Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9708 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9708 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Alezio il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/03/2023 della Corte di appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito per il ricorrente l’AVV_NOTAIO, il quale ha insistito l’accoglimento delle conclusioni del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24 marzo 2023, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la penale responsabilità di NOME COGNOME in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 1, T.U. stup., per aver detenuto a fini di spaccio sostanza stupefacente di tipo cocaina da cui erano ricavabili 204 dosi, riducendo tuttavia la pena ad anni tre, mesi cinque e giorni 20 di reclusione e 12.000 euro di multa.
Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, larnentando, con il primo motivo, la violazione della legge penale incriminatrice ed ‘vizio di motivazione in ordine al diniego dell’invocata derubricazione nel reato di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup. Riepilogando le specifiche doglianze che sul punto erano state proposte con l’appello (la compatibilità del quantitativo e della qualità della sostanza detenuta con l’ipotesi di lieve entità, il buon comportamento tenuto nei confronti degli operanti e la confessione, la detenzione di una modica somma di denaro non sintomatica di quella posizione non terminale nella catena dello spaccio affermata invece dal giudice di primo grado, l’erroneo convincimento da questi espresso circa il fatto che l’imputato fosse capace di “tagliare” lo stupefacente), il ricorren lamenta come le stesse non siano state in alcun modo esaminate dalla Corte territoriale. Questa si era limitata a confermare la qualificazione giuridica data dal primo giudice richiamando il solo dato ponderale dello stupefacente detenuto e le dosi ricavabili, senza operare quella valutazione complessiva e globale degli indici rivelatori della minore offensività della condotta richiesta dalla giurisprudenza di legittimità. Si era illegittimamente valorizzato, inoltre, il risalente precedent specifico dell’imputato, elemento semmai valutabile ai sensi dell’art. 133 cod. pen., ma non anche per stabilire se il reato fosse sussumibile nell’ipotesi del fatto di lieve entità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con il secondo motivo di ricorso si deducono la violazione degli artt. 58 e 59 I. 689/1981, 167 cod. pen., 545 bis cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione per essere stata respinta la subordinata richiesta di sostituzione della pena detentiva breve, in particolare con il lavoro di pubblica utilità, formulando una prognosi sfavorevole in base all’unico precedente penale dell’imputato, concernente un fatto ricondotto all’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup. commesso nel 2010, senza neppur procedere all’assunzione di informazioni da parte della polizia giudiziaria e dell’ufficio di esecuzione penale esterna come invece previsto dall’art. 545 bis cod. proc. pen. Si lamenta, inoltre, che gli artt. 58 e 59 I. 689/1981 non prevedono la presenza di precedenti penali tra le cause
soggettive di esclusione della sostituzione della pena detentiva breve e, anzi, espressamente consentono la sostituibilità anche nei confronti dei recidivi salvo che ricorrano determinate condizioni, nella specie insussistenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
1.1. Il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, affermato sin da quando l’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990 configurava, con gli stessi presupposti contenuti nella norma oggi vigente, una circostanza attenuante, è nel senso che la fattispecie del fatto di lieve entità può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizion (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, COGNOME e aa., Rv. 216668; Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 256610; Sez. 3, n. 32695 del 27/03/2015, Genco e aa., Rv. 264491).
Questo consolidato orientamento ha poi trovato sostanziale conferma in una decisione assunta dalle Sezioni Unite, ove si precisa essere tuttavia «necessario che il percorso valutativo così ricostruito si rifletta nella motivazione del decisione, dovendo il giudice, nell’affermare o negare la tipicità del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, T. U. stup., dimostrare di avere vagliato tutti gli aspett normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi. Il che significa, come illustrato, che il discorso giustificativo deve dar conto non solo dei motivi che logicamente impongono nel caso concreto di valutare un singolo dato ostativo al riconoscimento del più contenuto disvalore del fatto, ma altresì di quelli per cui la sua carica negativa non può ritenersi bilanciata da altri elementi eventualmente indicativi, se singolarmente considerati, della sua ridotta offensività» (Sez U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME).
Tale metodo di giudizio vale anche a proposito dell’elemento ponderale, che pure – riconosce la citata decisione – assume spesso un ruolo centrale nell’apprezzamento giudiziale, dovendo anche la maggiore o minore espressività del dato quantitativo essere determinata in concreto nel confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento e «ferma la possibilità che, nel rispetto delle condizioni illustrate, tale dato poss assumere comunque valore negativo assorbente » (Sez. U., sent. 51063/2018).
