Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 469 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 469 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Broni il 14/07/1973
avverso la sentenza del 01/03/2023 della Corte di Appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le conclusioni scritte dell’Avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME
che insiste nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato, La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Pavia del 15 febbraio 2022 con la quale NOME COGNOME è stato condannato per il reato di cui all’art. 388, comma 5, cod. pen., commesso in data 18 settembre 2019.
All’imputato è stato contestato, nella qualità di titolare di un’azienda agricola, di avere sottratto alla procedura esecutiva 2.500 bottiglie di vino bianco etichetta “Cà di Gess” per un valore di circa 14 mila euro, beni pignorati in data 30 maggio 2019 di cui era stato nominato custode, non essendo stati trovati in
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occasione dell’accesso dell’IVG del 18 settembre 2019, in seguito ad una nuova ricognizione in cui metteva a disposizione altre bottiglie di vino diverse da quelle pignorate.
Tramite il proprio difensore di fiducia, NOME COGNOME ha proposto ricorso, deducendo i due motivi di seguito indicati.
Con il primo motivo deduce vizio della motivazione in ordine all’accertamento della responsabilità non essendo stato considerato che l’imputato dopo essere stato nominato custode al momento del pignoramento veniva sostituito in data 8 agosto 2019 a seguito della nomina di altro custode, individuato nell’RAGIONE_SOCIALE di Vigevano, al quale doveva essere attribuita la responsabilità per il mancato rinvenimento dei beni.
Si rappresenta che solo in data 18 settembre 2019 il nuovo custode senza preavviso faceva accesso presso la ditta debitrice per operare una ricognizione dei beni, non trovando NOME COGNOME ma il fratello, e così facendo avrebbe omesso di svolgere il proprio ruolo di custode rimanendo inerte. Inoltre, si assume che le bottiglie di vino poiché merce reperibile potevano essere sostituite con altri beni di uguale valore.
2.2. Con il secondo motivo si chiede che la Corte di Cassazione rimetta in termini l’imputato per formulare richiesta di sostituzione della pena in applicazione della riforma c.d. “Cartabia” per il principio del favor rei essendovi i presupposti per disporre una delle pene sostitutive previste dal nuovo art. 20 -bis cod. pen.
Si deve dare atto che il ricorso è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23, commi 8 e 9, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, come prorogato dall’art. 94 del d.lgs. n. 150 del 2022, modificato dall’art. 17 del d.l 22 giugno 2023, n. 75.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Quanto al primo motivo, il ricorrente si limita a sollecitare una diversa valutazione dei fatti, peraltro poco comprensibile, dimenticando che, a prescindere dalla veste di custode, in quanto proprietario delle bottiglie di vino pignorate il reato era comunque integrato dalla sottrazione delle stesse, sostituite con altre bottiglie; quindi, è evidente la dispersione dei beni pignorati essendo irrilevante che ne siano stati reperiti e pignorati altri in loro sostituzione
Il reato previsto dall’art. 388, comma 5, cod. pen. può essere commesso da “chiunque” sottragga una cosa di sua proprietà sottoposta a pignoramento. Qualora, poi, il proprietario della cosa pignorata ne sia anche custode è prevista dal comma 6 dell’art. cit. una ipotesi aggravata.
Correttamente è stata, perciò, ritenuta integrata la fattispecie meno grave contestata all’imputato, considerato che in data 18 settembre 2019 l’incaricato dell’IVG – nuovo custode – recatosi presso l’azienda ad effettuare la ricognizione dei beni pigncrati ha constatato la loro assenza, né detti ben sono stati successivamente messi a disposizione dall’imputato.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
L’art. 95 del d.lgs. 20 ottobre 2022 n. 150, nel dettare la disciplina transitoria in tema di applicazione della nuove pene sostitutive in vigore dal 30 dicembre 2022 ne consente l’applicabilità nei processi pendenti in primo grado o in grado di appello alla data di entrata in vigore della riforma; con riferimento, invece, ai processi pendenti in sede di legittimità a tale data, è prevista solo la possibilità di attivare l’incidente di esecuzione una volta divenuta irrevocabile la sentenza di condanna.
Nel caso di specie la richiesta di pena sostitutiva è stata formulata per la prima volta con il ricorso per cassazione ed è, pertanto, inammissibile anche perché al tempo in cui era pendente il giudizio di appello svoltosi nel marzo del 2023, vi era già la possibilità per l’imputato di richiedere l’applicazione di un delle pene sostitutive di cui all’art. 20-bis cod. pen.
Conseguentemente, oltre a non essere giustificata la richiesta di applicazione avanzata in pendenza del ricorso per cassazione, poiché la relativa normativa era già entrata in vigore durante la pendenza del giudizio di appello ne consegue che tale richiesta non potrebbe neppure essere avanzata davanti al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’articolo 666 del codice di procedura penale, entro trenta giorni dalla irrevocabilita’ della sentenza, atteso che tale disposizione presuppone che la entrata in vigore della riforma sia intervenuta successivamente alla definizione del giudizio di appello ed in pendenza dei termini per la proposizione del ricorso per cassazione, indipendentemente dalla sua proposizione (vedi, Sez. 6, n. 34091 del 21/06/2023, COGNOME, Rv. 285154).
GLYPH All’inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in tremila euro.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de Ammende.