Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23542 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23542 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CAGLIARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/11/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CAGLIARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni della PG NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 15 novembre 2023 il Tribunale del riesame di Cagliari ha rigettato l’appello presentato, ai sensi dell’ad. 310 cod. proc. pen., da NOME COGNOME avverso il provvedimento con cui il Giudice dell’udienza preliminare della stessa città ha respinto l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti donniciliari, in relazione al reato di omicidio volontario, per il quale egli è stato condannato, all’esito del primo grado di giudizio, alla pena di dodici anni ed otto mesi di reclusione.
Il Collegio sardo, nel condividere le valutazioni espresse dal giudice procedente e ritenere, per contro, l’infondatezza delle obiezioni svolte dall’imputato, ha osservato, tra l’altro, che, una volta formatosi il giudicato cautelare sull’ordinanza applicativa della misura coercitiva, la sua revoca o la sostituzione presuppongono la sopravvenienza di nuovi elementi tali da giustificare la rivalutazione di quelli già apprezzati, ed aggiunto che, nel caso di specie, le circostanze segnalate da COGNOME non incidono sulle conclusioni già raggiunte in punto di concretezza ed attualità delle esigenze cautelari.
Al riguardo, ha sottolineato, tra l’altro, che la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere, applicabile in virtù del titolo di reato oggetto di addebito, non è superata dalle circostanze addotte dall’imputato, vedenti: sull’età avanzata; sull’assenza di pregresse esperienze detentive; sull’effetto deterrente garantito dalla sottoposizione ad un lungo periodo detentivo; sulla possibilità di essere sottoposto, in regione lontana da quella che è stata teatro del tragico fatto in contestazione, agli arresti domiciliari presso l’abitazione del figlio, rafforzat dall’apposizione del c.d. «braccialetto elettronico» che, se non impedisce, fisicamente, l’allontanamento dal luogo di restrizione, consente il pronto intervento dell’autorità.
In proposito, ha osservato che COGNOME si è reso autore di un comportamento particolarmente efferato, che ne esprime la pericolosità, insuscettibile di essere contenuta mediante la sottoposizione alla misura degli arresti domiciliari, ancorché assistita da strumenti elettronici di controllo.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale eccepisce violazione di legge.
Rileva, al riguardo, che il Tribunale del riesame ha indebitamente sottostinnato le circostanze da lui dedotte ed orientato la decisione in ragione di
un pericolo di recidiva meramente ipotetico e smentito, sul piano concreto, dalla peculiarità della vicenda che gli è valsa la sottoposizione a misura cautelare, connessa a dissidi intercorsi esclusivamente con la vittima e legata ad una precisa causale, costituita dell’utilizzo dell’immobile a lui in uso.
Il ricorrente obietta, poi, che la presunzione ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen. deve intendersi, nel caso di specie, vinta dall’ampio lasso di tempo decorso a partire dalla commissione del fatto illecito e dalla sua sottoposizione a detenzione preventiva ed indica, quali ulteriore elemento di novità idoneo a giustificare la rivalutazione del giudizio sulla pregnanza del quadro cautelare, la possibilità di collocarlo, in alternativa, presso l’abitazione del figlio, sita ne lontana Lombardia, e con l’ulteriore presidio garantito dal costante monitoraggio, a distanza, dei suoi eventuali spostamenti.
Disposta la trattazione scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto, l’8 febbraio 2024, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vertente su censure manifestamente infondate.
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che, in sede di appello avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca o sostituzione di misura cautelare personale, il Tribunale, in ragione dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della natura autonoma della decisione appellata, non è tenuto a rivalutare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine agli allegati fatti nuovi, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare apprezzabilmente il quadro indiziario o stricto sensu cautelare (Sez. 2, n. 18130 del 13/04/2016, Antignano, Rv. 266676; Sez. 3, n. 43112 del 07/04/2015, C., Rv. 265569).
L’effetto devolutivo segna quindi i confini del sindacato del Tribunale adito ex art. 310 cod. proc. pen., e, correlativamente, quelli del giudice di legittimità chiamato a controllare il provvedimento emesso in sede di appello.
Nel caso in esame, il tema controverso attiene all’idoneità degli elementi di novità sopravvenuti alla formazione del giudicato ad incidere su entità e pregnanza delle esigenze cautelari.
Il ragionamento svolto, in proposito, dal Tribunale del riesame appare lineare e coerente, perché imperniato, a dispetto di quanto obiettato dal ricorrente, sulla ponderata, complessiva considerazione di tutte le evidenze disponibili.
Il provvedimento impugnato muove, infatti, dall’accertamento consacrato nella sentenza di merito, che ha riconosciuto la responsabilità di NOME COGNOME per un fatto di massima gravità, che gli è valso, peraltro, la condanna a pena assai severa, e, segnatamente, per avere freddato – con quattro colpi di pistola, esplosi da distanza ravvicinata e servendosi della pistola semiautomatica da lui regolarmente detenuta – la vittima, condotta seguita dal tentativo, fortunatamente abortito per la pronta reazione dell’interessato, di aggredire NOME COGNOME, figlio dell’ucciso.