1.2. Ciò premesso sul piano del diritto sostanziale, su quello processuale va ricordato che, trattandosi di una doppia decisione di merito conforme, la motivazione della sentenza d’appello si salda con quella di primo grado. Il cennato principio dell’integrazione delle argomentazioni contenute nelle sentenze di merito è in particolare valido quando la motivazione del primo giudice sia autosufficiente rispetto alle censure che le sono mosse con i motivi di gravame, risolvendosi questi ultimi nella mera riproposizione di questioni già esaurientemente valutate e decise, senza che venga richiesto un concreto vaglio critico sulla ratio decidendi della sentenza impugnata. Laddove, cioè, i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice e richiamando i passaggi logico-giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615).
Nel caso di specie ricorre questa situazione, posto che la struttura argomentativa della sentenza di primo grado, in appello confermata, resiste alle critiche mosse in ricorso e nessuna di queste – di cui si lamenta il mancato specifico esame in grado di appello – è idonea ad inficiare la tenuta logica della qualificazione giuridica data al fatto.
1.3. Va al proposito ribadito, invero, che la mancata disamina delle doglianze dedotte con l’appello non può per ciò solo comportare l’annullamento della doppia decisione conforme per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degl essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, COGNOMENOME e aa., Rv. 271227). Il vizio di motivazione che denunci la carenza argomentativa della sentenza rispetto ad un tema contenuto nell’atto di impugnazione, cioè, può essere utilmente dedotto in Cassazione soltanto quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano carattere di decisività (Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, COGNOME e aa., Rv. 267723), nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata (Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Giarri, Rv. 253445).
L’obbligo di motivazione del giudice dell’impugnazione, infatti, non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell’atto d’impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione
e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quand ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell’appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all’art. 606, comma primo, lett. e) , cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera e aa., Rv. 260841).
1.4. In applicazione dei principi ermeneutici richiamati, reputa dunque il Collegio che la decisione di primo grado, confermata da quella qui impugnata, abbia non illogicamente argomentato l’impossibilità di ricondurre la condotta dell’imputato all’ipotesi di minore gravità. Questi, invero, fu sottoposto a perquisizione personale dopo essere uscito di casa e trovato in possesso di tre confezioni di cocaina destinate alla cessione (o per il consumo o per l’ulteriore spaccio, chiosa non illogicamente il primo giudice tenuto conto dell’elevato grado di purezza della sostanza) e, nel corso della successiva perquisizione domiciliare, furono rinvenuti un involucro contenente altri 38 gr. circa della medesima sostanza e materiali idonei al confezionamento. Dalla sostanza, con principio attivo assai elevato (compreso tra il 62,93 ed il 78,14%), erano ricavabili 204 dosi medie, sicché – valorizzata anche la non dimostrata tossicodipendenza affermata dal COGNOME, che comunque ha ammesso la destinazione allo spaccio di parte della sostanza – non è certo manifestamente illogica la conclusione, di cui il ricorrente invece si duole, circa una sua posizione non terminale nella catena dello spaccio incompatibile con l’ipotesi di reato di lieve entità.
