Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11473 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11473 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Brescia il 10/11/1978
avverso la sentenza del 17/05/2024 della Corte di appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; letta la memoria del difensore, avv. NOME COGNOME del foro di Brescia, che, nel rinunciare alla trattazione orale del ricorso, insiste per l’accoglimento de ricorso medesimo.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Brescia ha confermato la pronuncia resa dal Tribunale di Brescia e appellata dall’imputato, la quale aveva condannato NOME COGNOME allà pena ritenuta di giustizia, con i doppi benefici di legge, in relazione al delitto di cui agli artt. 43, comma 2, e 47 d.lgs. n. 504 de 1995, così riqualificata l’originaria imputazione ex art. 43, comma 1, lett. a) del medesimo d.lgs.
Avverso la sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, ha presentato ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi:
2.1. violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 1 cod. pen. e 25, comma 2, Cost. perché le circolari dell’Agenzia delle dogane affidano ai singoli uffici territoriali la possibilità di determin discrezionalmente le modalità di calcolo delle soglie di punibilità normativamente previste, in violazione del principio di riserva di legge in materia penale; la Corte d’appello non si sarebbe misurata con tali argomentazioni, essendosi limitata a ritenere legittimo il criterio di calcolo adottato dagli operanti;
2.2. violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 62 n. 6 cod. pen. e all’erronea disamina del modello F24 recante il codice tributo 2082. Argomenta il difensore che la Corte di merito ha rigettato il motivo incentrato sulla richiesta di applicazione dell’attenuante in esame con motivazione errate, ritenendo, per un verso, che essa non troverebbe applicazione in rifermento al delitto in esame perché non offende il patrimonio, sia perché essa presuppone una condotta risarcitoria che non può coincidere con il mero pagamento spontaneo delle sanzioni amministrative irrogate, laddove, invece, come emerge dalla lettura del modello F24, l’imputato ha versato anche l’accisa, e considerando che la giurisprudenza nega l’applicabilità dell’attenuante in parola ai delitti tributari in quanto il risarcimento del danno cagionato all’erar è autonomamente considerato gli artt. 13, 13-bis e 14 del d.lgs. n. 74 del 2000, disposizioni che non sono presenti nel d.lgs. n. 504 del 1995;
2.3. violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 62 n. 4 cod. pen. e alle risultanze inventariali di cui agli alle al pvc del 4 ottobre 2017; la motivazione, sul punto, sarebbe erronea, sia perché l’attenuante de quo si applica a qualunque delitto commesso per motivo di lucro, a prescindere dal bene tutelato, sia perché l’asserita consistenza delle difformità riscontrate corrisponde a meno del 3% del carico totale del magazzino risultante dell’indicato pvc, e considerando che la sottrazione dell’accisa è pari circa
dodicimila euro, un ammontare risibile se confrontate con quella gravante sull’alcool complessivamente presente nel magazzino della società;
2.4. violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 53-59 I. n. 689 del 1981; argomenta il difensore che la motivazione, laddove ha respinto la richiesta di sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria, sarebbe errata, in quanto la sussistenza di precedenti condanne non è di per sé ostativa, come affermato da Sez. H, n. 8794 del 2024, considerando che le cause soggettive ostative alla sostituzione sono indicate negli artt. 58 e 59 I. n. 689 del 1981, in relazione alle quali l Corte di merito ha omesso qualsivoglia valutazione; sotto altro profilo, motivazione sarebbe illogica, laddove, per un verso, ha ridotto la pena al di sotto del minimo edittale, e, dall’altro, ha negato la sostituzione della pena sulla base di un’elevata pericolosità dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1. Il primo motivo è infondato.
L’art. 47 d.lgs. n. 504 del 1995 così stabilisce: “1. Per le deficienze riscontrate nella verificazione dei depositi fiscali di entità superiore al 2 per cent oltre il calo consentito si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro dal doppio al triplo della relativa accisa. Nel caso di prodotti denaturati, se la deficienza eccede l’uno per cento oltre il calo consentito, l’esercente è punito, indipendentemente dal pagamento dell’accisa commisurata all’aliquota più elevata gravante sul prodotto, con la multa fino a 2582 euro 531. Se la deficienza è di entità superiore al 10 per cento oltre il calo consentito si applicano le pene previste per il tentativo di sottrazione del prodotto al pagamento dell’accisa.
