisione dei giudici di merito.

I Fatti: La Vendita Illecita di Merce Sotto Sequestro

I fatti alla base della vicenda sono semplici ma gravi. Un individuo era stato nominato custode di alcuni beni (nello specifico, delle borse tipo ‘shopper’) che erano stati sottoposti a sequestro penale. Il suo compito era unicamente quello di conservarli e mantenerli a disposizione dell’autorità giudiziaria. Tuttavia, l’imputato ha agito in modo contrario ai suoi obblighi: ha disposto la vendita dei beni, con la piena consapevolezza e volontà di favorire il proprietario originale della merce.

Condannato nei primi due gradi di giudizio, l’uomo ha deciso di presentare ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni sia sulla qualificazione giuridica del reato sia sull’entità della pena inflitta.

L’Analisi della Corte sulla sottrazione beni sequestrati

La Suprema Corte ha esaminato i tre motivi di ricorso presentati dalla difesa, giungendo a una conclusione netta: l’inammissibilità totale.

Primo Motivo: La Manifesta Infondatezza della Riqualificazione del Reato

L’imputato chiedeva di riclassificare il reato contestato in una fattispecie meno grave (violazione dell’art. 334, commi inferiori, o dell’art. 335 c.p.). La Corte ha liquidato questa argomentazione come ‘manifestamente infondata’. I giudici hanno sottolineato due punti cruciali emersi chiaramente durante il processo:

1. Ruolo di Custode, non Proprietario: L’imputato era solo il custode dei beni, non il loro proprietario. Questa distinzione è fondamentale per la corretta qualificazione del reato.
2. Piena Consapevolezza: Dagli atti processuali emergeva senza dubbio che egli aveva agito con la piena consapevolezza e la volontà di favorire il proprietario dei beni, disponendone la vendita. Questo dolo specifico ha consolidato l’accusa originaria.

Secondo e Terzo Motivo: La Ripetitività delle Censure

Gli altri due motivi di ricorso riguardavano l’eccessività della pena, la mancata concessione delle attenuanti generiche e il mancato esame della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.). Anche in questo caso, la Cassazione è stata intransigente. Ha rilevato che tali censure erano una mera riproduzione di argomentazioni già adeguatamente esaminate e respinte, con motivazioni giuridicamente corrette, dai giudici dei precedenti gradi di giudizio. In sostanza, la difesa non ha introdotto nuovi elementi di diritto o vizi logici nella sentenza impugnata, ma si è limitata a riproporre le stesse lamentele.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione di inammissibilità basandosi su principi consolidati della procedura penale. Un ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti. Esso serve a controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione delle sentenze precedenti. Quando i motivi di ricorso sono palesemente privi di fondamento giuridico o si limitano a ripetere questioni già risolte senza evidenziare vizi specifici della sentenza impugnata, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

La conseguenza di tale dichiarazione è duplice: non solo il ricorso non viene esaminato nel merito, ma il ricorrente viene anche condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma a titolo di sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, in questo caso quantificata in tremila euro.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un importante monito per chi intende adire la Corte di Cassazione: è necessario presentare motivi di ricorso specifici, pertinenti e che evidenzino reali violazioni di legge o vizi di motivazione. La semplice riproposizione di argomenti già vagliati e disattesi non ha alcuna possibilità di successo e comporta, anzi, ulteriori conseguenze economiche per il ricorrente. La decisione conferma inoltre la gravità della condotta di chi, nominato custode di beni sequestrati, abusa del proprio ruolo per favorire terzi, minando la fiducia nell’amministrazione della giustizia.

Può il custode di beni sequestrati venderli o disporne a piacimento?
No. Come chiarito dalla Corte, il custode ha il solo obbligo di conservare i beni. La loro vendita o qualsiasi atto di disposizione, specialmente se compiuto per favorire il proprietario, costituisce un reato.

È utile riproporre in Cassazione le stesse argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che un ricorso è inammissibile se si limita a riprodurre censure già adeguatamente vagliate e respinte nei gradi di merito, senza sollevare nuovi vizi di legittimità.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo il rigetto del ricorso, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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