Quanto alle doglianze in questa sede proposte circa il difetto di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di appello, si osserva che:
non v’è dubbio sul rilievo non dirimente dell’ammontare della somma di denaro rinvenuta nella disponibilità dell’imputato, trattandosi di elemento decisamente subvalente rispetto al valore dell’apprezzabile quantitativo di cocaina che il ricorrente era riuscito a procurarsi e che certamente, anche alla luce del principio attivo, costituiva una provvista idonea ad assicurare una prolungata attività di spaccio (cfr. Sez. 6, n. 45061 del 03/11/2022, Restivo, Rv. 284149-02, in cui si è affermato che la fattispecie della lieve entità è configurabile nelle ipotes di c.d. piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro e potenzialità di guadagni limitati, sì da risultare incompatibile con la detenzione di un apprezzabile quantitativo di cocaina, per il cui acquisto è necessario disporre di non marginale disponibilità economica);
che una significativa parte di tale quantitativo fosse destinata al consumo personale è già stato escluso dal primo giudice con non illogica motivazione – con
cui il ricorrente non si confronta e che non è stata neppure contestata con il gravame di merito -, essendosi rilevato che non risultava accertato l’affermato stato di tossicodipendenza e che, in ogni caso, l’eventuale utilizzo personale potrebbe aver riguardato pochissime dosi tra quelle sequestrate;
neppure ha rilievo, al fine della sussumibilità del fatto nella previsione dell’art. 73, comma 5, T.U. stup., il contegno collaborativo dell’imputato, che esula dai “mezzi”, dalle “modalità” e dalle “circostanze dell’azione” e che può trovare riconoscimento, a livello sanzionatorio, nell’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990, ovvero delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 3, n. 25044 del 21/07/2020, Russo, Rv. 279711);
il fatto che il primo giudice avesse considerato, tra i mezzi e le modalità dell’azione, che l’imputato confezionasse e tagliasse la droga e che la Corte territoriale non abbia esaminato la doglianza sulla mancanza di prova di una vera e propria attività di “taglio” direttamente svolta dall’imputato non inficia l sfavorevole rilevanza della valutazione con riguardo alla prima delle menzionate condotte, in alcun modo contestata, che attesta come l’imputato non si limitasse a rivendere dosi di stupefacente destinate al dettaglio, da lui acquistate e da altri confezionate, ma detenesse a fini di cessione sostanza con grado elevatissimo di purezza, che, con riguardo agli involucri sequestrati sulla sua persona, lo stesso appellante (cfr. ultima pagina dell’appello) riconosce essere “assolutamente difformi da quelle ordinariamente osservabili negli ambienti di spaccio”, così ammettendo che sarebbe stato comunque necessario un’ulteriore attività di “taglio” prima della cessione ai consumatori finali, ciò che conforta la conclusione dei giudici di merito nel senso che l’imputato occupava una posizione non terminale nella catena dello spaccio;
il richiamo al precedente penale specifico fatto nella sentenza impugnata che certamente non ha di per sé valore preclusivo rispetto all’invocata qualificazione giuridica del fatto, risultando anzi estraneo agli indici sintomatici previsti dalla disposizione (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 13120 del 06/02/2020, Ilardi, Rv. 279233) – è stato dalla Corte territoriale evocato ad abundantiam soltanto per per escludere l’occasionalità della condotta e non inficia la tenuta logica della decisione.
2. Il secondo motivo è fondato nei termini di cui infra.
Con lapidaria affermazione, la sentenza impugnata afferma che «il precedente specifico annoverato dall’imputato rende del tutto infausta la prognosi di non ricaduta nel delitto» e pertanto esclude la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità.
2.1. Va in primo luogo osservato come questa valutazione, di per sé non pertinente, posto che l’irrogazione di una pena superiore a tre anni di reclusione la rendeva per ciò solo non sostituibile con il lavoro di pubblica utilità, riveli com la Corte territoriale abbia omesso di considerare la sostituzione con le maggiormente stringenti sanzioni della semilibertà e della detenzione domiciliare. Anche per queste, infatti, l’imputato aveva espresso il proprio consenso nella dichiarazione allegata ai motivi aggiunti proposti in grado di appello ed è dunque mancata una specifica considerazione della loro idoneità alla rieducazione e, anche attraverso opportune prescrizioni, a scongiurare il pericolo di commissione di altri reati.
2.2. In ogni caso, poi, mentre l’omessa richiesta di informazioni alla polizia giudiziaria o all’U.E.P.E. non viola l’art. 545 bis cod. proc. pen. – non essendo il giudice vincolato a procedervi quando fondatamente ritenga di avere elementi per escludere la sostituibilità della pena detentiva (cfr. Sez. 4, n. 42847 del 11/10/2023, Palumbo, Rv. 285381) e potendo ritenere, con valutazione discrezionale adeguatamente motivata, la non necessità di procedere alla sospensione del processo dopo la lettura del dispositivo, al fine di acquisire informazioni utili a decidere sulla sostituzione della pena detentiva ed a scegliere quella sostitutiva più adeguata al caso (Sez. 6, n. 43263 del 13/09/2023, COGNOME, Rv. 285358) – la motivazione contenuta nella sentenza impugnata, che si limita a reputare ostativo il precedente specifico di cui l’imputato è gravato, integra il vizio di motivazione carente e viola le disposizioni, evocate in ricorso, di cui agli artt. 58 e 59 I. 689/1981.
Ed invero, come correttamente allega il ricorrente, le citate disposizioni, e la seconda in particolare, non indicano lo stato di non incensuratezza tra le condizioni soggettive ostative alla sostituibilità delle pene detentive brevi e non attribuiscono al proposito rilievo neppure a forme gravi di recidiva.
