Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47009 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47009 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/11/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a SURBO il 11/03/1963
avverso l’ordinanza del 17/07/2024 del TRIBUNALE di BRINDISI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Brindisi, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da NOME COGNOME per ottenere la sostituzione della pena dell’ergastolo (con isolamento diurno per un anno) – inflittagli con sentenza n. 65/1999, emessa dalla Corte di Assise di appello di Lecce in data 25 gennaio 1999 (irrevocabile il 16 novembre 2000) – con quella di trent’anni di reclusione.
Il Tribunale ha, in premessa, ricordato l’evoluzione del quadro normativo nel quale si colloca la vicenda:
la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 176 del 1991, ha dichiarato l’illegittimità, per eccesso di delega, dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui prevedeva, nel caso di giudizio abbreviato, la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella di trent’anni di reclusione;
in data 2 gennaio 2000 Ł entrata in vigore , la legge n. 479 del 1999 (c.d. “Carotti”), che ha ripristinato la possibilità di accedere al rito alternativo anche per gli imputati di reati puniti con la pena dell’ergastolo, prevedendo, di nuovo, la sostituzione della pena perpetua con quella temporanea trentennale;
il decreto legge n. 82 del 2000, in vigore dall’8 aprile 2000, ha previsto una disciplina transitoria regolante le modalità di accesso al rito alternativo nei processi ancora pendenti in cui erano contestati reati puniti con ‘la pena dell’ergastolo’, disponendo che la richiesta di rito alternativo poteva essere avanzata nella prima udienza successiva a quella di entrata in vigore della legge di conversione, in presenza specifiche condizioni: a) che nel giudizio di primo grado non fosse ancora conclusa l’istruttoria dibattimentale; b) che nel giudizio di appello fosse stata rinnovata
l’istruzione dibattimentale (e che la stessa non si fosse esaurita all’atto della richiesta); c) che nel giudizio di rinvio non si fosse conclusa l’istruzione dibattimentale, anche solo parzialmente rinnovata;
in data 24 novembre 2000 Ł entrato in vigore il d.l. n. 341 del 2000, che ha sancito come con l’espressione “pena dell’ergastolo” dovesse intendersi l’ergastolo “semplice”, senza isolamento, disponendo, inoltre, che, in alcuni casi, la pena dell’ergastolo con isolamento dovesse essere sostituita con quella dell’ergastolo “semplice”;
Con sentenza n. 210 del 2013 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 341 del 2000, convertito con modificazioni dalla legge n. 4 del 2001, rilevandone il contrasto con l’art. 7 della Convezione Edu, come interpretato dalla Grande camera della Corte EDU nella sentenza resa in data 17 settembre 2009 nel caso COGNOME contro Italia. Secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni unite, tale declaratoria di incostituzionalità ha ricadute esclusivamente sulle situazioni sovrapponibili nei loro elementi essenziali al caso COGNOME con la conseguenza che, in sede esecutiva, deve procedersi alla conversione della pena dell’ergastolo in quella di anni trenta di reclusione solo nei confronti dei condannati che nel processo di cognizione sono stati ammessi al rito abbreviato tra il 2 gennaio ed il 24 novembre 2000, quindi nella vigenza della legge COGNOME, che prevedeva all’art. 30, comma 1 lett. b), la sostituzione dell’ergastolo con la pena temporanea di trenta anni di reclusione, semprechØ la decisione definitiva sia stata pronunciata dopo il 24 novembre 2000 in applicazione del d.l. n. 341 del 2000.
Conclude il Tribunale che la pena dell’ergastolo inflitta a COGNOME non può essere convertita perchØ egli non Ł stato ammesso al rito abbreviato ed ha definito la vicenda processuale il 16 novembre 2000 quindi prima dell’entrata in vigore del d.l. 341 del 2000 (il 24 novembre 2000) il cui art. 7, comma 1, Ł stato dichiarato incostituzionale.
