Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4556 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4556 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 23/06/1973
avverso la sentenza del 11/06/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore, COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, emessa in data 11 giugno 2024, la Corte di Appello di Roma, ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma che aveva condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di mesi otto di reclusione ciascuno ritenendoli colpevoli del reato di cui agli artt. 110,479 cod.pen.loro ascritto in concorso: con declaratoria di falsità della dichiarazione di vendita del 31 gennaio 2018.
Il Tribunale era pervenuto ad un giudizio di penale responsabilità nei confronti degli imputati- di COGNOME Marco, in qualità di titolare dello sportello telematico dell’RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) ai sensi del D.P.R. 358/2000 e di legale rappresentate dell’Agenzia “RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE“, e di COGNOME NOME, in qualità di legale rappresentante della concessionaria di vendita- sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa la quale aveva riferito che: la propria moglie aveva acquistato, in data 21.10.2017, un’autovettura presso una concessionaria di cui era titolare il COGNOME e che, in pari data, aveva ceduto per la rottamazione la propria precedente autovettura ad una società “RAGIONE_SOCIALE, riconducibile al medesimo imputato, ricevendone una dichiarazione di scarico di responsabilità civile e penale; nei mesi successivi, aveva ricevuto un messaggio WhatsApp da un dipendente della concessionaria, che gli aveva richiesto copia dei suoi documenti d’identità e di quelli dell’autovettura ceduta per la rottamazione, asseritamente smarriti dal rottamatore; successivamente ancora aveva ricevuto la notifica di due verbali di contravvenzione, per violazioni del Codice della Strada, ricondotte all’autovettura destinata alla rottamazione, e, chieste spiegazioni al COGNOME, ne aveva ricevuto giustificazioni vaghe; aveva, pertanto, deciso di presentare denuncia-querela. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Tribunale aveva ritenuto non attendibili le dichiarazioni rese dai testi a difesa sulla sottoscrizione, da parte della persona offesa, di un successivo atto di vendita (in data 30.1.2018) della medesima autovettura già avviata alla rottamazione, alla presenza del COGNOME e dello stesso COGNOME.
Evidenziava plurimi elementi da cui inferire l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa pervenendo alla conclusione che: la medesima non avesse sottoscritto alcun trasferimento di proprietà della propria Jeep presso la sede dell’agenzia del Gatti in data 30.1.2018; che quest’ultimo, in accordo con il COGNOME, avesse predisposto un documento datato 30.1.2018, autenticando la sottoscrizione della persona offesa come avvenuta in sua presenza ed utilizzando la copia del suo documento d’identità, acquisita In precedenza dal dipendente del COGNOME.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato NOME COGNOME per il tramite del suo difensore, articolato in quattro motivi.
2.1. Con primo motivo denuncia vizio di violazione di legge in relazione all’art. 479 cod.pen. e agli artt.192, 546 cod.proc.pen. e vizio di motivazione perché contraddittoria ed illogica.
Deduce vizio di travisamento della prova con riferimento al contenuto delle deposizioni dei testimoni NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione alla effettiva sottoscrizione dell’atto di vendita, da parte della persona offesa, in data 30.1.2028.