Il Tribunale del riesame ha tratto argomento, nell’apprezzamento della persistenza di esigenze specialpreventive di spessore tale da imporre il mantenimento della più rigorosa misura della custodia in carcere, dalle efferate modalità di commissione del fatto e dalle motivazioni che lo hanno generato (COGNOME viveva, invero, in un immobile di proprietà di COGNOME, che glielo aveva concesso in locazione), indicative, le une e le altre, di una personalità refrattaria alle regole del vivere civile e tale da giustificare una prognosi negativa per il caso di sottoposizione a misure cautelari di tipo autocustodiale.
Ha, per contro, stimato minusvalenti, nel quadro complessivo, gli elementi indicati dall’appellante, dall’assenza di precedenti penali all’effetto inibitore prodotto dalla duratura carcerazione preventiva.
Tanto, a dispetto del compimento, da parte dell’imputato, del settantesimo anno di età, dal quale discende la presunzione prevista dall’art. 275, comma 4, cod. proc. pen. che, tuttavia, è superata, stando ad un consolidato e pacifico indirizzo ermeneutico, dal positivo apprezzamento della sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (in questo senso, cfr. tra le altre, Sez. 1, n. 15911 del 19/03/2015, Caporrimo, Rv. 263088 – 01).
L’ordinanza del Tribunale del riesame appare, sotto questo aspetto, pienamente coerente – precipuamente nell’escludere che l’ininterrotta sottoposizione di COGNOME, nel lasso temporale decorso a far data dall’applicazione del titolo cautelare, alla custodia in carcere abbia determinato un apprezzabile affievolimento delle esigenze specialpreventive – anche con l’indirizzo ermeneutico, formatosi presso la giurisprudenza di legittimità, secondo cui «In tema di misure cautelari per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., pur operando una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47 e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa
presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, che può rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cit.» (Sez. 1, n. 13044 del 16/12/2020, dep. 2021, P., Rv. 280983 – 01).
La fattispecie in esame si connota, infatti, per la pronta applicazione, nei confronti dell’autore del delitto, di misura custodiale la cui esecuzione, per quanto protratta, non ha messo in luce circostanze sicuramente sintomatiche di un’evoluzione della sua personalità tale da elidere o, quantomeno, contenere il rischio che egli, se rimesso in libertà o assoggettato a misura meno afflittiva, reiteri analoghe condotte delittuose.
Il tempo trascorso dai fatti contestati deve, pertanto, intendersi, come correttamente segnalato dal Tribunale del riesame, privo, nella fattispecie, di decisiva influenza sulla consistenza del quadro cautelare, che è, invece, condizionata dalle efferate modalità della condotta illecita, espressiva di una propensione a delinquere e di una incapacità a contenere gli impulsi che ben potrebbero dare la stura, ove la misura cautelare in atto applicata a COGNOME fosse revocata o sostituita con altra di minore rigore, a nuove aggressioni.
Ineccepibili si palesano, su queste basi, le osservazioni che il Tribunale del riesame ha dedicato all’entità delle esigenze specialpreventive, da stimarsi immutata in ragione delle efferate modalità del fatto, della sua massima offensività, della personalità dell’autore, così come alla necessità di mantenere il più rigoroso regime intramurario, dovendosi temere che COGNOME, se sottoposto a misura meno afflittiva, approfitti della relativa libertà di movimento, non inibita dall’apposizione di strumenti elettronici di controllo, per rendersi protagonista di analoghe imprese criminose.
Al cospetto di un percorso argomentativo alieno da fratture razionali e rispettoso del dato processuale, il ricorrente oppone obiezioni di marcata fragilità, che si appuntano su taluni profili che il Tribunale del riesame ha debitamente preso in considerazione, ritenendoli, come detto, privi di attitudine a comprovare l’affievolimento del pericolo di recidiva.
COGNOME, in particolare, rivendica l’episodicità della manifestazione antisociale, intervenuta quando egli era da tempo entrato nella terza età, e la singolarità della sua genesi, difficilmente suscettibile di ripetizione nel diverso contesto ambientale in cui egli si inserirebbe in caso di sottoposizione agli arresti domiciliari presso l’abitazione del figlio, circostanze che, come detto, i giudici cagliaritani, muovendosi nella cornice della discrezionalità loro riconosciuta e senza incorrere in vizi logici di sorta, hanno concordemente stimato recessive,
nell’ottica dell’adeguatezza e della proporzionalità della risposta cautelare, rispetto alle modalità di commissione del fatto ed alla sua massima offensività.
Il ricorrente suggerisce, per il resto, una rilettura in chiave critica dell singole proposizioni che concorrono a comporre la trama argomentativa del provvedimento impugnato che, però, non ne intacca la struttura essenziale né riesce ad individuare momenti di manifesta illogicità o contraddittorietà.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativannente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 20/02/2024.