Non rilevano le richieste del rito speciale effettuate da COGNOME perchØ formulate o nel corso dell’udienza preliminare (del 24 febbraio 1994) o nel giudizio di appello definito il 25 gennaio 1999, quando ancora operava la preclusione per l’accesso al rito abbreviato per gli imputati di reati punti con l’ergastolo introdotta dalla sentenza n. 176 del 1991 della Corte Costituzionale. E’ parimenti irrilevante la richiesta di giudizio abbreviato formulata nel giudizio di cassazione perchØ non ammissibile in applicazione della disciplina transitoria vigente introdotta dal d.l. n. 82 del 2000, come interpretata dal d.l. n. 341 del 2000.
Ha proposto ricorso l’interessato, per il tramite del difensore, avv. NOME COGNOME articolando un unico motivo per violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 30 della legge n. 479 del 1999, nonchØ agli artt. 3, 25, comma 2, 117, comma 1, Cost. in relazione all’art. 7 CEDU e 2 cod. pen.
Osserva il ricorrente che il Tribunale ha erroneamente considerato come momento rilevante per individuare la disposizione piø favorevole applicabile al condannato, tra quelle succedutesi nel tempo, non quello della presentazione della richiesta di rito speciale ma quello dell’effettiva ammissione al giudizio abbreviato.
In quest’ottica scorretta non ha attribuito rilevanza alla circostanza, invece decisiva, che COGNOME aveva espresso la volontà di essere giudicato con il rito abbreviato sin dall’udienza preliminare, avanzando apposita richiesta che aveva ripetuto nel giudizio di appello ed in quello di cassazione. In quest’ultima occasione, per di piø, si era avvalso tempestivamente, del diritto di accesso al rito espressamente esteso dall’art. 30 della legge Carotti anche ai reati punibili con l’ergastolo.
Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, i principi dettati dalla Corte EDU, specificamente per il caso COGNOME ma estensibili ai casi sovrapponibili a seguito dell’intervento
della sentenza della Corte costituzionale n. 210 del 2013, devono trovare applicazione, come sostenuto dalla giurisprudenza di merito ampiamente richiamata nelle pagine da 17 a 22 del ricorso, non solo a chi ha ottenuto l’ammissione al rito abbreviato tra il 2 gennaio 2000 ed il 24 novembre 2000 ma anche a chi, tempestivamente e legittimamente richiedendo l’ammissione al rito, ha comunque patito la violazione del diritto all’operatività retroattiva della legge piø mite tra quelle succedutesi nel medesimo arco temporale (l’art. 30 della legge n. 479 del 1999 e l’art. 7 del d.l. n. 341 del 24.11.2000), diritto garantitogli da plurime norme costituzionali: gli artt. 25, comma 2, 3, 27, commi 2 e 3, 117, comma 1, in relazione all’art 7 Conv. EDU.
Non Ł di ostacolo all’applicazione dello sconto di pena la disciplina in malam partem dettata dall’art. 4-ter, commi 2 e 3, d.l., 7 aprile 2000, n. 82, convertito nella l., 5 giugno 2000, n. 144. Tale disciplina, infatti, non era ancora in vigore il 25 febbraio 2000 ovvero nel momento in cui COGNOME ha per la terza volta chiesto alla Corte di cassazione la definizione del suo processo con il rito abbreviato in applicazione della normativa vigente, l’art. 30, comma 1 lett. b), legge 16.12.1999 n. 479, entrata in vigore il 2 gennaio 2000, successivamente sostituita da quella piø deteriore di cui all’art. 4-ter, commi 2 e 3, d.l. n. 82 del 2000. Una diversa interpretazione implicherebbe l’applicazione retroattiva di una legge successiva sfavorevole non consentita nel nostro ordinamento, come precisato dalla Consulta in piø pronunce ed in particolare nella recente sentenza n. 32 del 2020.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non può essere accolto per le ragioni che seguono.
1. E’ infondato l’assunto di fondo della difesa del ricorrente, secondo il quale vi sarebbe stato un momento storico nel quale COGNOME avrebbe potuto fruire dell’ammissione al giudizio abbreviato o, quanto meno, del correlato incentivo premiale, nell’arco dell’articolata vicenda normativa dipanatasi dopo la dichiarazione di incostituzionalità (C. cost. n. 176 del 1991) della previsione dell’art. 442, secondo comma ultimo periodo, cod. proc. pen., (“alla pena dell’ergastolo Ł sostituita quella della reclusione di anni trenta”), previsione adottata in violazione dell’art. 2, punto 53, della legge di delega per l’emanazione del codice di procedura penale, e, dunque, in violazione dell’art. 76 Cost.