Per le eccedenze di prodotti nei depositi fiscali e per le eccedenze di prodotti denaturati non rientranti nei limiti delle tolleranze ammesse, ovvero non giustificate dalla prescritta documentazione si applicano le pene previste per la sottrazione dei prodotti all’accertamento o al pagamento dell’accisa, salvo che venga dimostrata la legittima provenienza dei prodotti ed il regolare assolvimento dell’imposta, se dovuta.
Per le deficienze, superiori ai cali ammessi, riscontrate all’arrivo dei prodotti trasportati in regime sospensivo si applica la sanzione amministrativa
del pagamento di una somma di denaro dal decimo all’intero ammontare dell’imposta relativa alla quantità mancante superiore al predetto calo a meno che l’Amministrazione finanziaria abbia motivi fondati di ritenere che la circolazione dei prodotti di cui al presente comma sia avvenuta in frode o comunque in modo irregolare, nel qual caso la predetta sanzione è applicata con riguardo all’imposta relativa all’intera quantità mancante. Se la deficienza è di entità superiore al 10 per cento oltre il calo consentito, si applicano le pene previste per il tentativo di sottrazione del prodotto al pagamento dell’accisa. Le eccedenze sono assunte in carico”.
Si osserva, in via preliminare, che tale disposizione non è stata modificata dal recente d.lgs. 26 settembre 2024, n. 141, sicché, con riferimento ad essa, non si pone un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo.
Ciò premesso, la censura difensiva – la quale non contesta la legittimità dei criteri di calcolo adottati dagli operanti, ma deduce il vizio di omessa motivazione in relazione a un profilo del motivo di appello, con cui si eccepiva la violazione del principio della riserva di legge con riferimento alle modalità di calcolo delle eccedenze e dei cali naturali di giacenza dell’alcol come indicate nelle circolari – è manifestamente infondata.
2.1. Si osserva che, sin dalle primissime decisioni, la Corte costituzionale ha escluso l’illegittimità di disposizioni legislative, le quali, nel comminare un sanzione penale, si rimettevano, per la specificazione del contenuto di singoli, definiti elementi della fattispecie considerata nel precetto penalmente sanzionato, ad atti non dotati di valore di legge (cfr. sentenze n. 36 e n. 96 del 1964, riguardanti, rispettivamente, norme per la repressione dell’uso degli stupefacenti e per la difesa della genuinità degli alimenti).
Per contro, la Corte ha affermato che “il principio di legalità della pena non può considerarsi soddisfatto quando non sia una legge (o un atto equiparato) dello Stato – non importa se proprio la medesima legge che prevede la sanzione penale o un’altra legge – a indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei provvedimenti dell’autorità non legislativa, a trasgressione dei quali deve seguire la pena” (sent. n. 26 del 1966).
2.2. In relazione alla fattispecie in esame, non sussiste alcuna violazione del principio della riserva di legge, posto che la norma incriminatrice definisce in maniera puntuale il fatto oggetto di incriminazione (le deficienze riscontrate nella verificazione dei depositi fiscali di entità superiore al 10 per cento oltre il c consentito) e la pena comminata (che è quella prevista “per il tentativo di sottrazione del prodotto al pagamento dell’accisa”).
Le circolari in esame, invero, come già correttamente ritenuto dal Tribunale (cfr. p. 6-7 della sentenza di primo grado), si limitano a chiarire le modalità di calcolo del calo e delle eccedenze disciplinate dai decreti ministeriali n. 283 del 1997 (“Regolamento recante norme per la determinazione dei limiti dei cali tecnicamente ammissibili nella lavorazione dei prodotti soggetti ad accis’a, ai fini della concessione dell’abbuono”), e n. 55 del 2000 (“Regolamento recante norme in materia di cali naturali e tecnici delle merci soggette a vincolo doganale e ad accise”) e, quindi, non incidendo direttamente sulla descrizione del fatto vietato e della relativa pena, non interferiscono con il rispetto del principio della riserva di legge.
