Sostituzione Pena Detentiva: La Solvibilità dell’Imputato è Decisiva
La possibilità di convertire una condanna al carcere in una sanzione economica è un tema di grande rilevanza nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 14171/2024) offre chiarimenti cruciali sui criteri che guidano la decisione del giudice, sottolineando come la sostituzione pena detentiva non sia un diritto automatico, neanche per chi si trova in condizioni economiche disagiate.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dalla condanna di un soggetto per il reato di commercio di prodotti con marchi contraffatti, previsto dall’art. 474, comma 2, del codice penale. La Corte d’Appello di Messina aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Patti. L’imputato ha quindi presentato ricorso alla Corte di Cassazione, contestando unicamente la parte della sentenza relativa al trattamento sanzionatorio.
La Questione Giuridica: Sostituzione Pena Detentiva e Condizioni Economiche
Il motivo centrale del ricorso verteva sulla presunta violazione di legge riguardo alla mancata sostituzione della pena detentiva con una sanzione pecuniaria. La difesa sosteneva, implicitamente, che le condizioni economiche precarie dell’imputato avrebbero dovuto favorire tale conversione. La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sui limiti del potere discrezionale del giudice nel valutare la richiesta di sostituzione della pena.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, e quindi inammissibile, basando la propria decisione su due principi giuridici consolidati.
In primo luogo, i giudici hanno ribadito che, sebbene la sostituzione pena detentiva possa essere concessa anche a chi versa in condizioni economiche disagiate, il giudice ha il potere di respingere la richiesta. Tale diniego è legittimo qualora, sulla base di elementi concreti, sia possibile formulare una ‘prognosi negativa’ sulla capacità dell’imputato di pagare effettivamente la sanzione pecuniaria. La valutazione non si basa quindi solo sulla situazione attuale, ma su una previsione futura di solvibilità.
In secondo luogo, la Corte ha evidenziato un aspetto procedurale decisivo. L’imputato, nel corso del giudizio d’appello, aveva richiesto la rateizzazione della pena pecuniaria. Secondo la Cassazione, questa richiesta costituisce un comportamento concludente che implica la rinuncia alla sospensione condizionale della pena, beneficio che gli era stato concesso in primo grado. Di conseguenza, la sospensione condizionale deve essere revocata.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma che la sostituzione pena detentiva è soggetta a una valutazione discrezionale del giudice, che deve considerare la reale possibilità che l’imputato adempia al pagamento. Le difficoltà economiche non sono, di per sé, sufficienti a garantire la conversione della pena. Inoltre, la decisione evidenzia le conseguenze di determinate scelte processuali: chiedere di pagare a rate una pena pecuniaria può comportare la perdita di altri benefici, come la sospensione condizionale. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende.
Un giudice può negare la sostituzione della pena detentiva con una pecuniaria a chi si trova in difficoltà economiche?
Sì, il giudice può respingere la richiesta se, sulla base di elementi di fatto, esprime un giudizio di prognosi negativa sulla capacità dell’imputato di adempiere al pagamento della sanzione pecuniaria.
Cosa comporta la richiesta di rateizzare una pena pecuniaria che sostituisce una pena detentiva?
Secondo l’ordinanza, tale richiesta implica la rinuncia, per fatto concludente, alla sospensione condizionale della pena concessa in un grado precedente di giudizio, la quale deve di conseguenza essere revocata.
Qual è stato l’esito del ricorso in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14171 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14171 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/05/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che l’imputato NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Messina ha parzialmente riformato la sentenza del Triounale di Patti in composizione monocratica di condanna per il reato di cui all’art. 474 comma 2 cod. pen.;
Rilevato che il motivo unico di ricorso – con cui il ricorrente denunzia violazione dell’art. 606 lett.b) cod. proc. pen. in relazione al trattamento sanzionatorio – è manifestamente infondato poiché, in tema di sostituzione di pene detentive con sanzioni pecuniarie, pur potendo beneficiare della sostituzione colui che si trovi in disagiate condizioni eocnomiche, il giudice può respingere la richiesta nel caso in cui, in base ad elementi di fatto, sia possibile esprimere un giudizio sulla solvibilità del reo con prognosi negativa in ordine alla capacità di adempiere( Sez. 5 , n. 44402 del 10/10/2022, Rv. 283954);
inoltre, la richiesta, avanzata in appello, di rateizzazione di una pena pecuniaria, anche se irrogata in sostituzione di quella detentiva, implica la rinuncia, per fatto concludente, alla sospensione condizione della pena concessa in primo grado, che deve conseguentemente essere revocata (Sez. 3, n. 41525 del 09/04/2015, Rv. 264948).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2024.