Rileva che: anche il giudice di primo grado ha ritenuto che la firma apposta sull’atto di compravendita del 30.1.2018 sia certamente riconducibile alla persona offesa da una “appena attenta visione”, nonostante il disconoscimento effettuato dalla medesima; tale indizio è stato, erroneamente, ritenuto irrilevante in quanto avrebbe dovuto, invece, costituire punto di partenza del ragionamento logico successivo; nella sentenza impugnata è mancato un effettivo vaglio di attendibilità delle dichiarazioni rese dai tre testimoni, ossia dalla persona offesa ( COGNOME) e dai testi della difesa NOME COGNOME e NOME COGNOME il disconoscimento della firma da parte del COGNOME si pone in contrasto con la ritenuta genuinità della stessa, comparata con altri documenti acquisiti al processo; la Corte d’appello avrebbe dovuto disporre una perizia grafologica per chiarire tale circostanza; il giudizio di condanna è fondato su mere congetture, sconfessate dalla stessa “visione della firma”; non sarebbero state indicate le ragioni della ritenuta inattendibilità dei testi a difesa, non potendo, in particolare, l’erronea indicazione del luogo di residenza della persona offesa, e della data di rilascio del suo documento di identità, essere ritenute indicative dell’inattendibilità delle dichiarazioni del teste COGNOME. 2.2. Con secondo motivo denuncia vizio di violazione di legge e di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di sospensione condizionale della pena. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3.Con terzo motivo denuncia vizio di violazione della legge 689/81 in relazione al rigetto della richiesta di pena sostituiva, con particolare riferimento alla pena pecuniaria, motivata sul presupposto della mancata produzione di documentazione idonea ad attestare la capacità reddituale dell’imputato, nonostante lo svolgimento da parte del medesimo di un’attività lavorativa pluriventennale.
2.4.Con quarto motivo denuncia vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 479 e 480 cod. pen. per mancanza di elementi che integrano il reato di falso ideologico e all’art. 476 comma 2 cod. pen.. Deduce che il titolare di STA non riveste la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio,
argomentando tale conclusione dall’assenza di specifiche modalità in base alle quali deve avvenire tale autenticazione. Inoltre, mancano i presupposti per attribuire all’atto redatto natura di fede privilegiata.
3.11 Sostituto Procuratore generale che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza limitatamente al diniego della sospensione condizionale della pena.
Il difensore della parte civile ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; Il difensore dell’imputato ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato in parte.
1.11 primo motivo è inammissibile. Secondo l’insegnamento di questa Corte, può essere configurato un vizio di mancanza della motivazione solo quando il vizio risulti dal provvedimento impugnato, nel senso che deve mancare del tutto la presa in considerazione del punto sottoposto all’analisi del giudice ( come quando le argomentazioni addotte siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività, Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013, dep. 2014, Rv. 257967-01); è invece inidonea a configurare tale vizio la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.
Non costituisce vizio della motivazione, dunque, qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non può essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente confutati (Sez.5,
n. 3751 del 23/3/2000, Rv. 215722; Sez. 5, n. 3980 del 15/10/2003, Rv.226230; Sez. 5, n. 7572 del 11/6/1999, Rv. 213643). L’incompletezza della motivazione, anche sotto il profilo della mancata esplicitazione di determinate valutazioni, pur effettuate, ed intuibili dal contenuto complessivo della stessa, non può condurre all’annullamento quando l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, sempre che questi ultimi
non presentino contenuto decisivo e, di per sé, idoneo a confutare la logicità del ragionamento effettuato e a ribaltare gli esiti della valutazione delle prove.
Quanto alla illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, la stessa deve essere evidente (“manifesta illogicità”) cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ()cui/ dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez.U.n. 47289 del 24/09/2023, COGNOME, Rv. Voi 226074). Inoltre, il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica “rispetto a se stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante ed incompatibile con i principi della logica. Ancora al giudice di legittimità è preclusa-in sede di controllo della motivazione-la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, La Corte nell’ennesimo giudice del fatto
È pacificamente affermato, inoltre, da un costante insegnamento che «Il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., ha l’onere sanzionato a pena di a-specificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso – di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione» ( Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Rv. 277518-02).
1.1.Nel caso in esame la doglianza posta dal difensore a fondamento del primo motivo del ricorso- con la quale si denuncia la mancata considerazione della ritenuta autenticità della firma della persona offesa apposta all’atto di compravendita del 31.1.2018 relativo all’autovettura già destinata alla rottamazione- prescinde da un confronto con la motivazione resa, sul punto, dalla sentenza impugnata, con ragionamento immune da vizi.
