Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5197 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 5197  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a GROTTERIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/11/2022 del TRIBUNALE di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso l’ordinanza in preambolo con la quale il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza dallo stesso formulata di sostituzione della pena dell’ergastolo a lui inflitta con sentenza della Corte di assise di appello di Milano in data 19 ottobre 1998, irrevocabile il 25.1.2000, con quella di trenta anni di reclusione, deducendo violazione ed erronea applicazione degli artt. 442 cod. proc. perì. e 30 L. n. 479 del 1999, nonché degli artt. 6 e 7 CEDU;
ritenuto che – come ineccepibilmente rilevato nel provvedimento impugnato – la posizione del ricorrente non è né identica, né simile a quella esaminata nella sentenza della Corte EDU nel caso COGNOME, in occasione del quale l’imputato aveva chiesto il giudizio abbreviato dopo l’entrata in vigore della legge n. 479 del 1999 e sulla base della disciplina da essa introdotta, era stato ammesso al rito speciale e condannato in primo grado a trenta anni di reclusione. Era quindi accaduto che (lo stesso giorno della condanna) era entrato in vigore il D.L. n. 341 del 2000, convertito, con modificazioni, con la legge 19.1.2001, n. 4, il cui art. 7 stabiliva che, nei secondo periodo dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. «l’espressione “pena dell’ergastolo” deve intendersi riferita all’ergastolo senza isolamento diurno» (comma 1) e aggiungeva allo stesso art. 442, comma 2, un ulteriore periodo, in forza del quale «Alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo» (comma 2). In applicazione di tale norma sopravvenuta, in appello l’imputato era stato condannato all’ergastolo “semplice”, con sentenza poi confermata dalla C::orte di cassazione;
ricordato che, in relazione alla fattispecie processuale descritta, la Corte europea ha ravvisato la violazione del principio di ultrattività della legge penale più favorevole al reo, ritenuto insito nella previsione dell’art. 7, paragrafo 1, CEDU, principio alla luce del quale l’imputato avrebbe dovuto beneficiare – pur avendo commesso il fatto anteriormente – della più favorevole previsione dell’art. 30 della legge n. 479 del 1999, ritenendo, altresì, che violava l’art. 6 della CEDU, una modifica a posteriori delle condizioni dell’ “accordo” insito nel giudizio abbreviato, che «implica uno scambio tra la rinuncia a determinate garanzie processuali e la diminuzione della pena». Con la sentenza n. 210 del 2013, sollecitata dalla Sezioni Unite, la Corte costituzionale ha ritenuto quindi come efficacemente sintetizzato dalla stessa Corte nella orci. n. 235 del 2013 che «la sentenza COGNOME non consenta allo Stato italiano di limitarsi a sostituire la pena dell’ergastolo applicata in quel caso, ma lo obblighi, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, della CEDU, a porre riparo alla violazione riscontrata a
livello normativo e a rimuoverne gli effetti nei confronti di tutti i condannati che si trovino nelle medesime condizioni di COGNOME (sentenza n. 210 del 2013)»; «che detto obbligo non trova ostacolo nell’avvenuta formazione del giudicato e che alla sostituzione della pena – la quale non postula la necessità di una “riapertura del processo” – può procedere il giudice dell’esecuzione»; ma che tale conclusione riguarda «esclusivamente l’ipotesi in cui si debba applicare una decisione della Corte europea in materia sostanziale, relativa ad un caso che sia identico a quello deciso e non richieda la riapertura del processo: ipotesi nella quale soltanto può giustificarsi un incidente di legittimità costituzionale sollevato nei procedimento di esecuzione nei confronti di una norma applicata nel giudizio di cognizione»;
considerato che, ai fini che qui interessano, analogamente a quanto rimarca l’ordinanza n. 235 del 2013, rileva il fatto che lo stesso si differenzi dai caso COGNOME sotto l’essenziale profilo che l’imputato non è mai stato ammesso al giudizio abbreviato e che la questione sollevata non investe, perciò, direttamente l’entità della riduzione di pena conseguente al giudizio abbreviato celebrato, ma attiene ai profili – esclusivamente – procedurali della (oramai irrimediabilmente preclusa) possibilità di avanzare la relativa richiesta e di riconoscere come celebrato il rito alternativo invece non tenuto;
ritenuto pertanto che, anche per la situazione processuale del ricorrente, non riferibile a norma sostanziale ma alla disciplina squisitamente processuale dell’accesso al rito, più che la sentenza COGNOME, è evocabile la successiva decisione della Corte europea in data 27.4.2010, COGNOME c. Italia (concernente proprio il regime transitorio previsto dal comma 1 dell’art. 4-ter D.L. n. 82 del 2000) in cui si è osservato che «gli Stati contraenti non sono obbligati dalla Convenzione a prevedere dei procedimenti semplificati : a essi incombe soltanto l’obbligo, allorquando tali procedure esistono e sono adottate, di non privare un imputato dei vantaggi che vi si colleciano», oltre che, appunto, quanto già ampiamente evidenziato da Corte cost. n. 2:35 del 2010 a proposito della non esportabilità dell’arresto della sentenza COGNOME a situazioni in cui il giudizio alternativo non è stato celebrato (nella stessa linea, pur con riferimento a diverso istituto, v. anche Corte cast. n. 240 del 2015);
richiamato l’ormai consolidato principio, espresso in sede di legittimità per casi analoghi a quello che ci occupa, secondo cui «A seguito della sentenza della Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’Uomo n. 10249/03 del 17 settembre 2009, nel caso COGNOME contro Italia, il condannato con sentenza passata in giudicato può richiedere in sede esecutiva la riduzione della pena ex art. 442 cod. proc. pen. a condizione che sia stato ammesso al giudizio abbreviato e che la sentenza di condanna sia stata emessa all’esito di tale
giudizio. (Nella specie, la Corte ha respinto l’istanza del condannato la cui richiesta di rito abbreviato era stata rigettata sulla base della disciplina all’epoca vigente, senza essere reiterata, nel momento in cui, sulla base della disciplina transitoria, era tecnicamente e proceduralmente possibile)» (Sez. 1, n. 11916 del 21/11/2018, dep. 2019, Montenegro, Rv. 275324);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30 novembre 2023