Come correttamente rilevato dal provvedimento impugnato, la legge n. 479 del 1999, entrata in vigore il 2 gennaio 2000, nel riaprire l’accesso al procedimento speciale per gli imputati di reati puniti in astratto con l’ergastolo, con previsione della conversione della pena perpetua in quella di trent’anni di reclusione, nulla ha disposto per i procedimenti pendenti. NØ tale lacuna avrebbe potuto essere interpretata nel senso dell’abilitazione ad un’illimitata possibilità di accesso al rito speciale per i processi in corso, con incondizionato travolgimento delle preclusioni dettate dall’art. 438, comma 1, cod. proc. pen.
Il successivo d.l. n. 82 del 2000, entrato in vigore in data 9 aprile 2000, si Ł invece direttamente occupato delle posizioni pendenti, prevedendo la possibilità di recupero del rito, nella prima udienza utile successiva all’entrata in vigore del provvedimento, a condizione, però, che in tale momento non si fosse ancora conclusa l’attività istruttoria, nell’ambito del giudizio di primo grado, in quello d’appello (laddove fosse stata disposta la parziale rinnovazione ex art. 603 cod. proc. pen.) o, nel giudizio di rinvio, seguito all’eventuale annullamento disposto dalla Corte di cassazione; condizioni che rispondevano all’intento di salvaguardare un minimo di correlazione tra il premio sanzionatorio e l’esigenza di abbreviazione degli adempimenti del giudizio.
Come affermato, tra molte altre, da Sez. 1, n. 8967 del 7/7/2000, P.G. in proc. COGNOME Rv. 216597, con esplicito riferimento a situazione processuale di cognizione (fase di legittimità) sovrapponibile a quella coinvolgente l’odierno ricorrente: «L’art.4 ter, comma 1, del D.L. 7 aprile
2000 n.82, nel testo modificato dalla legge di conversione 5 giugno 2000 n.144, prevede l’applicabilità delle disposizioni sul rito abbreviato, quali modificate o sostituite dalla legge 16 dicembre 1999 n.479, ai processi in corso nei quali, ancorchØ sia scaduto il termine per la proposizione della richiesta, non sia ancora iniziata l’istruzione dibattimentale; ciò in piena armonia con la funzione deflattiva che, anche in regime transitorio, continua a caratterizzare il giudizio abbreviato e giustifica la speciale diminuzione di pena in caso di condanna. Trattasi quindi di una disciplina alla quale, per un verso, non può riconoscersi natura sostanziale (dipendendo la sua attuazione solo dalla scelta, ormai unilaterale, di un rito che si configura a struttura probatoria eventuale e contratta); e, per altro verso, non può consentirsi ingresso in sede di legittimità, atteso che non potrebbe, in una tale sede, darsi luogo ad un ipotetico “recupero” di facoltà ormai naturalmente precluse, proprio perchØ al detto recupero non conseguirebbe alcuna rinuncia al diritto alla prova nel contraddittorio di merito, essendo stato tale diritto, per definizione, già integralmente esercitato. E tali considerazioni valgono tanto piø quando trattisi di processi relativi a delitti punibili con l’ergastolo, atteso che lo stesso art. 4 ter, al comma 3, ha testualmente escluso, non certo a caso, il giudizio di legittimità dal novero delle sedi processuali all’interno delle quali può essere formulata la richiesta di cui al precedente comma 2».
Tanto posto, deve rilevarsi che, nel tempo di potenziale fruibilità dell’opzione processuale, i giudizi di primo e secondo grado celebrati nei confronti di COGNOME si erano, ormai, esauriti, consolidando una condizione che lo escludeva dall’ambito applicativo del d.l. n. 82 del 2000.