In particolare, si omette di considerare che la Corte territoriale ha sottolineato non corrispondere al vero che il primo giudice abbia sostenuto che la sottoscrizione sul documento autenticato dal COGNOME fosse stata apposta dalla persona offesa, essendosi limitato, invece, a rilevare la sostanziale indifferenza della falsità della firma, alla luce della, ritenuta, attendibile ricostruzione fornita dalla medesima che aveva escluso una sua consapevole sottoscrizione di tale atto e di essersi recato, in data 30.1.2018, presso l’agenzia del ricorrente per sottoscrivere un contratto di compravendita dell’autovettura, essendosi, piuttosto, immediatamente attivato nel presentare una denuncia nel momento in cui aveva ricevuto la notifica di due verbali di contestazioni per violazioni del codice della strada, in quanto presupponenti una mai cessata circolazione della stessa autovettura.
La Corte di appello, inoltre, ha argomentato in modo logico sulle ragioni dell’attendibilità della versione resa dalla persona offesa – strettamente collegate alla ritenuta inattendibilità dei testi a difesa- considerando che, qualora la persona offesa avesse effettivamente incaricato COGNOME della vendita della propria Jeep, la stessa non si sarebbe lamentata delle multe pervenute a suo nome, giungendo a presentare una denuncia-querela; gli elementi acquisiti lo hanno indotto, pertanto, a ritenere che COGNOME, anziché avviare alla rottamazione la Jeep della persona offesa, al momento della vendita della nuova autovettura – per come concordato con la stessa- l’abbia formalmente rivenduta ad un terzo, con atto del 30.1.2018, registrato nel marzo 2019, con la complicità del ricorrente, mentre l’autovettura aveva continuato a circolare priva ogni copertura.
La motivazione della sentenza impugnata è logica ed immune da vizi e la doglianza difensiva è inammissibile in quanto la mancanza di specificità del motivo, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, co. 1, lett. c), c.p.p., all’inammissibilità (cfr. Sez.4, n. 256 del 9 18/09/1997, COGNOME, Rv. 21015702; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568-01; Sez. 2, n. 11951 del 20/01/2014, COGNOME, Rv. 259435-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710-01).
2.È infondata la doglianza difensiva concernete la mancanza della qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, posta a fondamento del quarto motivo ma che si esamina con priorità per ragioni logiche.
L’attività del titolare della agenzia “autorizzata” è una attività regolata, per quel che riguarda le ipotesi D.P.R. n. 358 del 2000, ex art. 4, da norme di diritto pubblico e con particolare riferimento agli atti di compravendita di autovetture, l’art. 7 del D.L. 04/07/2000 n. 223 ( conv. in L. 04/08/2006 n. 248) stabilisce che l’autenticazione della sottoscrizione degli atti e delle dichiarazioni aventi ad oggetto l’alienazione di beni mobili registrati, e rimorchi, o la costituzione di diritti di garanzia sui medesimi può essere richiesta ai titolari degli sportelli telematici dell’automobilista ( RAGIONE_SOCIALE) di cui all’articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 settembre 2000, n. 358, che sono tenuti a rilasciarla gratuitamente, tranne i previsti diritti di segreteria, nella stessa data della richiesta, salvo motivato diniego. La qualità di pubblico ufficiale è insita nel potere di autenticazione conferita dalla norma.
Del resto, sotto altro profilo, è stato ritenuto che « il titolare dell’agenzia automobilistica che gestisce il cosiddetto “sportello telematico dell’automobilista” (STA) – il quale, ex art. 4 d.P.R. n. 358 del 2000, deve verificare, ai fini del rilascio della carta di circolazione, la idoneità, la completezza e la conformità tanto della domanda, quanto della documentazione presentata dall’interessato nonché l’avvenuto versamento delle imposte e dei diritti dovuti dal richiedente – forma un atto pubblico, con la conseguenza che egli riveste la qualifica di pubblico ufficiale nel compimento dell’intero “iter” che sfocia nella produzione del predetto documento. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato l’ordinanza del Tribunale del riesame, il quale aveva ritenuto che il titolare di detta agenzia agisse come p.u. solo nel momento in cui accertava l’identità del richiedente e considerato le ulteriori attività meramente materiali e al di fuori dei poteri autoritativi e di certificazione del p.u.)» ( Sez. 5, n. 28086 del 23/06/2011, Rv. 250405 – 01).