E’ bensì vero che tali condizioni possono essere valutate ai sensi dell’art. 133 cod. pen., integralmente richiamato dall’art. 58, comma 1, I. 689/1981, ma la disposizione in parola impone di effettuare una valutazione complessiva che tenga conto tanto dei criteri concernenti la gravità del reato, quanto di quelli relativi al capacità a delinquere.
2.3. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte – che va ribadito anche a seguito delle modifiche apportate all’istituto dalla c.d. riforma Cartabia la richiesta di sostituzione della pena detentiva avanzata dall’imputato impone al giudice di motivare le eventuali ragioni di diniego (Sez. 1, n. 25833 del 23/04/2012, Testi, Rv. 253102). La sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., prendendo in
considerazione, tra l’altro, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato (Sez. 3, n. 19326 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 263558; Sez. 2, n. 25085 del 18/06/2010, COGNOME, Rv. 247853; Sez. 2, n. 5989 del 22/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 239494), pur senza dover esaminare tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la sua discrezionalità essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in proposito, quali l’inefficacia della sanzione (Sez. 5, n. 10941 del 26/01/2011, Orabona, Rv. 249717). Come di regola accade allorquando il giudice di merito è chiamato a svolgere valutazioni discrezionali di tipo prognostìco alla luce dei parametri indicati nell’art. 133 cod. pen. – ed appare particolarmente pertinente l’analogia rispetto al giudizio sul riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena – la conclusione raggiunta, avendo riguardo alla specificità della condotta posta in essere, si sottrae, se adeguatamente motivata, ad ogni sindacato in sede di legittimità (Sez. 1, n. 2328 del 22/05/1992, COGNOME, Rv. 191311), senza che nel giudizio di cassazione sia possibile muovere contestazione attinente alla attendibilità del giudizio prognostico, positivo o negativo (Sez. 1, n. 326 del 24/01/1992, COGNOME, Rv. 189611).
Trattandosi, tuttavia, di discrezionalità vincolata all’impiego dei richiamati criteri legali, il giudice di merito ha l’obbligo di informare ad essi la prop valutazione e di darne conto in motivazione ed il sindacato di questa Corte sul punto può essere esercitato nei consueti termini di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
2.4. Nel caso di specie, reputa il Collegio che la riportata motivazione presti il fianco alle censure svolte in ricorso per carenza e manifesta illogicità.
Avendo la Corte territoriale escluso la sostituibilità in relazione ad un solo parametro – quello della condotta precedente al reato quale valutata alla luce dell’unico precedente penale – il giudizio sarebbe in questa sede incensurabile se, per la indiscutibile pregnanza e forza persuasiva, l’elemento addotto fosse idoneo ad esaurire in modo non illogico il giudizio prognostico di che trattasi. Ma così non è. Il precedente penale richiamato, sia pur specifico – e tale da integrare gli estremi della contestata recidiva infraquinquennale, in primo grado ritenuta subvalente rispetto alle circostanze attenuanti generiche – riguarda un reato commesso nel 2010 ritenuto non ostativo ad un giudizio prognostico favorevole ai fini del beneficio della sospensione condizionale della pena in allora concesso. La risalenza di quel primo reato nel tempo rispetto al fatto sub iudice (commesso nel 2018) e, soprattutto, rispetto al momento del giudizio sulla sostituibilità della pena reso nel 2023 non rende quest’elemento di per sé bastevole a fornire logica motivazione del diniego. Del resto, a norma dell’art. 133, secondo comma, cod. pen. la capacità a delinquere dev’essere desunta anche dagli altri elementi, diversi
dall’unico considerato e riconducibile alla previsione di cui sub n. 2), rispetto ai quali la Corte territoriale non ha espresso alcuna valutazione benché alcuni di questi fossero stati ritualmente allegati e documentati con la memoria contenente motivi di appello aggiunti. Ci si riferisce alla condotta susseguente al reato ed alle attuali condizioni di vita dell’imputato, che ha documentato di aver intrapreso lecita attività lavorativa come operaio dipendente di una società operante nel campo dell’edilizia.
La sentenza impugnata va pertanto annullata limitatamente alla sostituibilità della pena detentiva, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Lecce jeVrigetto del ricorso nel resto.
Ai sensi dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen., deve dichiararsi irrevocabile l’accertamento di penale responsabilità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sostituibilità della pena detentiva e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Lecce.
Rigetta il ricorso nel resto e dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
Così deciso il 16 febbraio 2024.