Nemmeno può attribuirsi rilievo al tentativo esperito dall’imputato di accedere al rito abbreviato nel giudizio di legittimità che evidentemente Ł stato disatteso posto che con la sentenza n. 13151 del 10 novembre 2000 il suo ricorso Ł stato dichiarato inammissibile.
A prescindere dalla disciplina transitoria, effettivamente entrata in vigore, come rilevato dalla difesa del ricorrente, dopo la richiesta di COGNOME di accedere al rito abbreviato nel giudizio di cassazione, la giurisprudenza di legittimità, già all’epoca consolidatasi, aveva convincentemente chairito che tale rito speciale ed i suoi effetti premiali non potevano essere per la prima volta riconosciuti dalla Corte di cassazione essendo riservati al giudizio di merito, nel caso in esame esauritosi prima dell’entrata in vigore della legge COGNOME, in considerazione della finalità ispiratrice del procedimento speciale – il risparmio di attività processuale – concettualmente incompatibile con il giudizio di Cassazione. (cfr. Sez. 6, n. 10261 del 04/07/2000, COGNOME, Rv. 217098 – 01, nella cui motivazione si legge: “la nuova normativa in tema di giudizio abbreviato, entrata in vigore in pendenza dei ricorsi di cui si discute, in quanto ha natura prevalentemente processuale, al di là degli effetti sostanziali ad essa indirettamente connessi, non può trovare alcuno spazio di operatività nel giudizio di legittimità atteso che con la peculiarità di questo Ł concettualmente incompatibile un risparmio di attività processuali, il quale costituisce la vera finalità ispiratrice del rito abbreviato, a deflazione del dibattimento, e ciò pur dopo la riforma del 1999, che ha ampliato la possibilità di integrazione probatoria, se necessaria ai fini della decisione, purchØ, però, sia “compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili (art. 438, comma 5, cod. proc. pen.”).
Alla luce della ricostruzione sin qui delineata, non hanno pregio le argomentazioni dedicate dal ricorrente alla natura sostanziale (invece che processuale) delle disposizioni in tema di giudizio abbreviato e alla necessità di applicare il principio dell’irretroattività delle limitazioni dettate dal d.l. n. 82 del 2000, in quanto piø sfavorevoli rispetto ad un regime previgente, in realtà mai esistito.
NØ può ritenersi conferente il richiamo al caso, ben diverso, trattato da Sez. 5, n. 15493 del 23/2/2021, COGNOME, Rv. 281249, che attiene alla disciplina intertemporale della successione tra l’art. 30, comma 1, lett. b), I. n. 479/1999 e l’art. 7 d.l. n. 341 del 2000.
Quest’ultima disposizione, nel dichiarato intento di dare interpretazione autentica all’art. 442,
comma 2, cod. proc. pen., aveva stabilito che l’espressione pena dell’ergastolo ivi contenuta dovesse «intendersi riferita all’ergastolo senza isolamento diurno» e, alla fine del comma 2, aveva aggiunto un terzo periodo, così formulato: «alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, Ł sostituita quella dell’ergastolo».
Con riferimento a questa evenienza, diversa – lo si ripete – da quella che ci occupa, Ł stato affermato, nella pronuncia di legittimità da ultimo menzionata, che «in sede di esecuzione, nel caso di condanna all’ergastolo a seguito di giudizio abbreviato per reati tutti astrattamente punibili con tale pena, Ł legittima la rideterminazione nella pena detentiva temporanea massima di trenta anni, ove la richiesta di ammissione sia stata proposta nella vigenza dell’art. 30, comma 1, lett. b) della legge 15 dicembre 1999 n. 479, e prima delle ulteriori modifiche all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. introdotte dall’art. 7, comma 1, del d.l. 24 novembre 2000 n. 341, convertito con legge 19 gennaio 2001 n. 4, non potendo essere riconosciuta efficacia retroattiva a tale disposizione».