3. Il secondo motivo è infondato.
Questa Corte ha già affermato che la circostanza attenuante dell’attivo ravvedimento di cui all’art. 62, comma primo, n. 6), seconda parte, cod. pen., in quanto riferita alla sola elisione o attenuazione delle conseguenze che non si identificano in un danno patrimoniale o non patrimoniale economicamente risarcibile, non è applicabile al delitto di omesso versamento delle ritenute certificate, previsto dall’art. 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che, pur non avendo natura di reato contro il patrimonio, offende comunque il patrimonio della persona offesa, ossia dell’Amministrazione finanziaria. (Sez. 3, n. 2858 del 30/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284127 – 02).
Nello stessa linea si pone una decisione successiva, indicata dal ricorrente, secondo cui la circostanza attenuante in esame, in quanto riferita alla sola elisione o attenuazione delle conseguenze che non si identificano in un danno patrimoniale o non patrimoniale economicamente risarcibile, non è applicabile ai delitti previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nei quali il “risarcimento de danno” cagionato all’Erario costituisce fatto autonomo, specificamente previsto dagli artt. 13, 13-bis e 14 del decreto citato, quale causa di non punibilità o circostanza attenuante, ove avvenuto nei modi, con le forme e nei tempi indicati nelle indicate disposizioni (Sez. 3, n. 17015 del 21/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284495 – 01).
Orbene, l’argomentazione difensiva, secondo cui, non essendo ravvisabile nel d.lgs. n. 504 del 1995, una disciplina del risarcimento del danno analoga a quella prevista dal d.lgs. n. 74 del 2000, con conseguente applicazione dell’attenuata in esame per il reato in esame, prova troppo
In ogni caso, anche a voler ritenere applicabile la circostanza in esame al delitto in parola, si osserva che l’imputato, come emerge dal modello F24 allegato al ricorso, a fronte di una richiesta, da parte dell’amministrazione finanziaria, di 13.653,73 euro – risultante dalla somma tra il codice tributo 2802
(accisa alcoli) e quello 2820 (interessi ed indennità di mora) – ha versato la somma 12.3830,19 euro, corrispondente alla sola accisa, sicché egli non ha provveduto all’integrale risarcimento del danno.
4. Il terzo motivo è infondato.
Se è vero che la circostanza attenuante del lucro e dell’evento di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. è applicabile, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro (Sez. U, n. 24990 del 30/01/2020, Dabo, Rv. 279499 – 01), la Corte di merito ha comunque escluso la sussistenza dei presupposti di detta circostanza in relazione al non trascurabile importo dell’accisa evasa.
L’argomentazione del ricorrente, secondo cui la valutazione di tenuità deve essere effettuata tenendo conto delle giacenze di magazzino e, quindi, dell’accisa pagata, non è persuasiva perché urta contro il chiaro dato letterale, il quale dà rilevanza alla “speciale tenuità” del danno in sé obiettivamente considerato, danno che, quindi, non può essere calibrato in maniera percentuale rispetto all’imposta che è stata regolarmente versata.
5. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
La Corte di merito ha formulato una prognosi negativa, sul piano rieducativo e preventivo, in ordine alla sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria alla luce della personalità dell’imputato, il quale, successivamente ai fatti oggetto del presente giudizio, ha riportato una condanna i delitti di cui agli artt. 43 d.lgs. n. 504 del 1995 e di falso ideologico, aggravati, in termini di disvalore, da una imputazione associativa, giudicati con sentenza del g.i.p. del Tribunale di Brescia del 14 ottobre 2020, irrevocabile il 24 dicembre 2020.
Non pertinente è il richiamo al principio espresso a Sez. 2, n. 8794 del 14/02/2024, Pesce, Rv. 286006 – 02, la quale si riferisce alle pregresse condanne, mentre, nel caso in esame, il tribunale ha valorizzato la condanna per fatti analoghi quelli oggetto del giudizio, realizzati in un contesto associativo e in epoca successiva rispetto a quelli qui al vaglio, in ciò quindi considerando i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. che, ai sensi dell’art. 58 I. n. 689 del 1981, devono guidare il giudice nel potere a lui discrezionalmente affidato di sostituire la pena detentiva, in vista del reinserimento sociale del condannato.
Si tratta di un accertamento di fatto logicamente motivato, che pertanto non è sindacabile in sede di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 35849 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 276716 – 01).
Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseg condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali.
Così deciso il 12/03/2025.