È manifestamente infondata anche l’ulteriore doglianza espressa con riferimento alla circostanza aggravante di cui all’art. 476, comma 2, cod. pen. per mancanza di interesse sul punto, risultando la pena inflitta calibrata sulla base della sanzione minima edittale prevista per la fattispecie di cui al primo comma.
3.È inammissibile il terzo motivo con il quale la difesa si duole della mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena in quanto la sentenza impugnata fornisce congrua e corretta motivazione in ordine alle ragioni che hanno spinto la Corte territoriale a formulare un giudizio prognostico negativo sulla probabilità di reiterazione del reato in considerazione del precedente specifico
risultante dal certificato del casellario giudiziale, legato peraltro all’attivit lavorativa svolta.
4.11 terzo motivo è fondato.Anche a seguito della revisione della disciplina delle pene sostitutive ad opera del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, l’art. 58 della legge n. 689 del 1981 è rimasto invariato nella parte in cui preclude la sostituzione della pena detentiva nei soli casi in cui «sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non siano adempiute dal condannato» (prescrizioni che non esistono per le pene pecuniarie, come osservato da osì Sez. U, n. 24476 del 22/04/2010, COGNOME, Rv. 247274); per altro verso, il nuovo regime in tema di pene sostitutive favorisce la scelta delle misure meno afflittive (il comma 3 del citato articolo 58 dispone che «quando applica la semilibertà e la detenzione domiciliare, il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonei nel caso concreto il lavoro di pubblica utilità o la pena pecuniaria»). Inoltre, il nuovo art. 56-quater inserito dal “decreto Cartabia” prevede che, per determinare l’ammontare della pena pecuniaria sostitutiva, «il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Il valore giornaliero non può essere inferiore a 5 euro e superiore a 2.500 euro e corrisponde alla quota di reddito giornaliero che può essere impiegata per il pagamento della pena pecuniaria, tenendo conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare». La possibilità di determinare il valore giornaliero anche in termini esigui è un ulteriore segnale di favore per la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria.
La sentenza impugnata è incorsa in violazione di legge affermando che sarebbe stato onere dell’appellante fornire indicazioni sulle proprie condizioni economiche, al fine di consentire al giudice la valutazione sulla sua solvibilità. Infatti, se per un verso le deduzioni e produzioni dell’imputato possono guidare la valutazione discrezionale del giudice sulla quantificazione della pena pecuniaria, avuto riguardo alla individuazione del valore giornaliero, per altro verso l’assenza di tali informazioni non può determinare una sorta di decadenza dal diritto di ottenere la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria, considerato che, secondo quanto disposto dall’art. 545-bis, comma 2, cod. proc. pen., «al fine di decidere sulla sostituzione della pena detentiva e sulla scelta 4 della pena sostitutiva ai sensi dell’articolo 58 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni relative, il giudice può acquisire dall’ufficio di esecuzione penale esterna e, se del caso, dalla polizia giudiziaria tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali dell’imputato».
Deve, pertanto, confermarsi l’insegnamento di questa Corte secondo cui « in tema di sostituzione di pene detentive brevi, il disposto di cui all’art. 56-quater legge 24 novembre 1981, n. 689, introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, consentendo al giudice di determinare, in maniera personalizzata, il valore giornaliero della pena pecuniaria sostitutiva, lo obbliga ad acquisire d’ufficio tutte le informazioni sulle condizioni di vita individuale, familiare, sociale ed economica dell’imputato, in quanto l’omessa indicazione delle stesse da parte di quest’ultimo non comporta alcuna decadenza ai fini della conversione, non essendo previsto, al riguardo, un onere di allegazione». (Sez. 2, n. 9397 de/ 01/02/2024,Rv. 286130 – 01).
La sentenza, pertanto, va annullata con rinvio limitatamente alla sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Il ricorso va rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annullata la sentenza impugnata limitatamente alla sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso di NOME COGNOME
Così deciso il 06/12/2024.