4. Guardando, invece, agli assetti della giurisprudenza costituzionale piø attinenti al caso in esame, occorre prendere atto che la Consulta, sia pure con riferimento alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen. – nella parte in cui non consente l’applicazione dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 67 del 2014, nei quali fosse stata superata la fase dell’apertura del dibattimento, indicata come termine per l’accesso al rito premiale – ha ribadito, nell’asserire la natura prevalentemente processuale di quel procedimento speciale (che, come noto, ha implicazioni sostanziali ancor piø rilevanti di quelle proprie del giudizio abbreviato, culminando in una sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato), la razionalità della scelta legislativa, richiamando espressamente la già decisione C. cost. n. 277 del 1990 (nel non consentire l’apertura del rito a situazioni nelle quali, essendosi aperto il dibattimento, esso non potrebbe esplicare la sua funzione di alternativa al processo ordinario, nØ il suo effetto deflattivo.
Nella stessa pronuncia, confrontandosi con la questione della retroattività in mitius siccome declinata dalla sentenza COGNOME, la Corte costituzionale ha segnalato la sentenza C. EDU , 27 aprile 2010, COGNOME c. Italia che, rispondendo a un ricorso relativo ad altro profilo del d.l. n. 82 del 2000 (quello che attiene alla non fruibilità del diritto potestativo alla definizione nelle forme del giudizio abbreviato “puro” dei procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore della I. n. 479/1999, fosse stata già dichiarata l’apertura del dibattimento), aveva affermato la natura squisitamente processuale della disposizione transitoria, del tutto analoga per struttura e funzione a quella che ha condizionato il diritto dell’odierno ricorrente di avvalersi del rito: «PoichØ la modificazione legislativa denunciata dal ricorrente riguardato una norma di procedura, salvo il caso di arbitrarietà, niente nella Convenzione impediva al legislatore italiano di regolamentare la sua applicazione ai processi in corso al momento della sua entrata in vigore (…) poichØ il giudizio abbreviato ha come scopo di evitare il dibattimento e di decidere sulla fondatezza delle accuse in esito a una udienza in camera di consiglio, non si rimproverare alle autorità di avere limitato l’applicazione delle nuove modalità di accesso a questa procedura semplificata ai soli casi in cui il dibattimento pubblico non avesse avuto ancora luogo».
5. Quanto all’assimilabilità del caso in esame a quelli trattati da. U, n. 34233 del 2012, COGNOME, rv. 252932 e Sez. U, n. 18821 del 2014, Ercolano, e, comunque, alla necessità di trarre da quelle pronunce, e dalla sentenza resa dalla Corte EDU nel noto caso COGNOME, una prospettiva ermeneutica di ampio respiro, tale da includere anche situazione “affini”, quale sarebbe quella di COGNOME, va ricordato che Ł proprio la sentenza Ercolano a escludere l’ampliamento delle ipotesi di incisione dell’intangibilità del giudicato, per il tramite dell’incidente di esecuzione, a situazioni non identiche a quella affrontata nella vicenda COGNOME, com’Ł dato desumere dal seguente inequivoco passaggio motivazionale: « (…) in tanto il meccanismo di aggressione del giudicato, nella parte
relativa alla specie e alla misura della pena inflitta dal giudice della cognizione, Ł attivabile con incidente di esecuzione, in quanto ricorrano le seguenti condizioni: a) la questione controversa deve essere identica a quella decisa dalla Corte EDU; b) la decisione sovranazionale, alla quale adeguarsi, deve avere rilevato un vizio strutturale della normativa interna sostanziale, che definisce le pene per determinati reati, in quanto non coerente col principio di retroattività in mitius; c) la possibilità d’interpretare la normativa interna in senso convenzionalmente orientato ovvero, se ciò non Ł praticabile, la declaratoria d’incostituzionalità della medesima normativa (com’Ł accaduto nella specie); d) l’accoglimento della questione sollevata deve essere l’effetto di una operazione sostanzialmente ricognitiva e non deve richiedere la riapertura del processo». Del resto, come ricordano le sentenze C. cost. n. 236 del 2011 e n. 210 del 2013, l’intangibilità del giudicato costituisce un valore anche in prospettiva convenzionale.
Com’Ł noto, la situazione di COGNOME era tutt’affatto diversa da quella dell’odierno ricorrente. Si trattava di un imputato che aveva richiesto, nei termini previsti, il giudizio abbreviato nella vigenza di una disciplina che prevedeva la sostituzione dell’ergastolo con la pena temporanea di trent’anni e si vide condannare alla pena dell’ergastolo, in forza di una norma fittiziamente definita come interpretativa (l’art. 7, comma 1, del dl. n. 341 del 2000), entrata in vigore all’esito del giudizio. E non Ł privo di rilievo che, per pervenire all’estensione del rimedio in executivis ai soggetti che, non avendo fatto ricorso alla Corte EDU, si trovavano (loro sì) nella medesima condizione, dovette intervenire una dichiarazione di incostituzionalità della norma de qua e che quel passaggio fu ritenuto ineludibile dallo stesso Giudice delle Leggi (C. cost. n. 210 del 2013).
I rammentati principi sono stati di recente ribaditi dalla giurisprudenza sovrannazionale.
Da ultimo, nella sentenza del 17 ottobre 2024, COGNOME v. Italia, la Corte Edu ha ribadito che, sebbene l’articolo 7 della Convenzione garantisca che i reati e le relative pene debbano essere chiaramente definiti dal diritto penale sostanziale, ‘le scelte procedurali dell’imputato e i termini successivi di qualsiasi accordo tra l’imputato e lo Stato’ sono fondamentali ai fini della individuazione della pena applicabile. In tali ipotesi, infatti, la durata della riduzione della pena che può essere inflitta in caso di condanna Ł chiaramente identificata dalla legge in vigore al momento dell’accordo che l’imputato sottoscrive.
Pur restando, pertanto, valido il principio in forza del quale, in caso di divergenze tra la legge penale vigente al momento della commissione del reato e le leggi penali successive emanate prima della pronuncia di una sentenza definitiva, i giudici devono applicare la legge le cui disposizioni sono piø favorevoli all’imputato, occorre tenere in debita considerazione il fatto che il legislatore può legittimamente subordinare l’applicazione di alcune o di tutte le disposizioni di legge successive a eventi specifici, quali – in particolare – la richiesta e/o l’accordo dell’imputato, entro un termine stabilito, di essere giudicato con rito abbreviato (cfr., mutatis mutandis , COGNOME e COGNOME , cit., §§ 34 e segg.).
Ne segue che nell’ipotesi di procedimenti aventi natura premiale, come il giudizio previsto dagli artt. 442 e seg. cod. proc. pen., innescati da una richiesta dell’imputato, il lasso di tempo da considerare ai fini della individuazione della legge che prescrive la pena meno afflittiva, decorre dalla richiesta, validamente ed efficacemente formulata dall’interessato nel rispetto delle norme processuali, perchØ Ł in quel momento che egli, presta il proprio consenso non solo alla perdita di talune garanzie processuali ma anche alla determinazione della pena che sceglie di subire.
Non vi Ł, quindi, lesione del delineato principio convenzionale nell’ipotesi di condanna alla pena dell’ergastolo di un imputato che, come l’odierno ricorrente, ha rinunciato alle garanzie del dibattimento ed ha chiesto la celebrazione del rito definibile con la pena massima di trenta anni di reclusione:
prima dell’introduzione del regime che ne consentiva l’accesso anche ai soggetti passibili, in
ragione della contestazione elevata nei loro confronti, di condanna all’ergastolo (richieste avanzate in sede di udienza preliminare il 24 febbraio 1994 e nel giudizio di appello in data 25 gennaio 1999);
– nel corso del giudizio di legittimità, con richiesta formulata all’udienza del 25 febbraio 2000, quindi in epoca successiva all’entrata in vigore della legge n. 479 del 1999 ma precedente all’entrata in vigore dei d.l. n. 82 e n. 341 del 2000, ovvero in una fase in cui, qualunque fosse la legge applicabile ratione temporis , non era comunque consentito l’accesso al rito premiale e, quindi, l’interessato non poteva legittimamente aspettarsi l’irrogazione di una pena diversa dall’ergastolo inflittagli in esito al giudizio di merito, pena che, pertanto, possedeva anche il carattere della prevedibilità.
Alla luce delle esposte considerazioni, il ricorso va, in conclusione, rigettato.
Al rigetto segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 20/11/2024
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME